Non si sa bene come, ma l’Azienda siciliana dei Trasporti – meglio nota come Ast – è salva. L’esposizione debitoria per circa 70 milioni e la minaccia, solo ventilata, di sospendere le corse urbane dal 1° marzo in quattordici città (tra cui Ragusa, Siracusa e Marsala), non bastano a decretarne la dismissione. Né è bastata l’impossibilità di garantire il (necessario) ricambio del 40% del parco autobus, ormai vetusto. O di concorrere, nell’immediato futuro, ai bandi di gara europei per l’aggiudicazione dei servizi del trasporto pubblico locale. Nel corso dell’incontro fra l’assessore regionale alle Infrastrutture, Alessandro Aricò, i vertici dell’azienda e i sindaci dei Comuni interessati dai “tagli”, è stato trovato l’accordo per una proroga del servizio di due anni. In questo modo si sgombera il campo dall’intervento dei privati, che già si sfregavano le mani. Eppure la Regione non sembra avere alcuna intenzione – contrariamente a quanto richiesto dal Cda dell’Azienda – di pompare nuove risorse nelle casse disastrate di Ast. Altri partecipate, su tutti Airgest (che gestisce lo scalo di Trapani Birgi), in passato ne hanno beneficiato.
Ma il tempo delle vacche grasse è finito: anche l’ultimo accordo Stato-Regione aveva richiesto la completa attuazione delle misure di razionalizzazione previste nel piano delle partecipazioni societarie e il completamento e la definitiva chiusura delle procedure di liquidazione coatta delle società partecipate e degli enti in via di dismissione. Queste clausole facevano parte del progetto “riformista” con cui si dava alla Regione la possibilità di spalmare in dieci anni il disavanzo e, anche oggi, tornano d’attualità: le stesse condizioni, infatti, compaiono nel “Salva Sicilia”, la norma con cui lo Stato ha acconsentito a riproporre lo schema del vecchio accordo (tramite legge di Bilancio). Ma in questa Finanziaria, che avrebbe potuto (e dovuto) dare il via a un processo di risanamento dei carrozzoni, non c’è alcun accenno. Parliamo di strutture che, attraverso le rispettive governance, garantiscono una via d’accesso al potere. E rappresentano un mezzo per regolare i conti fra partiti, oltre che per creare consenso.
Le ultime indicazioni sulle società regionali sono contenute nel Defr, il Documento di economia e Finanza redatto da Musumeci e Armao, e solo parzialmente modificato dal nuovo governo alla vigilia della sessione finanziaria. Da quel documento, risalente all’estate scorsa, si evince che per effetto della delibera approvata il 30 dicembre ’21, la giunta “ha previsto di rinviare l’ipotesi di concentrazione societaria tra Sicilia Digitale, Interporti Siciliani e Parco Scientifico e Tecnologico”. Una riforma promessa dall’ex assessore Armao. Mentre a proposito di Ast, si metteva in risalto come “i servizi non sarebbero svolti senza un intervento pubblico in quanto non economicamente vantaggiosi”. Allo stesso tempo, si evidenziava il ruolo dell’Azienda dei trasporti, necessario “per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali” a tal punto da “garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale”. Insomma, un asset che non si sarebbe potuto chiudere dall’oggi al domani. Tra le richieste quella di “predisporre un piano di risanamento triennale volto a superare le criticità finanziarie ed a conseguire gradualmente sufficiente liquidità per l’espletamento delle attività istituzionali”. Se l’Ast si ritrova oggi a chiedere soldi, vuol dire che qualcosa è andato storto.
Eppure tirerà avanti. Così come Sicilia Digitale, che dopo un lungo contenzioso con gli ex soci privati, sembra aver ritrovato lo smalto di un tempo: l’anticipo da parte della Regione ha permesso all’ex e-Sicilia Servizi di “ripristinare i flussi di cassa in ingresso e di avviare l’iter giudiziario per recuperare la disponibilità dei conti correnti pignorati, risolvendo così le criticità finanziarie che hanno caratterizzato questo periodo”. Ma la situazione sarà davvero così florida?
In Legge di Stabilità non ci sono riferimenti sostanziali alle partecipate. Con un’eccezione che riguarda il al Maas, Mercati Agro Alimentari Sicilia (una società costituita nel 1989 per la costruzione e la gestione di mercati all’ingrosso), a cui è destinato un contributo una tantum da 500 mila euro, per l’esercizio finanziario 2023, al fine di ristrutturare alcune posizioni debitorie e al ripristino dell’equilibrio economico e finanziario dell’ente. Mentre all’articolo 81 si fa riferimento alla Sas, Servizi Ausiliari Sicilia, che “al fine di contenere i costi a carico dell’erario” è autorizzata ad attivare le procedure per il pensionamento anticipato del personale, garantendo per il Tfr un’integrazione “una tantum” del 40% dell’ultimo stipendio percepito: per questa esigenza vengono messi a disposizione 400 mila euro.
In questa fase le partecipate sono tornate d’attualità perché alcune di esse, in base alla disponibilità dei rispettivi organici, potrebbero (o dovrebbero, da legge regionale) accogliere la platea dei 2.500 ex Pip che sgomitano per superare vent’anni di precariato. Per il resto, si attende ancora la chiusura di vecchi carrozzoni quali l’Ente Minerario, l’Espi e Sicilia Patrimonio Immobiliare. E’ l’istantanea di una Sicilia che proprio non riesce a sbarazzarsi dei “corpi morti”. E non riesce a spingere l’asticella un po’ più in alto, allo scopo di ridurre gli sprechi, riqualificare la spesa, e dare una spolveratina anche all’immagine. Basti ricordare le due inchieste che investono l’Ast e la Società interporti: in quest’ultima sono coinvolti l’attuale assessore all’Economia, Marco Falcone, e il suo predecessore, Gaetano Armao. Entrambi indagati.
All’interno di questa sessione finanziaria, oltre che di occasioni perse, si dibatte soprattutto di marchette. Nei 118 articoli, che andranno integrati con 700 emendamenti, ce ne sono innumerevoli. Ma l’ultimo regalino alla classe politica è emerso dal bilancio dell’Ars, dove ha fatto capolino un aumento di 900 euro alle indennità dei parlamentari. Anche se difficilmente tollerabile, e facile preda degli indignados, il provvedimento si è reso necessario per l’impennata dell’inflazione. La legge n.1 del gennaio 2014, che impone il limite mensile di 11.100 euro, prevede “che la misura del trattamento sia soggetta ad adeguamento secondo la variazione dell’indice Istat del costo della vita; l’aumento deciso dell’inflazione nell’anno trascorso ha pertanto portato a una rimodulazione in aumento della spesa”. Per le casse dell’Ars si tratta di una maggiore spesa per 750 mila euro, poco più di 10.700 euro per ognuno dei settanta parlamentari con un incremento dunque di circa 890 euro lordi al mese. Ciò dimostra che le risorse e il coraggio per gli interventi “utili” alla politica, anche se impopolari, si trova sempre. E’ per tutto il resto che la speranza si affievolisce.