Che fosse stata una primavera calda, con la Finanziaria da “costruire”, era prevedibile. Ma adesso la stagione di Musumeci rischia di diventare bollente. La visita di Matteo Salvini in Sicilia, gli incontri col governatore e con Miccichè, e il battesimo del gruppo parlamentare della Lega, hanno dato una netta accelerata all’operazione rimpasto, coi partiti del centrodestra, compreso il Carroccio ultimo arrivato, che si guardano in cagnesco. L’esigenza più marcata è il riequilibrio dei rapporti di forza all’interno di un esecutivo a trazione centrista, dove a dominare sono Forza Italia, Popolari e Autonomisti e Udc, che mettono insieme otto assessori (su undici), al netto di Ruggero Razza, Manlio Messina e Gaetano Armao. Quest’ultimo disconosciuto dai berluscones dell’Isola – per i voltafaccia nei confronti del partito e per la gestione deficitaria del quadro contabile – ma ancora aggrappato a un assessorato, quello al Bilancio, che rischia di diventare la chiave di volta di un rimescolamento assai difficile da leggere.
All’Ars sono cambiati i numeri, mentre all’esterno si sono moltiplicati gli “eventi” che rischiano di scombussolare le scelte del governatore. Che non può più temporeggiare. Partiamo dalla Lega. I quattro deputati che Salvini e Candiani hanno schierato a palazzo dei Normanni, garantiranno al Carroccio un rappresentante in giunta. Musumeci aveva tentato di togliersi dagli impicci, offrendo i Beni culturali, rimasti vacanti dopo la tragedia che nel marzo 2019 costò la vita a Sebastiano Tusa. L’archeologo non è mai stato rimpiazzato. Musumeci ha tenuto per sé l’interim, ma al presidente della Regione il “doppio ruolo” sta un po’ stretto e l’assessorato, strategico per lo sviluppo della Sicilia, necessita di una presenza politica – il presidente-assessore non partecipa quasi mai alle audizioni della quinta commissione – e non solo dei burocrati. Una delle questioni da affrontare, e alla svelta, riguarda il caos del teatro Greco di Siracusa, dove il parco archeologico diretto da Calogero Rizzuto ha rimesso mano alla convenzione e chiesto all’Inda un esborso di denaro che potrebbe mandare gambe all’aria l’istituto del dramma antico (i cui soci sono il Ministero dei Beni culturali, il comune di Siracusa e la Regione stessa).
E’ un esempio per tutti. Che impone una riflessione sulla necessità di un indirizzo politico. Musumeci aveva annunciato che il nuovo assessore ai Beni culturali sarebbe stato nominato in occasione del primo anniversario della scomparsa di Tusa (manca un mese), però il governatore non è mai riuscito a districarsi fra i propri convincimenti e quelli degli alleati: meglio un tecnico o un politico? Meglio pescare in Sicilia o nel continente? L’avvento della Lega sembrava risolutivo, ma il Carroccio avrebbe rifiutato l’investitura. Salvini e Candiani preferiscono un assessorato più alla loro portata: nella due giorni palermitana, il segretario leghista ha battuto sulle infrastrutture, e parlato tanto di agricoltura e pesca. Eccola la casella da riempire: quella che appartiene a Edy Bandiera. I nomi dei papabili restano tre: Orazio Ragusa, presidente della commissione Attività produttive, e molto vicino (anche per ragioni territoriali) a Nino Minardo; Roberto Centaro, amico di Micciché ed ex presidente della commissione Antimafia; e Angelo Attaguile (più defilato).
L’incastro, però, apre a un’altra questione. Il ruolo di Bandiera e di Forza Italia. Non è mistero che l’ex ministro Stefania Prestigiacomo, ormai da mesi, chieda la sostituzione dell’assessore, siracusano come lei ma non abbastanza rappresentativo (eufemismo) della sua area politica. Ma in questo articolato rimpasto, Forza Italia potrebbe addirittura perderlo un posto in giunta: oltre all’Agricoltura, gestisce le Infrastrutture (con Marco Falcone) e la Funzione Pubblica (con Bernadette Grasso). E persino il Bilancio, che è però è competenza di Armao, un separato in casa. Tre assessorati a fronte di dieci deputati, un plotone che negli ultimi tempi, con gli addii a Luigi Genovese, Rossana Cannata, Totò Lentini e Orazio Ragusa si è molto ridimensionato.
Un altro assetto fa rivedere è quello che riguarda il centro: i Popolari e Autonomisti, nella doppia componente che fa capo a Saverio Romano e Raffaele Lombardo, possono contare su tre assessori in (Lagalla, Cordaro e Scavone) e appena cinque deputati; e anche l’Udc, con cinque deputati e due assessori (Turano e il veneto Pierobon) sono nel mirino degli alleati. La Lega, ad esempio, ha un solo parlamentare in meno (al pari di Fratelli d’Italia), e anche “Ora Sicilia”, nata come stampella di Diventerà Bellissima, si aspetta una ricompensa. I parlamentari che fanno capo – più o meno direttamente – a Musumeci, sono nove (per un solo assessore: Ruggero Razza).
Il quadro potrà e dovrà mutare. Tenendo conto di altri aspetti. Primo: la presenza di Gaetano Armao. Socio fondatore del governo, grazie a Silvio Berlusconi, il vice-presidente della Regione non ha più nulla a che vedere con Forza Italia e in giunta rappresenta se stesso. Le sfere alte continuano ad assisterlo (l’avvocato è entrato nelle grazie di Licia Ronzulli, una delle più potenti assistenti del Cav.), ma la sua posizione resta in bilico. Totalmente isolata e abulica rispetto ai partiti, alle dipendenze di due “padroni” – Berlusconi e Musumeci – che lo stesso Armao ha illuso, nel primo caso, e danneggiato, nel secondo. Forza Italia potrebbe “avocare” la sua casella e liberare quella dell’Agricoltura, restando con tre assi nella manica.
Il secondo aspetto è la decatanizzazione della squadra di governo. Un tema ricorrente a palazzo d’Orleans, e tirato fuori, tempo addietro, dal presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, palermitano doc. Non solo una redistribuzione fra partiti, ma anche fra territori. La frangia etnea al momento è superiore nei numeri: ha il governatore, Musumeci, ma anche gli assessori Razza, Messina (al Turismo), Scavone (in un ruolo chiave come il Lavoro) e Falcone. Quattro in totale. Contro i palermitani Lagalla, Cordaro e Armao. Mentre alcuni territori, fra cui Agrigento, Caltanissetta, Enna e Ragusa non sono affatto rappresentati. Altra carne al fuoco, a cui si potrebbe sopperire in parte con il turnover ai vertici delle commissioni parlamentari del prossimo giugno.
Resta un imperativo: il governo deve cambiare pelle, ma deve anche passo. La lentezza di Musumeci nel riequilibrare le forze della sua maggioranza, è direttamente proporzionale alla farraginosità del suo operato. Liberare spazio e far respirare gli alleati, potrebbe dare all’esecutivo una nuova marcia. Per riformare la Sicilia e accontentare quel martello pneumatico di nome Matteo Salvini: “Siamo qui per fare la differenza e cambiare passo”, ha detto il capitano da Palermo. Convinto, forse, di trovarsi a Belluno.