Fu infranto dall’apatia delle istituzioni dell’epoca: oggi rivive a Palazzo Reale il sogno di O’Tama Kiyohara e Vincenzo Ragusa, che un secolo fa cercarono invano di dare vita a Palermo ad una scuola-museo. È stata presentata questa mattina alla stampa “O’TAMA. Migrazione di stili”, l’inedita mostra sull’artista giapponese che visse per 51 anni a Palermo, organizzata della Fondazione Federico II col patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Italia.
Dopo approfonditi studi la Fondazione ha ricostruito idealmente un complesso percorso iniziato nel 1882 quando l’artista, prima orientale a giungere in Europa, arrivò da Tokio con lo scultore palermitano Vincenzo Ragusa. Nella Palermo di fine Ottocento O’Tama Kiyohara è stata pioniera di un percorso artistico, culturale e didattico votato al progresso e all’innovazione.
L’esposizione – che conta 101 opere – ha il merito di aver riunito finalmente i frammenti di quel lungimirante progetto, grazie al faticoso restauro di 46 acquerelli ikebana e botanici, 6 cartoni (kinkawa-gami) e 18 tessuti, sostenuto dalla Fondazione col Centro Regionale per il Restauro e il Corso di laurea in restauro dei Beni Culturali dell’Università di Palermo. In mostra anche 9 ceramiche, 14 bronzi, 2 ventagli e soprattutto il prezioso kimono dipinto a mano e ricamato con seta policroma e filo d’oro, che è stato collocato all’interno di una teca dedicata in Sala dei Vicerè. Non un’opera di O’Tama: fu suo marito, Vincenzo Ragusa, ad acquistarlo in Giappone per la sua collezione. Oggi torna a Palermo dopo oltre un secolo grazie al prestito concesso alla Fondazione Federico II dal “Museo delle Civiltà – Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini”. Questo kosode è tipico dello “stile della corte imperiale” (goshodoki) ed era utilizzato per i kimono indossati dalle donne di alto rango della classe samurai. Vincenzo Ragusa annota nel suo inventario: “Veste per gran dama, sposa di qualche generale”.
O’Tama Kiyohara visse a Palermo fino al 1933: portò un livello di innovazione tale da riuscire ad abbattere le resistenze di uno statico sistema artistico. L’arte orientale, fino ad allora considerata una minaccia per l’arte ufficiale, contaminò e arricchì l’espressione artistica italiana. Al contempo, l’arte giapponese, che faceva a meno dell’ombra e della prospettiva a vantaggio delle composizioni decorative, viene contaminata dalla luce della Sicilia.
Parte delle opere sono state finora custodite amorevolmente dal Liceo Artistico Ragusa Kiyohara di Palermo, che ha collaborato sin dal primo passo alla realizzazione della mostra e oggi rappresenta anello di congiunzione tra passato e presente. Una storia che parte da molto lontano, quando nel 1883 nella casa dello scultore in via Scinà inaugurò il Museo d’Arte Giapponese con undici sale espositive che ospitavano la collezione dei manufatti provenienti dal Giappone. Il Museo diventò anche Scuola-Officina e O’Tama fu nominata vice preside e direttrice della sezione femminile.
È solo nel 1884 che la “casa-museo-officina” si trasformò in Museo Artistico Industriale Scuole Officine e infine nel 1887 divenne Scuola d’Arte applicata all’Industria. Un riconoscimento che, tuttavia, rappresentò la fine del sogno di Ragusa: il Regio Decreto, sotto invito delle autorità locali, abolì i corsi giapponesi e la chiusura del Museo. Il gusto autentico italiano era messo a rischio dall’impianto orientale della scuola.
“Le istituzioni locali dell’epoca e alcune tra quelle nazionali – ha detto il presidente della Fondazione Federico II Gianfranco Miccichè – non compresero la portata innovativa di O’Tama e del progetto, condiviso con Vincenzo Ragusa, di creare una scuola-museo. Oggi entra a Palazzo Reale per restituirle quel valore artistico e storico finora negato e cancellare quelle ostilità che avevano impedito alla città di Palermo di diventare un polo per la diffusione del giapponismo. Quando la Fondazione Federico II organizza una mostra non si limita solo ad esporre ma valorizza le opere d’arte. Perciò abbiamo sostenuto parte del restauro in mostra”.
“Quando si abbatte un muro – afferma Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II – il primo mattoncino è il più arduo da buttare giù. O’Tama riuscì a rompere gli schemi e aprì la via all’innovazione. Oggi la Fondazione Federico II vuole rendere omaggio ad una donna-artista che va considerata palermitana, allorché cittadina del mondo. Per sua volontà una parte delle sue ceneri sono custodite nel cimitero palermitano dei Rotoli, oltre che in Giappone”.
“Siamo orgogliosi – prosegue Monterosso – di raccontare la straordinaria storia di un’artista dal coraggio e dalla caparbietà eccezionali. Fu in grado di integrarsi in un mondo nuovo con differenti tradizioni culturali e capace di rappresentare un punto di riferimento per la costituzione di una nuova forma di arte, in qualche modo antesignana dei nuovi canoni cosmopoliti tipici del Liberty”.
Pittrice raffinatissima, O’Tama Kiyohara realizzò in effetti una sintesi artistica tra tecnica, eleganza stilistica e realismo, emblema del grande sogno condiviso con Vincenzo Ragusa di un percorso culturale in grado di dare vita ad una scuola-museo. Questo grande progetto, purtroppo, dovette infrangersi su uno stato di abbandono economico legato alla politica che non trovò soluzioni neppure tramite l’allora ministro di Grazia, Giustizia e dei Culti, Finocchiaro Aprile, ritrovando nella sua volontà di creare cultura sperimentale, una forma di crescita in merito a specializzazioni e divulgazioni di arte locale e internazionale.
“Giunta a Palermo – dice la storica dell’arte ed esperta di giapponismo, Maria Antonietta Spadaro -, O’Tama si è trovata a confrontarsi con tutta la storia dell’arte italiana. La sua è una pittura fuori dal tempo, eclettica e variabile. Scelse di utilizzare tecniche che non esistevano in Giappone. Esempio ne è il dipinto della Notte dell’ascensione che lei rappresenta in un notturno. Tutti i pittori del periodo avevano dipinto Monte Pellegrino ma mai di notte. Inventa una visione dall’alto, della passeggiata della Marina, un cielo nuvoloso, i lampioni che fino a quel momento nessuno aveva ritratto. Una novità assoluta i lampioni elettrici per Palermo e per tante altre città. Solo i futuristi lo faranno qualche tempo più in là”.
“La Fondazione Federico II – sottolinea Stefano Biondo, direttore del Centro Regionale per il Restauro – sostiene in base ad un accordo con il Corso di laurea in restauro dei Beni Culturali dell’Università di Palermo, un’intensa attività di valorizzazione di opere d’arte. Sugli acquerelli e sui cartoni di O’Tama, l’intervento condotto è il frutto di una collaborazione tra quattro istituzioni culturali: hanno collaborato, infatti, anche il Centro per il Restauro e il liceo artistico Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara. Un lavoro che definirei perfetto e mirato alla piena fruizione delle opere, salvaguardando i valori culturali di questa straordinaria artista”.
“È un’emozione fortissima vivere questa mostra – dichiara Giuseppa Attinasi, preside dell’Istituto O’Tama Kiyohara – per chi come me, come i docenti e gli studenti dell’Istituto entra ogni giorno nella nostra scuola-museo. O’Tama è parte integrante del sogno di Vincenzo Ragusa: aprire una scuola delle arti officinale e un museo come accadeva nella maggior parte delle città europee. Un sogno che si infranse nell’apatia delle istituzioni, timorose per le contaminazioni che l’incontro tra le due culture avrebbero portato nell’arte”.