La storia che vi racconterò oggi è sconosciuta alla quasi totalità degli autoctoni palermitani.
Anzi, sarebbe più veritiero dire rimossa dalla coscienza collettiva.
E ciò malgrado – ogni giorno – una moltitudine di persone attraversino l’arteria importante della città che a quell’uomo è dedicata: Emanuele Notarbartolo.
Il racconto della vita e della morte (per violento assassinio) del Sindaco di Palermo Notarbartolo unisce saldamente quel passato alla sorte futura della città e ne diventa la metafora assoluta.
Intellettuale, aristocratico e illuminato libertario con studi solidi in Inghilterra ed in Francia, Emanuele Notarbartolo divenne Sindaco di Palermo nel 1873 per soli tre anni.
Ma in quel breve tempo, l’amore per la sua città aveva fatto da volano ad infiniti progetti di grande rilievo. La quasi totalità delle importanti opere architettoniche e sociali, progettate alla fine dell’ottocento (ancora oggi visibili nella loro beltà), si devono a lui e alla sua lungimiranza.
Il successo nell’amministrazione della città lo porta ad essere nominato a capo del Banco di Sicilia. L’istituto di credito – vicino al fallimento – veniva, a poco a poco, risanato, ma questo non poteva essere gradito dalla mafia che fino a quel giorno ne aveva utilizzato le casse come “bancomat” personale.
La sua morte fu decisa proprio da un altro consigliere di amministrazione del Banco – tal Palizzolo – ed eseguita da due tristi sicari della “famiglia” mafiosa di Villabate (per competenza territoriale).
Lo affrontarono dentro un vagone del treno all’altezza di Termini Imerese, gli sferrarono ventisette pugnalate e poi buttarono il suo corpo sulla strada ferrata di Trabia.
È inutile dire che il processo (anzi, i processi, visto che furono ben tre…) contro mandanti ed assassini fu una farsa all’italiana.
Pensate un po’… dopo anni dal delitto uno dei due sicari, Matteo Filippello, si decise a confessare il crimine davanti alla Corte d’Assise di Firenze e ad accusare il correo (tal Fontana) ed il mandante Palizzolo.
Venne trovato impiccato prima di testimoniare ed ufficialmente il caso fu archiviato come suicidio.
Leggerete, qui in fondo, ciò che l’Ammiraglio Leopoldo Notarbartolo, figlio di questo grande eroe civile, scrisse sul processo per l’assassinio del padre. Sono parole che lasciano senza parole e da cui solo si comprende che Palermo è stata sempre ciò che sarà: un meraviglioso fiore carnivoro.
Una città cannibale – la definirono qualche tempo fa – divoratrice dei destini degli uomini giusti e onesti…
“Disgraziatamente essa appariva come il più difficile ginepraio in cui un magistrato potesse cacciarsi; un mondo a sé, irto di formule che sbalordiscono e confondono il profano.
Con una morale a sé, dai confini del fare e del non fare del tutto sfumati.
Tutto ciò così intrufolato in quel letamaio verniciato col titolo di “politica” che a toccarne il fondo si poteva cozzare, ad ogni momento, contro gli interessi vitali degli uomini di governo…”
(Leopoldo Notarbartolo)