“Dico no ai populismi: quello del Movimento 5 Stelle e quello del Berlusconismo, aggravato dalla componente leghista”. 25 gennaio, corrente anno. Sono le parole di Leoluca Orlando nel giorno dell’adesione, sua e del fido Fabio Giambrone, al Partito Democratico. Con l’eccezione del Berlusconismo, rimpiazzato da un proliferante Salvinismo, sembrano le stesse di Davide Faraone in questa campagna congressuale che porterà alla sfida con Teresa Piccione, nelle primarie di domenica prossima. Lotta contro i populismi, creazione di un fronte comune moderato, aggregazione. Posizioni che si rispecchiano e si accavallano. Un cerchio (forse) che si chiude. Anche se la campagna per la segreteria regionale del partito, entrata nel vivo da un mesetto, non ha ancora visto la partecipazione attiva del sindaco di Palermo.
Orlando, tuttavia, ha promesso a Faraone che si farà vivo in questi ultimi giorni. Anche se spera di non replicare l’effetto negativo avuto lo scorso 4 marzo, in occasione delle prime elezioni Politiche con la maglia “dem” indosso. Quando il partito nell’Isola precipitò negli abissi, raccogliendo nell’area di Palermo una percentuale che oscillava fra il 10 e il 13%. Con l’unica eccezione, per inciso, di Teresa Piccione, che nella circoscrizione di Palermo-Resuttana-San Lorenzo spinse la lista al 16,65% senza tuttavia ottenere l’elezione alla Camera. Ma in tutta questa storia la Piccione non c’entra, se non marginalmente. Il vero protagonista è sempre Orlando, che in pochi mesi ha scritto un nuovo capitolo della sua storia, personale e politica.
Il tentativo di scalare i vertici di un partito che per cinque anni (dal 2012 al 2017) gli fece opposizione in Consiglio comunale – salvo poi infiocchettare una lista coi resti del Nuovo Centrodestra di Alfano per sostenerlo contro Ferrandelli alle Amministrative (i Democratici e Popolari raccolsero l’8,5% nelle urne) – si è incagliato su alcuni, prevedibili ostacoli. L’ira e l’invidia dei big palermitani del Pd, che non hanno visto di buon occhio questa acquisizione di peso e di prestigio; ma in primis sul totale rifiuto dei siciliani nei confronti del partito, che di fatto sancì la bocciatura dell’inerme Fabio Giambrone alle scorse Politiche. Si dimise da Gesap, la società di gestione dell’aeroporto di Punta Raisi, per candidarsi alle elezioni, ma ne uscì trombato in prima battuta: nel collegio plurinominale Sicilia 1 i “dem” si fermarono al 12,24%, sancendo la fine prematura della carriera politica del consulente di Orlando, che tuttavia ha conservato il suo posto nell’ufficio Relazioni con il pubblico del principe di Palermo.
Anche il sostegno a Matteo Renzi, fermo e convinto, è naufragato nel mare dei consensi (di entrambi). Eppure ha regalato alla stagione piddina del sindaco – che aveva vinto le elezioni a capo di una “coalizione civica” e se ne vantava – alcune cosette utili: ad esempio la rielezione a presidente dell’Anci Sicilia, l’associazione che rappresenta tutti i comuni dell’Isola. Inoltre, Orlando ha potuto manovrare alcune pedine di non poco conto, che gli hanno consentito di mantenere rapporti ottimi con l’area rottamatrice del partito (ma lui è stato cinque volte sindaco di Palermo) grazie alle nomine di Giuseppe Norata alla Rap (rifiuti) e Michele Cimino all’Amat (trasporti). Quest’ultimo nel giro di Totò Cardinale e di Sicilia Futura, il movimento di stampo liberale – talvolta a fianco di Musumeci e talvolta del Pd – che sosterrà Faraone nella sua corsa alla segreteria.
Quando si dice che i contatti nella vita sono tutto. Orlando ne ha a bizzeffe e l’ingresso nel Pd è stato solo l’ultimo trampolino di lancio verso una gestione “personalistica” – glielo hanno imputato i suoi più fermi oppositori – della politica. Adesso, però, bisogna tirarsi su le maniche e mettersi al servizio di qualcuno che non sia se stesso (o Giambrone). Fin qui il sindaco si è nascosto, ma le primarie si avvicinano e i vecchi amici, con i quali si condividono alcune posizioni come la cultura dell’accoglienza e il rifiuto dei populismi, vanno aiutati. Si aspettano qualcosa in cambio, basta che non sia un boomerang. Altrimenti che senso ha questa grande ammucchiata di nome Pd?
Ps: sapete che fa oggi Giambrone? Dopo essersi ri-accasato alla Gesap all’indomani delle elezioni andate in malora, è stato “costretto” a dimettersi dall’incarico nello scorso ottobre, per gli effetti della Legge Madia che ne sancivano l’incompatibilità rispetto all’incarico rivestito al comune. Ma a Punta Raisi è comunque tornato, ricevendo la nomina a presidente di GH, una società privata di handling partecipata proprio da Gesap. Come uscire dalla porta e rientrare dalla finestra.