Manca un elemento di chiarezza. E così il ‘campo largo’ fatica a prendere forma. Al di là dell’uscita solitaria di Dino Giarrusso per la presidenza della Regione, il centrosinistra è rimasto fermo ai blocchi di partenza. Anche sulle Amministrative di Palermo.
Non basta l’alibi del Quirinale. “Ma che c’entra il presidente della Repubblica col Comune di Palermo? – riflette Giampiero Trizzino, candidato in pectore del M5s, in un’intervista a Repubblica – Capisco che ci possano essere equilibri politici, ma credo che la discussione sulle amministrative possa andare avanti serenamente”. Così non è stato. Finora. Le riunioni (allargate) fra Pd e Movimento 5 Stelle, che si sono tenute fino a prima di Natale, hanno prodotto “il primo obiettivo: PD, M5S e Sinistra Comune – si leggeva in un comunicato del 18 dicembre – lavoreranno insieme per costruire un accordo programmatico per la Palermo del futuro e chiamano a raccolta le forze civiche progressiste”. Sostanzialmente una stasi. Perché è chiaro che un recinto esiste, ma le regole per scegliere il candidato non ancora.
A sfoderare l’arma delle primarie è stato Leoluca Orlando, sindaco uscente di Palermo, che da molti dei Cinque Stelle non è ritenuto all’altezza. Eppure il professore può ancora puntare su uno zoccolo duro che nelle urne rischia di fare la differenza, sbarrando la strada a un’affermazione (probabile, a questo punto) del centrodestra. “Se scegliamo un percorso condiviso – sono le confidenze del sindaco – faccio tutto quello che serve”. Cioè candidarsi al Consiglio comunale con una propria lista. Ma è impensabile per Orlando accettare che il nome del suo successore (papabile) venga deciso al chiuso di una stanza. Anche se un paio dei suoi uomini – Fabio Giambrone e Giusto Catania – hanno già confermato la propria disponibilità a candidarsi. Coi dovuti distinguo. L’attuale assessore alla Mobilità, infatti, ritiene che “prima di parlare di primarie dovremmo capire chi c’è in questa coalizione: non siamo interessati a nessun allargamento al centro”.
Al centro, come ha ribadito Trizzino, c’è già Faraone. Il braccio destro di Matteo Renzi è già lanciatissimo nella campagna elettorale. E potrebbe raccogliere pezzi del centrodestra qualora la grande ammucchiata finisca per generare scontenti. Alla sinistra non rimane che il classico schema. E il solito dubbio. I Cinque Stelle – non lo dicono apertamente ma lo pensano – non vedono necessario il ricorso ai gazebo. Non l’hanno mai sperimentato (se non online) e rischiano di muoversi su un campo minato. Il Pd, per ufficializzare il metodo, attende che Giuseppe Conte nomini un responsabile regionale del Movimento, uno con cui stabilire una strategia. Difficile che avvenga prima delle elezioni del Capo dello Stato. A spiegarne i motivi è lo stesso Giarrusso, che ammette di non aver consultato l’ex premier prima della fuga i avanti dell’altro giorno: “Con il voto per il Quirinale in vista, ha tantissime cose da fare”. La battaglia per il Colle, che non c’entra nulla con Palermo, in fin dei conti c’entra comunque. Dilata il tempo delle decisioni e alimenta l’incertezza. Anche alla Regione, dove tutti pendono dalle labbra di Giuseppi per capire cosa fare e dove costruire.