Nel marasma che la attraversa – da tre mesi senza un Sovrintendente e un Consiglio d’amministrazione, con i sindacati in fibrillazione, un’imminente trasferta a Firenze (al Maggio Musicale) per la quale pare non sia stato ancora prenotato nemmeno un biglietto aereo, una prossima stagione a rischio di programmazione per mancanza di chi si metta seduto ad una scrivania a pensare e a firmare, in balìa di una Regione sorda perfino all’incipit della Quinta di Beethoven – l’Orchestra Sinfonica Siciliana un record lo ha quantomeno stabilito. L’evento domenica scorsa, al Politeama Garibaldi di Palermo, sua sede naturale: 37 persone in sala (non tutte paganti i 5 euro del biglietto perché, di corsa, è stato aggiunto il piccolo drappello delle “visite guidate”), gli addetti al botteghino in crisi depressiva da soccorso psicoterapeutico e nemmeno gli sguardi imbarazzati dei dirigenti «facenti funzione» su quell’oceanico rosseggiare di velluti a corto di presenze viventi e plaudenti.
Il non memorabile record, bisogna dirlo per verità dei fatti, è figlio di un improvvisato matinée festivo che la dice lunga, comunque, su quanto ingovernabile sia diventata la situazione dalle parti di piazza Politeama, via Turati, via Amari e dintorni.
Le cose sono andate così. L’Orchestra ha il consueto appuntamento di stagione lo scorso weekend: venerdì il concerto serale, quello pomeridiano il sabato. Sul podio c’è Duncan Ward, giovane e talentuoso direttore, protégé di Simon Rattle, solista al pianoforte è Barry Douglas, la formazione è quasi al completo (una settantina di maestri) più la scrittura di 17 professori per sopperire ai “ruoli” mancanti.
Agli inizi di febbraio (escluso Douglas che da solista ha il suo bel cachet) si progetta e ci si accorda per replicare il concerto la domenica successiva, in serale, alla Valle dei Templi, a chiusura della «Sagra del Mandorlo in Fiore»: un bell’epilogo per la storica manifestazione folcloristica internazionale del capoluogo e una occasione di sempre proficua visibilità per l’Orchestra stessa. Le spese del concerto (i settanta in organico, i 17 scritturati, il direttore) si aggirano intorno ai 5 mila euro. Con gli organizzatori della «Sagra» agrigentina si concorda per un rimborso spese di 2 mila. Ma una dozzina di giorni fa, qualcuno, da via Turati – dicono alla «Sagra» – alza la cornetta e chiede un aumento del rimborso spese pattuito qualche settimana prima, da 2 mila a 5 mila euro. La risposta che echeggia dal Tempio della Concordia fino a Palermo è: non possiamo, abbiamo già impegnato tutti i soldi a disposizione, grazie lo stesso, sarà per la prossima volta. C’è da dire che – fosse andato tutto liscio – il concerto non si sarebbe fatto ugualmente perché domenica scorsa la «Sagra» si è chiusa nella silenziosa consegna dei premi ai gruppi folcloristici, senza applausi e atmosfera festosa in segno di lutto per la tragica morte di Sebastiano Tusa.
Ma comunque l’orchestra era già impegnata, i 17 scritturati pure, il direttore Ward era rimasto a Palermo… E dunque, in fretta e furia, dopo il «no» agrigentino, si organizza e si pubblicizza (per quel che si può, a quel punto), alle 11 del mattino della domenica, al Politeama, il «Family Concert» e mai dizione fu così appropriata perché si può dire che 37 persone siano state davvero «io, màmmeta e tu». Dicono che, al di là dei meriti musicali, guardandosi un po’ spauriti negli occhi, i 37 abbiano applaudito come fossero 370, che già sarebbe stato solo un terzo o poco più di quel che il Politeama può contenere.
Dopo la «domenica del record» si torna adesso alla normalità. Si fa per dire. I sindacati sono sul piede di guerra, l’orchestra è ad un livello di malumore tale da far prospettare un incrociare di braccia, i rapporti tra il commissario straordinario Giovanni Riggio (messo lì dall’assessore al Turismo Pappalardo dopo la cacciata del sovrintendente Giorgio Pace) e il sovrintendente «facente funzioni» Massimo Provenza sono tutto fuorché idilliaci (nemmeno un sorriso tirato e – pare – anche sventagliar di certificati medici). In questa confusione, con tutta la buona volontà, nemmeno Massimo Barrale, il primo violino, riuscirebbe a dare il «la».