Il 29 novembre 1989 Mikhail Gorbaciov, all’epoca presidente dell’Unione Sovietica, infrange il Cerimoniale durante una visita di Stato al Quirinale e si precipita da Calogero Mannino, ministro dell’Agricoltura, per dispensargli un abbraccio. E’ un gesto che affonda in una storia di sei anni prima, ricostruita dal Corriere della Sera con una intervista allo storico esponente della Democrazia Cristiana: “Quando fu il mio turno – racconta Mannino – entrai nel salone per rendere omaggio all’ospite. Ero in compagnia di mia moglie e vidi le massime cariche dello Stato schierate a fianco di Gorbaciov (…) Appena annunciarono il mio nome l’invitato ruppe la fila, mi venne incontro, mi abbracciò e mi sussurrò: “Le devo un ringraziamento ritardato”. Lo disse in russo, ma accanto si era precipitato un interprete che mi tradusse la frase. Dopo un attimo di smarrimento capii a cosa si riferiva. E un po’ tremai”.
Mannino ha tenuto per sé i motivi del gesto. Al Capo dello Stato Cossiga, curioso di captare il retroscena, raccontò di una generica consulenza scientifica prestata dal suo dicastero al governo russo. Ma la verità era un’altra e risale al 1983, quando il premier Fanfani chiama a Palazzo Chigi Mannino – erano le 6 del mattino – per affidargli una missione: incontrare l’ambasciatore russo Lunkov in un bar di viale Mazzini. Lontano da occhi indiscreti. Era il periodo della Guerra Fredda, con l’Italia schierata dalla parte degli Stati Uniti. “Fu un colloquio stringato – racconta Mannino -. “Ministro c’è bisogno del vostro aiuto. In Georgia e in Crimea abbiamo una grave emergenza sanitaria con un’elevata mortalità infantile. Ci serve una vostra fornitura per vie amichevoli di latte a lunga conservazione”. “Per vie amichevoli”, mi ripeté. Insomma – riprende Mannino – doveva essere una consegna riservata. Erano gli anni in cui Parmalat aveva fatto fortuna con il latte a lunga conservazione, che aveva una durata maggiore rispetto al prodotto tradizionale. Proprio quello che serviva ai russi”.
Tornato a Chigi ottenne il via libera da Fanfani, a patto di non parlarne con nessuno, ad eccezione del Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica: “Quando arrivai al ministero, seppi che la stanza accanto alla mia era occupata da un generale dei Carabinieri. E che il direttore generale del dipartimento forestale era dei Servizi. A lui mi rivolsi per l’operazione. A lui e al direttore generale dell’Aima (l’Azienda di intervento sul mercato agricolo), un galantuomo siciliano mio amico”. Il carico fu spedito “con un Hercules che inviammo al Cairo sotto l’egida della Croce rossa. Lì il latte venne scaricato e lasciato sulla pista. Poi fu preso in consegna dai sovietici. Fine. Non ci fu nessun resoconto ufficiale della missione”. “Giorni dopo il direttore dell’Aima si presentò nel mio studio con le solite scartoffie burocratiche. Poi tolse dalla tasca un bigliettino e mi disse: “Tutto tranquillo”. Non andai neppure a riferire a Fanfani, che non tornò mai sull’argomento. Era lo stile democristiano: far finta di non sapere nulla mentre si sapeva tutto”.
Sei anni dopo, però, Gorbaciov non poté esimersi da quell’abbraccio, che ha finito per stimolare curiosità e domande. Ma perché proprio lui? “Perché nell’83 era lui il ministro dell’Agricoltura in Unione sovietica. Ed era stato lui a dire al suo governo di rivolgersi all’Italia per il latte”.