Di solito funziona così: la politica crea enormi sacche di precariato con l’obiettivo di gestire facili clientele; i lavoratori implorano dignità e diritti, e l’avvio di lunghi percorsi di stabilizzazione; ma la stessa politica, dopo essersi mostrata favorevole, non riesce più a trovare sbocchi. E così la situazione resta impantanata per anni, in attesa che il governo romano o la Corte Costituzionale, in uno slancio di generosità, riescano a metterci una pezza. La Sicilia è piena di storie senza un lieto fine. Basti vedere le tragiche vertenze che coinvolgono i circa 2.600 ex Pip di Palermo, o gli oltre 4.500 lavoratori Asu. Illusi e umiliati ben oltre ogni logica sopportazione. Solo il 31 dicembre dell’anno scorso, commentando una sentenza della Consulta che dava il via libera al percorso di stabilizzazione per circa 10 mila siciliani, il presidente Musumeci prometteva che “alla fine della legislatura saranno ben oltre 50 mila i siciliani non più condizionati dall’incertezza del futuro”. Sarà.
Ma facciamo un passo indietro. L’ultimo anno e mezzo, soprattutto per la sanità, è stato redditizio sotto il profilo assunzionale: le Asp e gli ospedali hanno avuto bisogno di numerosi profili per fronteggiare l’emergenza pandemica. Ora però ci si interroga sul rinnovo dei contratti a termine. L’Asp di Palermo, dove per altro ci sono altri 250 ‘contrattisti’ (ex Lsu) in attesa di stabilizzazione, ha deciso di prorogarne 758 fino al prossimo 15 gennaio. A darne notizia è l’on. Vincenzo Figuccia, parlamentare della Lega, sempre molto attento alle vicende dei più deboli: “La proroga rappresenta un primo passo di un percorso che deve portare alla stabilizzazione”, ha subito messo le mani avanti. “Considerando l’andamento oscillante cui la pandemia ci ha abituati, non possiamo correre il rischio di farci trovare impreparati, per cui è necessario mantenere il personale attraverso il quale potere garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie. Dal parlamento nazionale – prosegue Figuccia – è stata inserita nella legge di bilancio 2021 una norma per cui gli enti del Servizio sanitario nazionale vengono autorizzati a stabilizzare il personale assunto a tempo determinato durante l’emergenza. Bisogna riconoscere i meriti a tutti i lavoratori che sono scesi in prima linea, con coraggio e dedizione, per combattere a favore della comunità contro una pandemia devastante sotto ogni punto di vista”.
I percorsi di stabilizzazione – ce lo insegna la storia – sono assai complicati. Poco importa che si tratti di sanità o di settori meno cruciali. Però la vita delle persone non può essere barattata al mercato delle vacche. Un paio di vicende, però, vanno in quella direzione. Come nel caso degli ex Pip (l’acronimo sta per piani di inserimento professionali) di Palermo. “Ex” perché Rosario Crocetta, nel 2013, ne stabilì la soppressione con una norma in Finanziaria. Si tratta di circa tremila lavoratori che dal 1999 furono coinvolti in un progetto di politiche attive del lavoro denominato “Emergenza Palermo”. Questi soggetti – di cui, inizialmente, facevano parte pure ex galeotti in cerca di redenzione – percepivano un sussidio di 800 mila lire in cambio di prestazioni occasionali. Rimbalzati da un progetto all’altro, sono stati collocati presso diversi uffici della Regione ed Enti pubblici di diverso genere (Università, Prefettura, Tribunali, Guardia di Finanza, scuole etc) perseguendo finalità estranee a qualsiasi programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale. La Pubblica Amministrazione, insomma, li ha sempre utilizzati per sopperire alle proprie carenze d’organico, ma senza riconoscere – tuttavia – un adeguato trattamento economico e finanziario.
Finché qualcuno dei politici, nel 2018, s’è svegliato, proponendo il transito di 2.600 lavoratori (nel frattempo il bacino si era compresso) in Resais, una società partecipata della Regione, con contratto a tempo indeterminato “anche parziale”. Il provvedimento, impugnato da palazzo Chigi, fu dichiarato “illegittimo” dalla Corte Costituzionale (anche) per la mancata previsione del rispetto dei limiti di spesa. Da quel momento – era il luglio del 2020 – è cominciata un’altra corsa sfrenata da parte della politica. A dicembre dello scorso anno, il presidente della commissione Bilancio dell’Ars, Riccardo Savona, annunciava che “dopo decenni di incertezze, ripensamenti e speculazioni ai danni dei soggetti del bacino ex Pip, a Roma, in Senato è passata la proposta per la loro stabilizzazione. Nell’immediato, gli Enti coinvolti saranno autorizzati a garantire la continuità lavorativa fino al 31 dicembre 2021, in modo da procedere nel frattempo con l’istituzione dell’albo speciale, dal quale attingere per la stabilizzazione. Un lavoro congiunto, che ha permesso di portare a casa uno storico risultato, per qualcuno insperato”.
Qualche mese dopo, nell’aprile 2021, anche la deputata Giusy Bartolozzi (ex Forza Italia) promette a “tutti i lavoratori del bacino che nel giro di due-tre mesi, troveremo la soluzione definitiva, senza nessun costo aggiuntivo per le casse dello Stato, perché sarà la Regione siciliana ad assumersi l’impegno economico. Dopo oltre venti anni di incertezze – esultava la Bartolozzi – si avvicina la tanto sperata soluzione contrattuale dei quasi 2.500 lavoratori, utilizzati dalla Regione siciliana al pari degli altri impiegati, ma pagati con un sussidio di assistenza. Una prestazione senza nessun riconoscimento lavorativo o contributi previdenziale, ed in totale assenza di un regolare contratto”. Seguono altri mesi di silenzio, finché a settembre i lavoratori – esausti – scendono in piazza, di fronte al parlamento regionale, per reclamare i loro diritti: “Questa melina, dopo oltre 20 anni, non è più accettabile – dichiara Mimma Calabrò, segretario regionale della Fisascat Cisl Sicilia -. Dal tavolo tecnico istituito a Roma presso il ministero della Funzione Pubblica non giunge più alcuna notizia. Non vorremmo pensare male, ma tutto questo silenzio è forse riconducibile alle campagne elettorali che sono ormai alle porte? I politici devono smetterla di pensare agli Ex Pip solo come un bacino di voti che, ciclicamente, possono riutilizzare”. Vuoi vedere che ha ragione?
Persino più traumatica è la vicenda degli Asu. Un altro bacino infernale di precariato – dura da 25 anni – che nello scorso aprile, durante la votazione della Finanziaria, fu illuso “in diretta” di aver messo da parte le difficoltà di una vita. Si tratta di lavoratori che prestano servizio nei Comuni, che tengono in vita le strutture amministrative degli enti locali, sempre più a secco di personale. La legge approvata all’Ars prevedeva una stabilizzazione a 14 ore, con un importante intervento economico a supporto: dieci milioni ulteriori per il 2021, 54 per ciascuno dei prossimi due anni. “Si chiude una pagina del precariato storico – diceva l’assessore regionale al Lavoro, Antonio Scavone – Ai Comuni e a tutti gli enti utilizzatori, come ad esempio le Asp, verrà concesso un contributo per consentire la stabilizzazione di tali lavoratori con un contratto a tempo indeterminato. La norma prevede inoltre ulteriori benefici come la fuoriuscita volontaria dal bacino e l’accompagnamento alla pensione per gli aventi diritto”. Le forze politiche, all’unisono, si congratulano. Ma non hanno fatto i conti col verdetto di palazzo Chigi, che impugna la norma, cancellando il sorriso da 70 volti sorridenti – quelli dei deputati all’Ars – e da 4.571 lavoratori che per un attimo erano tornati a crederci.
Da quel momento inizia un tira e molla che non ha ancora conosciuto la parola fine. Il governo regionale, pronunciandosi a Sala d’Ercole, dichiara l’intenzione di resistere all’impugnativa di fronte alla Corte Costituzionale, per affermare la liceità del proprio operato. Ma intanto decide di svuotare il capitolo da 10 milioni per l’anno in corso, con l’obiettivo di ripristinarlo non appena verrà chiarita la vicenda (questo diventa motivo di scontro con un pezzo della maggioranza. Qualcosina era successo a Roma, dove il 30 luglio un emendamento al Dl Reclutamento a firma di Davide Faraone (Italia Viva) consente di “superare i rilievi alla legge regionale siciliana impugnata dal Consiglio dei Ministri e avviare un percorso definitivo per la stabilizzazione dei lavoratori Asu”. In pratica, “verrà istituito un tavolo tecnico tra istituzioni locali e nazionali per la stabilizzazione di oltre 5.000 lavoratori Asu utilizzati negli gli Enti Locali della Sicilia e, nelle more che si trovino le soluzioni più idonee per la stabilizzazione dei lavoratori – spiega Faraone – con l’emendamento si autorizza la Regione Siciliana a prorogare i rapporti di lavoro fino al 31/12/2022”.
Sono passati altri tre mesi e di questo tavolo nemmeno l’ombra. Pochi giorni fa l’assessore al Lavoro Antonio Scavone è tornato a sollecitare la questione al Ministro competente, Andrea Orlando: “La mia lunga storia politica – evidenzia l’esponente della giunta Musumeci – ha sempre puntato su due precondizioni essenziali: il rispetto reciproco e la ricerca del dialogo. Tuttavia devo registrare, con non poca amarezza, che in questo caso questi strumenti non hanno funzionato. Ma una cosa è certa: la vicenda degli Asu è ancorata a un rispetto di equità sociale che va rivendicato a gran voce. E questo è quello che farà il governo regionale fino alla fine del proprio mandato”. Mandato che termina fra un anno. E’ molto difficile, quasi impossibile, che gli Asu entro il prossimo autunno vengano stabilizzati. Qualche promessa in vista della prossima campagna elettorale, però, potrebbero ancora strapparla. E’ così che funziona.