Alla Regione le sorprese non finiscono mai. L’ultima moda è annunciare qualcosa che puntualmente sai non accadrà. Come l’approvazione di un “collegato” da 40 milioni, fatto di mance e mancette, annacquato però da una sorprendente assenza di coperture. Ma tornando indietro nel tempo, è sin troppo facile appellarsi a una delle prime sfuriate di Nello Musumeci, che definì l’Ente di Sviluppo Agricolo – meglio noto con l’acronimo di Esa – come “l’ultimo vergognoso carrozzone della prima repubblica” da sopprimere a tutti i costi. Non solo l’Esa è rimasto al suo posto: di recente si è assicurato una dotazione di 23 milioni di euro, che potrebbero diventare il doppio in fase istruttoria, per varie attività di progettazione: formazione professionale e acquisizione di competenze, viabilità rurale, investimenti nelle energie rinnovabili, villaggi rurali, studio di fattibilità per il rilancio di borghi abbandonati (sul sito istituzionale il quadro è completo).
Non solo. Ma oggi si scopre, per ammissione dell’attuale direttore generale, Fabio Marino, che il presidente Musumeci avrebbe voluto portare in aula entro la fine dell’anno – dubitiamo, col caos attuale, che ci riesca – una riforma dell’Esa, che prevede il “trasferimento delle competenze” al dipartimento regionale all’Agricoltura. Nulla di nuovo sotto il sole. E’ un progetto di un anno fa che non è mai giunto al giudizio di Sala d’Ercole, dal momento che è “il parlamento che deve decidere” se chiudere o meno l’Esa (54 anni e sentirli tutti) o come riqualificarlo: “Io caldeggerei l’ipotesi dell’assistenza tecnica, perché in Regione non c’è nessuno che la fa” suggerisce Marino. Il punto è un altro: la gestione che di questo ente (“Non siamo una partecipata, ma un organismo vigilato dall’amministrazione regionale”) si è fatta nell’ultimo anno.
In breve: a ottobre 2018 il presidente del Cda, Nicola Calderone (in quota Forza Italia) si dimette. Fino a oggi nessuno viene nominato al suo posto. Il Consiglio di Amministrazione, privo di indirizzo politico, resiste grazie alla presenza di due consiglieri indicati dalle organizzazioni di categoria. Così, per approvare atti urgenti e indifferibili, viene nominato in un paio di occasioni un commissario ad acta (Vito Sinatra); mentre la gestione amministrativa da fine 2016 è in mano a Fabio Marino, il cui contratto è scaduto lo scorso 31 agosto. Marino, adesso, è in regime di proroga. Vuol dire che rimarrà al suo posto fin quando il Cda, senza presidente, proporrà all’assessore all’Agricoltura, Edy Bandiera, un ordine del giorno per la nomina del suo successore.
Marino, di cosa si occupa il direttore generale dell’Esa?
“Mi occupo della gestione amministrativa: nello specifico, dell’assunzione degli impegni, del pagamento degli stipendi e delle utenze, della difesa dell’ente, della predisposizione di progetti. Di tutto quello che la struttura ordinamentale imputa al capo della struttura amministrativa. Che è ben altra cosa rispetto all’organo politico”.
Lei, quindi, è un tecnico. Ma faceva parte della segreteria tecnica dell’ex assessore all’Agricoltura, Antonello Cracolici.
“Secondo il disposto normativo che regola le modalità di individuazione del direttore generale dell’Esa, esso è nominato dal Cda dell’ente, in questo caso il mio datore di lavoro, previo assenso dell’assessore all’Agricoltura. Quando fu fatta la selezione tre anni e mezzo fa, l’Esa fece un atto di interpello a cui parteciparono diverse figure. Allora non c’era il Cda, così il commissario straordinario propose il mio nome e l’assessore Cracolici diede il proprio assenso. Ma non fu un’operazione di sottobosco politico, bensì l’applicazione di una norma”.
E fin qui ci siamo. Ma sa che l’assenza di un presidente del Cda, da undici mesi a questa parte, rappresenta un vulnus non banale? Sia a livello di indirizzo politico, che di interlocuzione col governo. Ma anche per l’approvazione dei Bilanci.
“Nelle vostre inchieste avete asserito che gli altri due membri del Cda percepiscono un lauto stipendio senza muovere un dito. Le cose stanno diversamente. L’assenza della figura stabile di un presidente non è un fatto piacevole a livello amministrativo e politico, ma da quando non c’è più Caldarone l’ente ha adottato 70 delibere. Quindi non è rimasto fermo, ma ha continuato a produrre e lavorare, anche se in condizioni di “precarietà” che non possono essere ascritte certo a noi. E comunque Sinatra, nella qualità di commissario ad acta, a novembre 2018 è riuscito a far approvare il rendiconto 2016”.
Gli ultimi due, relativi al 2017 e al 2018, però non sono stati approvati. E i sindacati hanno segnalato che questa inadempienza, in termini di legge, comporterebbe il decadimento dell’attuale Cda e la nomina di un commissario straordinario. Venuta meno questa nomina, si rischia il blocco dei trasferimenti da parte del governo, con tutto ciò che comporta in termini di pagamento degli stipendi ai lavoratori.
“I problemi stipendiali dell’Esa – io non c’ero ma mi è stato riferito – si aggravano nel 2011-12, quando i ritardi arrivano a due, tre, quattro mensilità. La tranquillità dei dipendenti viene minata in quel momento. Io posso dirle che nonostante la vicenda dei due rendiconti arretrati, a parte una mensilità (corrisposta con 35 giorni di ritardo), nel 2019 i pagamenti sono stati effettuati con grande puntualità, talvolta in anticipo di un paio di giorni. In questa seconda semestralità del 2019 l’Esa avrà garantito il trasferimento del rateo mensile sufficiente per pagare gli stipendi e le utenze (luce, acqua, gas). L’allarmismo dei sindacati è stato smentito dalla realtà. Al momento il trasferimento del rateo spettante all’Ente di sviluppo agricolo avviene quasi per intero”.
Perché quasi?
“La mancata approvazione dei bilanci pregressi obbligava la Regione a non erogare per intero il contributo istituzionale, anche se la quota di saldo veniva stabilita in modo “allegro”. Partendo dal presupposto che dal 2016 a oggi il contributo istituzionale è diminuito da 13 a 15 milioni circa, nel 2016 la Regione trattenne come saldo poco più di 2 milioni, nel 2017 circa 700 mila euro, l’anno scorso un milione. Detto che le valutazioni su queste cifre avverranno nelle sedi competenti, io segnalai che in questo modo avremmo avuto problemi con l’erogazione del Tfr ai lavoratori. Ma approvando il rendiconto 2016, abbiamo recuperato le quote dei primi due anni (2016 e 2017), regolarizzando a pieno la vicenda dei Tfr e dei ricorsi che i lavoratori facevano al giudice per ottenere il pagamento”.
Quindi i debiti sono estinti?
“C’è stato un momento in cui i pignoramenti erano considerevoli. Ma quest’anno, grazie alla chiusura dei bilanci pregressi, la situazione è quasi fisiologica e non ci mette in ansia. Restano piccole fesserie, ma nel complesso la questione gestionale da un punto di vista finanziario è sotto controllo”.
Ma c’era o no un debito da dieci milioni per opere di canalizzazione mai completate?
“Si tratta di un contenzioso sulla costruzione delle dighe. Esa ha costruito delle dighe, che nel 2004 sono transitate al dipartimento Acqua e Rifiuti. All’Esa, nella qualità di stazione appaltante, è rimasto un contenzioso con le imprese costruttrici, sul quale sono in corso le valutazioni degli organi competenti. Questa vicenda incide per 7,5 milioni, di cui 3,5 già pagati nel corso di questi anni grazie al contributo istituzionale. Rimangono fuori 4 milioni per i quali abbiamo richiesto l’iscrizione come debito fuori bilancio in capo alla Regione”.
Mancano all’appello i due rendiconti fondamentali: quelli del 2017 e del 2018, senza i quali potrebbero (o dovrebbero) scattare i meccanismi di cui sopra: decadenza del Cda e nomina di un commissario.
“A gennaio di quest’anno, io nella qualità di direttore, il presidente del collegio dei revisori e l’assessore al ramo siamo stati convocati dal presidente della Regione che ci ha chiesto la storia e la genesi dell’approvazione così rapida dei bilanci dal 2009 al 2016. In quella sede, il presidente del collegio dei revisori rappresentò a Musumeci un vulnus, che è stato oggetto di un serrato scambio epistolare anche con la ragioneria generale: cioè i bilanci dell’Esa dal 2009 al 2016 non hanno ancora ricevuto l’apprezzamento della giunta di governo. Di solito, dopo l’apprezzamento, si procede con l’approvazione di un nuovo bilancio. Ma noi in questo modo produciamo uno sforzo al buio”.
Quindi non li approvate?
“La ragioneria generale ci ha detto di andare comunque avanti, di definire i due rendiconti che mancano. Nei primissimi di ottobre approveremo il bilancio 2017 ed entro la fine del mese chiuderemo quello 2018. Così saremo in ordine, per quanto concerne la nostra parte”.
Perché la giunta non apprezza i vostri bilanci?
“Un’idea ce l’avrei, ma la tengo per me”.
L’Esa, per 19,9 milioni di euro, rappresenta un debito fuori bilancio appena dichiarato dalla Regione. Vi deve quei soldi, in seguito a una sentenza esecutiva del Tar risalente al 2015, per l’acquisto di cinque immobili che non ha mai saldato. E’ per questo?
“Questo lo dice lei”.
Ok. Ma la questione è sul tavolo. E parte dal 2007, quando l’Esa cede cinque immobili per 28 milioni e la Regione non paga. Alla luce di quel fatto, ci spiega l’esito di questa sentenza del Tar?
“I 28 sono la quota parte coperta dalla sentenza. La Regione al momento ne ha riconosciuti 19,9. Il Cda “precario” – come l’ha definito lei – a fine luglio ha dato incarico a un avvocato di promuovere il giudizio di ottemperanza nei confronti della Regione, non solo per il periodo coperto da sentenza, ma anche per il periodo successivo. Arriviamo a una cifra importante perché stiamo parlando di altri cinque anni. Faremo una richiesta anche per quelli, dato che li abbiamo messi a bilancio”.
E’ una vittoria dell’Esa sulla Regione.
“Io non esulto, perché siamo in un momento particolare e noi viviamo sostanzialmente delle rimesse della Regione. Valuteremo con serenità un’ipotesi transattiva”.
Di questi cinque immobili fa parte anche il palazzo Florio di via Libertà a Palermo?
“No”.
Ma è vero che quell’edificio, ultima residenza dei Florio in città, fa gola a tanti e che un’azienda privata del lusso provò ad offrire 25 mila euro al mese per l’affitto del piano terra?
“Ce l’avevano chiesto, ma in modo informale. Il suo destino è un altro. Sul finire dello scorso anno incontrammo il compianto assessore Tusa, con cui si era imbastito un discorso che poi è stato fatto proprio dal presidente della Regione. Che prevede – mantenendo la proprietà dell’Esa – di realizzare in quello spazio il museo della Targa Florio. Così ci siamo mossi in quella direzione e abbiamo attivato dei protocolli d’intesa con la Soprintendenza per evitare sirene allusive di vario tipo. E’ un palazzo di pregio, quindi l’idea di una spa o ristorante ci potrebbe pure stare, ma a noi non interessa. Noi manterremmo la proprietà del bene, ma lo concederemmo in comodato d’uso gratuito alla Regione. Un passaggio propedeutico all’ottenimento di contributi comunitari. Potremmo tenere un piano anche per l’Ente di sviluppo agricolo, da riconvertire a museo delle cartografie dell’Esa oppure per l’utilizzo del personale. Il ragionamento con Tusa abbracciava anche un’altra questione.”
Quale?
“La rivalutazione dei tre borghi rurali di epoca fascista”.
Non le sembrano un po’ troppi 14 milioni per degli agglomerati in cui vivono 70 persone?
“Quelle sono valutazioni di carattere politico. Noi abbiamo una mission e la stiamo portando avanti. Abbiamo già sottoscritto un accordo coi Beni Culturali, e stiamo offrendo la progettualità a titolo gratuito”.
Altro che soppressione. Da come lo descrive lei, l’Esa sembra un ente in piena attività. Perché Musumeci voleva cancellarlo e adesso ci andate d’amore e d’accordo?
“Guardi, anche Cracolici nel 2015 aveva fatto un disegno di legge per chiudere l’Esa. Da quando mi sono insediato, ho provato a reingegnerizzare l’Ente di sviluppo agricolo con l’adozione di un piano industriale, con il rafforzamento della governance interna, con l’abbattimento dei fitti passivi e l’aumento di quelli attivi, con il reperimento dei fondi comunitari. Le performance sono state significative. In parte credo di aver ottemperato alla mia funzione. Poi, come le ho detto all’inizio, non tocca a me stabilire se chiuderlo o meno. Certo, qualcosa va cambiato”.
Lei parla come se dovesse rimanere in carica chissà quanto. A proposito: senza un presidente, gli altri due componenti del Cda possono proporlo all’assessore competente?
“Astrattamente sì. Basta che il Cda proponga all’assessore un ordine del giorno, e che insieme facciano le dovute valutazioni. Poi si genera per l’individuazione pubblica della figura ricercata e non appena l’assessore dà il proprio assenza, il nuovo direttore generale si può insediare”.
Facile, no?