Nove province e un Pirandello

Fare ordine nell’iter che – dal 2013 all’altro ieri – ha portato alla soppressione, al commissariamento, e infine al tentativo di riesumare le province siciliane, è una pretesa difficile da sostenere. E’ come voler arrivare in cima al Mortirolo, in bici, senza una goccia di sudore in fronte. Ma faremo in modo di rendere la scalata meno impervia, partendo dagli ultimi fatti: quelli che hanno visto la Corte Costituzionale bocciare una norma votata lo scorso agosto all’Ars, in cui si chiedeva di procedere all’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri dei Liberi consorzi. Esattamente come avveniva fino al 2013, alla vigilia del clamoroso ribaltone Crocetta.

Perché tutta questa storia ruota attorno all’Ars e all’ex governatore, che la sera del 4 marzo di cinque anni fa, a “L’Arena”, nota trasmissione dell’amico Massimo Giletti, annunciò la soppressione delle province e l’imposizione di un “modello Sicilia” che in prima battuta avrebbe trovato anche i favori del Movimento 5 Stelle, celebre nella sua lotta anti-sprechi. Crocetta le definì “stipendifici inutili” da 700 milioni l’anno. Avrebbe fatto di tutto per cancellarle dalla faccia della terra.

Sfruttando la sua popolarità da ex sindaco anti-mafia e lo sprint di chi ama andare controcorrente, avrebbe demolito uno degli ultimi baluardi della “casta”. E in effetti il primo round se lo aggiudica il presidente della Regione: il giorno dopo l’apparizione televisiva, la giunta delibera con un disegno di legge l’abolizione delle province, che vengono trasformate in Liberi consorzi di comuni. Impropriamente: anche la legge n.9 del 1986, all’articolo 3, evidenziava come “l’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana” fosse “articolata, ai sensi dell’art. 13 dello Statuto regionale, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati «province regionali»”. Il tentativo maldestro di aggiornare la normativa con le leggi pastrocchio successive si fonda su un difetto di forma: i liberi consorzi esistevano già. Fumo negli occhi?

L’esperimento di Crocetta, però, diventa per il governatore un’operazione politica su ampia scala: eliminare le province per “possederle” tutte. Scavalcando ogni presupposto di legge, che assegnerebbe all’assessore agli Enti locali l’incombenza di proporre alla giunta le nuove nomine commissariali. Piuttosto, è il presidente della Regione a gestire la giostra, piazzando uomini e donne di fiducia nei posti liberati in griglia. A Ragusa, che da questo momento assurgeremo a “caso campione”, arriva Dario Cartabellotta, dirigente generale della Pesca e incaricato di gestire la missione siciliana a Expo 2015. Dirigenti e capi di gabinetto trovano spazio a ogni latitudine, garantendo al governatore vicinanza politica e decisionale laddove se ne avverta il bisogno.

La soppressione, tanto acclamata, fatica a completarsi. Ci si incaglia (ma va?!?) sul rinnovo degli organi elettivi (sul chi debba eleggerli, sull’indennità “suppletiva” di presidenti e sindaci metropolitani ecc.) tanto che nel 2015 i franchi tiratori affossano all’Ars il disegno di legge che la giunta, un paio d’anni prima, aveva presentato a tempo di record. I Liberi consorzi non entrano mai nel pieno delle funzioni e Crocetta si arrovella per mandare avanti una macchina senza motore. Il “dramma” vero si consuma quando la Regione Sicilia, la prima a voler sopprimere le province, è costretta a recepire nel 2016 la legge Delrio nella parte riguardante le Città Metropolitane. E diventa l’ultima.

Diciamocela tutta: finora l’unico risultato di questa scombussolata manovra, oltre al valzer dei commissari, è aver fatto cadere qualche testa. Quella dei presidenti di provincia, degli assessori e di tutti i consiglieri. Per un risparmio annuo che a Ragusa si attesta su 1,2 milioni (più alto nella Città Metropolitane di Catania e Palermo, per ovvi motivi).  L’occasione per smuovere un po’ le acque si presenta nell’agosto 2017, quando la Commissione Affari Istituzionali dell’Ars vota una norma che “svuota” la Delrio, proponendo il ritorno all’elezione diretta del presidente e del Consiglio provinciale, nonché la reintroduzione dei gettoni di presenza. Altro che spending review. Esattamente l’opposto di quanto previsto a livello nazionale. Tanto che il governo Gentiloni impugna la norma.

Un provvedimento accolto a cuor leggero da Crocetta, che destituisce i sindaci delle Città Metropolitane (Orlando, Bianco e Accorinti) provocando un’insanabile frattura politica con il “principe” di Palermo, e allocando nelle medesime posizioni altri tre uomini di fiducia, proprio a un passo dalla scadenza elettorale. All’impugnativa di cui sopra si unisce il verdetto della Consulta che, pochi giorni fa, boccia la norma, facendo gridare allo scandalo il neo governatore siciliano Musumeci: “Sono sorpreso dalla decisione della Corte, dare la parola ai cittadini li riavvicinerebbe alle istituzioni in crisi”. E invece no, nessun voti.

Ma nel frattempo, i Liberi consorzi, o queste dannate “ex province” (scegliete voi com’è meglio chiamarle), continuano a svolgere delle funzioni che – badate bene – non sono mai cambiate nel trentennio che separa la prima legge dall’ultima. Nelle competenze assegnate loro dalla L.9/1986 (art.13) rientrano servizi sociali e culturali, sviluppo economico, organizzazione del territorio e tutela dell’ambiente (con particolare attenzione alla manutenzione della rete stradale). Ora provate a sovrapporre la legge 15/2015: leggerete di servizi sociali e culturali, sviluppo economico, organizzazione del territorio e tutela dell’ambiente (anche qui il riferimento alla manutenzione delle strade). Ma ciò che manca, rispetto a prima, sono i soldi, le risorse economiche.

L’unico a essere salvaguardato in questo lungo iter infruttuoso è stato il personale, che talvolta si trova a svolgere una mole di lavoro di gran lunga inferiore rispetto a prima (e viene pagato allo stesso modo, che paradosso): ad esempio, i dipendenti collegati agli organi istituzionali, ora che gli organi istituzionali sono spariti, che c’avranno da fare tutti i giorni? Ma l’elemento più grave è, che pur mantenendo le stesse funzioni di prima, i Liberi consorzi non riescono ad erogare servizi. Non ce la fanno proprio. Lo Stato, oltre ad aver tagliato pesantemente i trasferimenti (d’altra parte, nel resto d’Italia, le province hanno smesso d’esistere), procede ogni anno a un prelievo forzoso che tramuta questi enti intermedi da scatola vuota a prezioso salvadanaio: presso il Libero consorzio di Ragusa, lo Stato italiano riscuote ogni anno 17,5 milioni di euro.

Tralasciando il fatto che la mancata erogazione dei servizi – su tutti l’edilizia scolastica (per cui si realizzano solo interventi tampone) e la manutenzione viaria (in alcune province del tutto dimenticata) – si rivela un danno per i cittadini. Per un po’ di tempo anche i servizi sociali hanno offerto: fino al 2017 il trasporto scolastico degli alunni disabili partiva in ritardo, veniva spesso interrotto e, talvolta, sospeso del tutto prima della fine dell’anno, provocando l’ira funesta delle famiglie (ma qui la Regione ha in parte ovviato). Danni e disagi superano di gran lunga la soddisfazione per aver tarpato le ali a un consigliere provinciale qualunque, che oltre a papparsi l’indennità mensile riusciva a farsi assumere da un’azienda “x” e a farsi rimborsare dall’ente – per la sua assenza “forzata” dal lavoro – stipendio e trattamenti pensionistici.

Il tentativo di ostacolare il solito “magna magna” ha portato ad accantonare alcune esigenze reali dei siciliani, con una messinscena che oggi, oltretutto, continua a costare ai contribuenti. La Consulta ha deciso che non è ancora tempo di restaurazione, ma mettere in moto la macchina dei Liberi consorzi passa da questa elezione indiretta degli organi istituzionali che Musumeci ha fissato per novembre: sindaci e consiglieri comunali che votano altri sindaci e altri consiglieri, provinciali stavolta. L’unico strumento che ci è rimasto esula dalla partecipazione popolare. Gli unici a rimetterci davvero, e senza averci capito granché, sono sempre loro: i cittadini.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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