Questa è una nota a margine, una riflessione maturata dopo avere seguito scrupolosamente gli sviluppi dello scandalo di Cannes, un affare che ha coinvolto in prima persona un ex assessore della Regione, da noi chiamato amorevolmente “il Balilla”, e che ha provocato non poche fratture nella maggioranza di governo guidata dal presidente Schifani. Riguarda i giornalisti. Certo, sappiamo bene che tutto il mondo è paese, che non si può mai fare di tutta l’erba un fascio e che la prima regola per chi fa informazione è quella di non sparare mai nel mucchio. Ma l’atteggiamento della stampa siciliana di fronte a questo scandalo un piccolo approfondimento lo merita, eccome.
Ovviamente ci sono giornalisti e giornalisti. Ci sono innanzi tutto quelli che fanno il loro mestiere: pubblicano le notizie, scrivono le loro opinioni e, ricercando la verità anche negli anfratti più nascosti del potere, rendono un servizio non solo alla società civile, tanto invocata dai “liberi e forti”, ma anche alla società politica. Lo sporco affare di Cannes è venuto fuori perché Mario Barresi de “La Sicilia”, con una inchiesta cristallina, ha pubblicato i dettagli indecenti e inquietanti dei milioni di euro, sottratti al bilancio della Regione e regalati dal Balilla, con un incastro di giochi azzardati e pericolosi, a un avventuriero allocato, non a caso, nel paradiso fiscale del Lussemburgo. Se non ci fosse stata l’inchiesta di Barresi nessuno avrebbe saputo niente di niente e il Balilla dello “spendi & spandi” avrebbe continuato tranquillamente a trovare sempre maggiore spazio tra le gerarchie di Fratelli d’Italia e a godersi di conseguenza i frutti della sua irresistibile carriera politica.
Poi ci sono i giornalisti, anche di testate autorevoli, che davanti a scandali come quello incorniciato dalla passerella di Cannes preferiscono – legittimamente, ci mancherebbe – minimizzare le storie turbolente per occuparsi in tutta tranquillità della piazzetta dello Zen – un esercizio che impegnava L’Ora degli anni ’60 – o perché li intriga di più la cronaca della politica politicante, quella delle risse tra i partiti e delle faide interne ai partiti: è una libera scelta professionale.
In coda ci sono i giornalisti che non avendo un giornale di riferimento si guadagnano il pane con gli uffici stampa. Sono dignitosi, onestissimi, professionalmente ineccepibili: meritano la più ampia considerazione e il massimo rispetto. Non si può dire altrettanto invece di quelli che, vissuti per anni ai margini di una professione che richiede fatica, impegno e un pizzico – solo un pizzico – di cultura, si muovono nel sottobosco del potere politico. Sono i pagnottisti, una cerchia per fortuna ristretta. Si arrangiano mettendosi al servizio del potere che, a sua volta, li ricompensa affidando loro alcuni servizietti inconsistenti ma pagati profumatamente dalla Regione: uno strapuntino in un ente di cui nessuno si occuperà mai, come il Corecom, ma comunque pagato con uno stipendiuccio mica male; un cachet di seimila euro alla volpe argentata dei patrioti, poi approdato anche lui alla corte di Schifani; seimila euro in una sola botta per due comunicati stampa su una manifestazione al tempio di Segesta; una velocissima delibera di oltre trentamila euro al traffichino di Capaci che ha seguito ufficialmente il festival del jazz e ufficiosamente la campagna elettorale di Schifani; un appaltino truccato al marpione che campa organizzando per ogni assessore una cerimonia dell’incenso al bar dei leccaculisti: insomma, un vergognoso girotondo di sprechi, di favori, di comparaggi, di consorterie, di accordi sottobanco: a chi sono andati i quattrocentomila euro stanziati dal Balilla per la stampa e propaganda sullo sporco affare di Cannes o le carrettate di piccioli regalati ad amici e parenti per le celebrazioni a Catania di Vincenzo Bellini e per una mostra di cavalli fortissimamente voluta a Palermo dal presidente Musumeci? Boh, nessuno riesce a saperlo: gli assessori, ovviamente, nascondono gli elenchi per non scivolare sul terreno infido del traffico di influenze o nella palude ancora più limacciosa dell’abuso e della corruzione.
Quegli elenchi avrebbe potuto chiederli, con l’autorevolezza che gli assegna la legge, l’Ordine dei giornalisti di Sicilia: non per invocare punizioni ma per regolamentare un fenomeno che da tempo ha scavalcato i confini della decenza. Questo giornalino, nel suo piccolo, ha inviato un anno fa ai vertici dell’Ordine una lettera che, in maniera molto educata e rispettosa, voleva semplicemente attrarre la loro attenzione su un malcostume nauseante che, purtroppo, contamina e inquina non solo le istituzioni, anche l’immagine di una intera comunità professionale. Ma i vertici dell’Ordine – tra i quali, manco a dirlo, c’è pure un professionista dell’antimafia – non hanno avuto né la sensibilità né la buona educazione di rispondere alla lettera. Convinti, come succede in certe redazioni della Rai, che basta galleggiare tra il niente e il nulla per ottenere una promozione o per agguantare un incarico di prestigio.
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Nella foto Roberto Gueli, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia