Questa Finanziaria di cartone ha tutte le sembianze di una “cambiale in bianco”, mutuando una parte dell’intervento di Francesco Cappello, portavoce del Movimento 5 Stelle. Perché uno stato d’incertezza così profondo la Regione siciliana non l’aveva mai vissuto. S’è trovata ad affrontare gli effetti di una pandemia nel bel mezzo di una sessione di Bilancio. Ma lo sta facendo con armi spuntate, senza risorse proprie, tanto da dover sacrificare sull’altare dei siciliani affamati – il 10,3% delle famiglie ha raggiunto la soglia di povertà – alcuni fondi extraregionali destinati agli investimenti. Sono in ballo un miliardo e ottocento mila euro.
Oggi il testo della Legge di Stabilita approda all’Ars, ma non è ancora chiaro – non a tutti – come sarà possibile erogare queste somme ai destinatari dei provvedimenti, né (eventualmente) entro quali termini: da un lato ci sono famiglie e imprese soffocate dall’emergenza sanitaria ed economica; dall’altro gli enti locali (comuni in primis) e lavoratori, solitamente precari, che si arrabattano da anni. E che fra qualche mese potrebbero ritrovarsi sotto Palazzo dei Normanni a chiedere conto e ragione del perché questi bei soldoni, promessi a lungo, non siano stati liquidati. Non è ancora tempo di fasciarsi la testa, ma c’è un inghippo bello grosso che va spiegato. I fondi extraregionali si dividono in due categorie; 1,6 miliardi di fondi Poc, cioè del programma operativo complementare, a cofinanziamento statale; e 254 milioni del Po Fesr, i cosiddetti fondi strutturali comunitari. Una parte ingente di questa cifra è già impegnata in progetti specifici, così come nei giorni scorsi l’Ordine dei Commercialisti ha fatto notare al vicepresidente Gaetano Armao.
Si tratta dei cosiddetti “atti giuridicamente vincolanti”: parecchi avvisi, emanati da alcuni assessorati (Attività Produttive su tutti), hanno già una graduatoria e delle imprese assegnatarie. Cambiare la destinazione d’uso a questi fondi, secondo commercialisti e dottori contabili, “per motivi non attinenti alle imprese ma per inerzia della pubblica amministrazione (…) darebbe adito a innumerevoli contenziosi, oltre ad essere ingiusto da un punto di vista umano/economico (pensi a quanti imprenditori hanno avviato ed alcuni concluso gli investimenti ed ora aspettano il ristoro economico di quanto speso)”. Così la commissione Bilancio è intervenuta e ha stralciato il comma 2 dell’articolo 5 della Legge di Stabilità, lasciando però al governo la prerogativa di riprogrammare “tutte le somme purché libere da obbligazioni giuridicamente vincolanti o prive di graduatorie di assegnazione (…) per la realizzazione del ‘Piano per la ricostruzione economica’”.
Ma di che somme si parla? E’ stata fatta una ricognizione per capire quali sono vincolate e quali è possibile svincolare? Qual è la norma che autorizza, e in che termini, la rimodulazione dei fondi Poc, affinché centinaia di milioni vengano spostati da un asse (è così che si chiama l’obiettivo di spesa) all’altro? E soprattutto: in quanto tempo potrà avvenire? E’ chiaro, infatti, che trattandosi di fondi extraregionali – la storia dei cento milioni per l’assistenza alimentare ce lo insegna – la macchina burocratica richiede tempi più lunghi del solito (nonostante l’Europa abbia garantito maggiore flessibilità di spesa). Com’è altrettanto chiaro che stornare le cifre da determinati obiettivi – per garantire i prestiti al consumo alle famiglie o il fondo perduto alle imprese – potrebbe intaccare alcuni investimenti fondamentali per l’Isola. Il deputato grillino Luigi Sunseri, a tal proposito, ha citato i 300 milioni utili alla depurazione delle acque (la Regione siciliana è tra quelle con più sanzioni), oppure i 100 milioni destinati alle aree di crisi complesse come Gela e Termini Imerese, i cui sindaci hanno fatto di tutto per scongiurare il pericolo. Comunque la si tiri, la coperta resta molto corta.
I tempi della burocrazia, inoltre, rischiano di danneggiare chi da questa manovra, in teoria, potrebbe avvantaggiarsi. Guardate cosa è successo ai Comuni destinatari dei 100 milioni di Musumeci: intanto, la Regione ha avviato i mandati di pagamento per una parte della cifra (30 milioni appena), ma adesso tocca ai sindaci che, dopo aver sottoscritto l’atto di adesione e dato la propria disponibilità a ottenere le risorse, non sanno effettivamente come erogarle. I fondi comunitari, infatti, richiedono un iter di rendicontazione particolareggiato e la Regione, in mezzo a tutte le task force messe in campo per ovviare agli effetti della pandemia, non è riuscita a crearne una per dare manforte alle amministrazioni locali, magari prevedendo modelli uniformi e procedure semplificate. Niente. Quei soldi, sotto forma di voucher per la spesa (ma ci si potrebbero pagare anche affitti e bollette) chissà quando arriveranno. E’ la stessa fine che rischiano di fare i fondi previsti dalla Finanziaria: taluni destinati a iniziative sociali e strumenti di sostegno al reddito per i lavoratori atipici, discontinui e stagionali; altri ai comuni e all’Irfis (per l’attivazione dei prestiti al consumo per le famiglie e per l’iniezione di liquidità alle imprese); altri ancora all’agricoltura (53 milioni di euro) e alla pesca (30) o per la ricapitalizzazione di Riscossione Sicilia.
Troppe poche certezze per una Finanziaria che in aula qualcuno ha definito “post bellica”, o “Finanziaria comunicato-stampa”, espressione coniata dal deputato del Partito Democratico, Antonello Cracolici, per evidenziare che dietro i proclami c’è pochissima ciccia. Quella di Armao e Musumeci è una manovra che non potrà contare, inoltre, sul miliardo di contributo regionale alla finanza pubblica che l’assessore all’Economia avrebbe voluto trattenere a Palermo. Tutto o in parte. Ancora una volta, però, il negoziato con Roma, che sembrava a un passo dalla chiusura, non ha portato alcun risultato. Lo si legge fra le righe di una relazione dello stesso Armao al Def 2020, il documento di economia e finanza, approvato qualche giorno fa dal governo Conte.
Scrive il vicepresidente della Regione che, in seguito alla sospensione dei “parametri di finanza pubblica relativi al deficit di bilancio per far fronte all’emergenza Covid-19 (…) anche per la Regione siciliana vi è una priorità di salvaguardia degli equilibri di bilancio. Va quindi considerato quanto tale sospensione possa incidere sul contributo al risanamento della finanza pubblica richiesto alla Regione siciliana”. La richiesta da parte di Palazzo d’Orleans di “veder ridotto o, come prospettato, azzerato per il 2020 ed il 2021, il contributo al risanamento della finanza pubblica che per la sola Regione Siciliana ammonta a 1,1 miliardi di euro per far fronte alle drastiche previsioni di minor entrata” viene definita “ineludibile” ma “della segnalata riduzione non è dato riscontrare segno alcuno nel testo del DEF, nonostante le formalizzazioni e le riunioni tenute”. I continui tentativi di interfacciarsi coi ministri Boccia e Provenzano, e con il viceministro all’Economia Antonio Misiani, ha prodotto il nulla più assoluto.
Alla Sicilia rimane una Finanziaria di cartone e l’indecenza di alcuni numeri, ripresi nella relazione dallo stesso Armao: secondo i dati forniti dall’agenzia Cerved, “il sistema economico siciliano subisce un impatto marcato dagli effetti delle misure di contrasto alla pandemia: 7.500 imprese in crisi di liquidità (18,7% del campione); 92 mila lavoratori in queste imprese, a rischio disoccupazione (28%); 1,5 miliardi di liquidità necessaria per evitare che le crisi di liquidità si traducano in fallimenti. Più specificamente il fatturato medio delle aziende siciliane subirà una contrazione di 10,5 punti percentuali nel 2020 e di ulteriori 4 punti nel 2021, mentre tra i settori produttivi principalmente percorsi dall’epidemia vi sono il turismo e i trasporti, stimando per la Regione siciliana una potenziale perdita del fatturato 2020, per tali settori, compresa tra il 10% e il 20%, esponendo le imprese siciliane ad un rischio di default che è 4 volte superiore che nel Centro-Nord”. Il blocco delle attività produttive all’interno della Regione ha interessato il 43% delle unità locali e genera, per ogni mese di blocco, una riduzione di fatturato pari a oltre 2,8 miliardi di euro. Un caos numerico, e pure di sostanza, che il governo regionale non sa riequilibrare e per il quale Roma denota una certa indifferenza. La verità è che la Sicilia non sa davvero più a che santo votarsi. Di certo non a questa Finanziaria di cartone.