L’ultima visita di Renato Schifani nella Capitale si è conclusa con un contentino: il Consiglio dei Ministri, infatti, ha stanziato 20 milioni per porre rimedio all’emergenza idrica che rischia di buttare sul lastrico migliaia di agricoltori e allevatori. Nell’Isola non piove e la Regione, dopo aver annunciato misure in tempi rapidi, istituendo una cabina di regia ad hoc, alla fine ha fatto ricorso alla soluzione più ovvia: vale a dire la richiesta dello stato d’emergenza che si traduce, appunto, nel riconoscimento di una cifra irrisoria. Con 20 milioni – e “l’impegno di implementare le risorse in tempi brevi” – la Sicilia dovrebbe attraversare indenne l’estate. Nonostante la siccità sia un elemento comprovato dai numeri: gli invasi hanno una capienza di 708 milioni di metri cubi, ma attualmente contengono acqua per 302 milioni. Al netto dei detriti depositati sui letti delle dighe, quelli a disposizione sono soltanto 167 milioni.
Il dramma ha costretto Schifani a salire a Roma per incontrare i ministri e presentare la propria relazione, anche se la cifra inizialmente richiesta dalla Regione era di ben altra entità: 130 milioni subito e 590 nel lungo periodo. Il governatore partiva da una richiesta minima di una cinquantina nei prossimi sei mesi, ma dovrà accontentarsi di molto meno. Il governo Meloni, infatti, ha deliberato lo stato di emergenza nazionale per una durata di 12 mesi, stanziando i primi 20 milioni di euro, “con la possibilità di incrementare le risorse in tempi brevi già nel corso dell’attuazione dei primi interventi”. Le soluzioni proposte dalla cabina di regia, guidata dal governatore e coordinata dal capo della Protezione civile regionale, sono differenziate in base ai tempi di realizzazione. Tra quelle di rapida attuazione (si fa per dire), l’acquisto di nuove autobotti nei Comuni in crisi e la sistemazione di altri mezzi in un centinaio di enti locali; circa 130 interventi tra rigenerazione di pozzi esistenti, trivellazione di pozzi gemelli e riattivazione di quelli abbandonati, oltre al revamping di una trentina di sorgenti; il potenziamento degli impianti di pompaggio e delle condotte; la realizzazione di nuove condotte di interconnessione e bypass.
Per i prossimi mesi – e qui viene il bello – si sta valutando la ristrutturazione e il riavvio dei dissalatori di Porto Empedocle, nell’Agrigentino, e di Trapani, “operazioni che richiederanno tempi e procedure di gara più lunghe, non essendoci deroghe sostanziali in materia ambientale e di appalti sopra soglia comunitaria”. Ad ammettere le lungaggini sotto il profilo burocratico è Palazzo d’Orleans in una nota. E stavolta Schifani non potrà cavarsela con un semplice richiamo ai burocrati perditempo. Bisognerà tornare a Roma, dall’odiato ministro Musumeci, e ragionare nell’ottica di una implementazione delle risorse. Anche se lo stesso Musumeci, che aveva giocato a fare il duro sull’altra piaga di stagione – gli incendi – ha già messo le mani avanti: “Si tratta di un primo stanziamento e altre risorse saranno rese disponibili man mano che la Regione procederà nei pagamenti”. Vuole far fare a Schifani quello che non riusciva neppure a lui: obbligare gli uffici a liquidare le fatture, in tempi celeri, nei confronti dei fornitori di appalti e servizi. Inoltre, fa rilevare il Ministro della Protezione civile, “gli interventi riguardanti il settore agricolo e quello delle infrastrutture idriche rientrano nelle competenze di altri ministeri, come abbiamo chiarito al presidente della Regione”.
Ci sarà da discutere e si apriranno altri fronti. Nel frattempo non resta che la danza della pioggia. Il meteo nei prossimi giorni promette benino, anche se consultare tutti i giorni le previsioni rischia di essere un fastidioso orpello per chi, dal primo momento, s’è impegnato a risolvere la questione. Schifani, con l’ex assessore Sammartino, aveva annunciato uno spiegamento di forze per dare sollievo ai settori dell’agricoltura e della zootecnica, certamente i più provati: i provvedimenti, però, risultano ancora troppo blandi. Fra questi, un vademecum “delle azioni e buone pratiche per il risparmio idrico potabile e la riduzione dei consumi”, che i sindaci avrebbero dovuto calare nei territori compromessi; poi, un contributo da 5,5 milioni con la previsione di sgravi sui canoni dei consorzi di bonifica e misure di semplificazione amministrativa; e l’istituzione di un Osservatorio regionale sugli utilizzi idrici per monitorare costantemente lo stato degli invasi e delle riserve di acqua.
Infine, lo scorso 13 marzo la giunta aveva approvato lo stato di crisi e di emergenza regionale nel settore idrico-potabile fino al 31 dicembre per le province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani. Mentre a febbraio aveva proclamato lo stato di calamità naturale da siccità severa per l’intero territorio siciliano e lo stato di crisi idrica sia per il settore irriguo sia per la zootecnia. Decisioni di natura amministrativa che non hanno portato a nulla. Almeno fino all’altro pomeriggio, quando è stato il Consiglio dei Ministri a prendere il faldone in mano, annunciando aiuti che per ora faticano a concretizzarsi. “La dichiarazione dello stato d’emergenza – ha detto ieri il capogruppo del Pd, Michele Catanzaro – certifica il fallimento di questo centrodestra che prima con Musumeci e adesso con Schifani ha riportato la Sicilia indietro di almeno 30 anni. Stiamo tornando ai tempi delle vasche da bagno piene e dei recipienti sui tetti”.
L’aiutino dello Stato diventa, ancora una volta, l’alibi per non fare nulla; per rimandare qualsiasi intervento (tanto poderoso quanto definitivo) sugli invasi e sulle reti idriche; per non riformare i Consorzi di bonifica, che da anni attendono una svolta (utile anche al miglior razionamento delle risorse). I piccioli romani distraggono delle responsabilità palermitane e finiscono per sancire il criterio che alla fine deve essere sempre qualcun altro a pensarci. Schifani non si è neppure sforzato per sostituire l’assessore all’Agricoltura, Luca Sammartino, che si è dimesso dall’incarico a seguito dell’inchiesta giudiziaria della Procura di Catania e l’accusa di corruzione.
Mal che vada finirà come con gli incendi. Dopo un lungo alterco con Musumeci per il mancato riconoscimento dello stato di emergenza da parte del governo centrale, Schifani aveva sollecitato i comuni per l’invio delle pratiche utili a chiudere il censimento dei danni provocati dai roghi. E alla fine si era giunti a un compromesso: il Consiglio dei ministri, lo scorso 26 febbraio, ha deliberato lo stato di emergenza per 12 mesi nei territori delle province di Catania, Messina, Palermo e Trapani, a seguito dell’eccezionale ondata di calore e dei gravi incendi e che si sono verificati a partire dal 23 luglio dello scorso anno. Le risorse stanziate ammontano a 6,1 milioni di euro. Pochi, forse. Dipende da come verranno spesi. Nel frattempo, però, nulla si è mosso sul fronte della prevenzione. Al netto dei forestali che potranno godere di 23 giornate lavorative in più e del noleggio di 10 elicotteri leggeri, non si vedono grossi scostamenti rispetto alla vigilia della scorsa estate. Che poi è andata come sappiamo.