Renato Schifani è tornato dove tutto è cominciato. Dall’alleato che, forse, ritiene ancora il più fedele: Ignazio La Russa. L’incontro con il presidente del Senato, dopo quello (infruttuoso?) con il Ministro degli Esteri Tajani, è l’ultima spiaggia per provare a evitare il “conflitto istituzionale” preannunciato dal governatore a SkyTg24 se il Ministero delle Infrastrutture non dovesse “restituire le maggiori risorse sottratte alla Sicilia, necessarie per sostenere importanti investimenti per lo sviluppo dell’Isola”. Allo scontro con Salvini non sembra esserci alcun antidoto – la presenza di Lombardo non depone a favore della pace – tranne l’intervento del n.2 di Fratelli d’Italia, che avrebbe garantito di trovare una soluzione allo “scippo” del vicepremier.
Palazzo Chigi e la Regione stanno litigando per 300 milioni, cioè la somma “extra” che Salvini ha vincolato (con una prova di forza) per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, e che Schifani ritiene di sua proprietà – più per una questione di principio che non di sostanza – per garantire le altre opere. Siamo al paradosso che la Palazzo d’Orleans deve ancora rendicontare un miliardo di fondi comunitari per la vecchia programmazione 2014-20 – la scadenza è fissata al 31 dicembre di quest’anno – e si confonde per 300 milioni che consentirebbero al Mit di far quadrare i conti dell’opera più gettonata, su cui la Regione s’è detta più volte d’accordo. Alla fine deciderà il ministro Fitto, ma diteci voi se non è una questione di principio…
Il capriccio sta da una parte e anche dall’altra: Schifani, a fronte di una promessa iniziale da 1,3 miliardi di co-finanziamento, a valere sui fondi di sviluppo e coesione, ha pensato di rivedere la cifra al ribasso (per una sorta di vendetta legata al mancato depotenziamento di Di Mauro, assessore ai Rifiuti del Movimento per l’Autonomia); Salvini ha reagito con la stessa moneta, trattenendo una fetta delle risorse destinate alla Sicilia. A monte. “Un piccolo contributo richiesto a Sicilia e Calabra mi sembra banale, che ci mettano una piccola fiche è normale” si è giustificato il Ministro delle Infrastrutture, senza dare alcuna stura alla polemica (“Le grandi opere le fai perché sei convinto che portino sviluppo”).
Il coinvolgimento di La Russa è il segnale che con Salvini sono crollati i ponti (per restare in tema) e che l’unico modo per recitare una parte da protagonista in questa storia, per Schifani, è affidarsi al suo “inventore”. A quello che l’ha voluto presidente della Regione, scegliendo da una rosa ristretta di esponenti di Forza Italia che non facevano impazzire neppure Berlusconi. Potremmo non dirlo, ma lo diciamo: La Russa, da agosto dell’anno scorso, è il vero e unico padrino politico del governatore siciliano, che è stato uno dei suoi predecessori a Palazzo Giustiniani (sede della presidenza del Senato). Ignazio lo conosce, lo capisce, comprende – lui che ha fatto il percorso inverso – quanto sia difficile passare da un ruolo diplomatico a uno operativo. Sa quant’è complesso, per Schifani, confrontarsi ogni giorno coi partiti della maggioranza, coi deputati della coalizione, con le opposizioni. E quanto sia dura resistere all’assedio senza sprigionare rancore a pallettoni.
La Russa è l’unica ancora di salvezza (ben più di Tajani). L’oracolo da consultare nelle situazioni d’emergenza. Oggi come due estati fa, quando il centrodestra – disintegrato dalle tensioni fra Micciché e il “cerchio magico” di Musumeci, costretto a rinunciare alla ricandidatura – ha scelto di mettere a capo della Regione “un palermitano di Forza Italia” che non incarnasse lo spirito miccicheiano del tempo; lo è stato per la nomina (dall’alto) degli assessori non-deputati, in quota Fratelli d’Italia, che per un attimo aveva orientato Schifani, arrabbiato per la mancata condivisione dei nomi e di un principio, verso le dimissioni immediate; ma anche in seguito, quando il presidente si attirò le antipatie della corrente turistica di FdI, dopo la minaccia di “licenziare” l’assessore Scarpinato. Ogni volta che il presidente della Regione e il partito di maggioranza relativa arrivavano a un passo dalla “guerra”, è intervenuto La Russa con l’elmetto. Sta succedendo anche stavolta.
“Il governo regionale ha sempre condiviso la strategicità di questa grande opera e aveva deliberato di essere pronto a collaborare con un miliardo di euro di risorse Fsc – ha detto Schifani a SkyTg24 – Fondi che adesso sono stati prelevati d’autorità dal governo nazionale. Il tema è delicato perché costituisce un precedente”. E ancora: “Occorre sempre una concertazione tra i vari livelli dello Stato, come prevede la Costituzione. Quindi mi auguro che questo fatto non si ripeta perché si aprirebbe un conflitto istituzionale che nessuno vuole”. La Russa si sarebbe impegnato a trovare una soluzione per ricucire le ferite, anche se lo scontro, da Roma, si sarebbe trasferito anche a Palermo, dove Forza Italia e Lega sono ai ferri corti. E dove la presenza di Raffaele Lombardo, federato con Salvini e in rotta di collisione con Schifani, non potrà agevolare il dialogo fra le parti: servirà, piuttosto, ad esaltare le “minaccette”, i “ricattucci” e le “squallide manovre”.
Non resta che il salvatore Ignazio, sebbene il compito, stavolta, possa apparire più gravoso. Anche la seconda carica dello Stato, talvolta, può alzare bandiera bianca. Persino di fronte a una nuova “minaccia” di dimissioni che il governatore avrebbe annunciato a Tajani. “Se è confermato – ha detto Cateno De Luca – noi siamo pronti a festeggiare e andare subito al voto anticipato”. La Russa permettendo.