In questa guerra di posizione attorno alle nomine appare tutto un po’ farlocco. Schifani che parla di “competenze”, mentre tutti sanno come opera; e Fratelli d’Italia che, anziché passare al contrattacco, si limita a contenere i danni. L’unica parolina fuori luogo è quella pronunciata dal capogruppo meloniano all’Ars, Giorgio Assenza, in un raro momento di fervore: “Da parte nostra non ci siamo mai permessi di criticare le nomine di Schifani – ha detto il deputato ibleo -. Né quando hanno riguardato ex deputati né quando, talvolta, i designati si sono dimostrati degli “scienziati””. La parola è scienziati, fra virgolette: sarebbe stato più opportuno arricchirla di un sottotesto o di un esempio pratico per comunicare cosa volesse dire: cioè che la maggior parte delle nomine fatte in questo avvio di legislatura dal presidente della Regione sono risultate, alla prova dei fatti, del tutto fuori luogo. Dall’assessore Volo all’ex vicepresidente Armao, passando per Tommaso Dragotto.
Lo sanno i partiti, lo sanno i parlamentari. Ma come i bambini, temono il bullo di turno e preferiscono tacere. Non conviene a nessuno farsi rubare la merenda. Così lo scontro politico, che talvolta fa parte del processo istituzionale, è congelato. O meglio: è finzione. Una rissa tra complici. Persino chi ha fatto più volte il salto della quaglia, da un partito all’altro, si appiglia alla “competenza”. Dopo la nomina di Fatuzzo e Cordaro nella Struttura commissariale per la depurazione, e l’invettiva di Schifani, anche Marianna Caronia (li ha girati quasi tutti i partiti, tranne Pd e Cinque Stelle) s’è schierata al fianco del governatore: “In un settore strategico come quello della depurazione delle acque non si possono improvvisare nomine se non ancorate a competenze tecniche e scientifiche, prima ancora che a esperienze politiche”.
Ma, esattamente, cosa intende per “competenza”? Come può un parlamentare dell’Ars, spesso politico di professione, dire chi è tecnicamente competente e soprattutto in base a cosa? Semplicemente, non può. Perché in Sicilia il carnevale delle nomine non è basato sulla “competenza” – cosa c’entra, con tutto il rispetto, un medico come Ciccio Cascio alla guida di Sicilia Digitale o un avvocato amministrativista come Armao a capo della commissione tecnico-scientifica per le autorizzazioni ambientali? – ma sull’appartenenza. E’ la politica a giocare col sottogoverno e a goderne. E Fratelli d’Italia, in questo particolare settore, ha goduto più di altri. Ha utilizzato Schifani come un bancomat da cui trarre profitto: in primis per la scelta degli assessori. Un paio di patrioti, Pagana e Scarpinato, sono stati aggregati alla giunta senza avere le carte in regola: non avevano né il seggio da deputato, ma soprattutto alcun tipo di pregresso in settori strategici come quelli assegnati. Ecco il primo bonus per i meloniani.
Nel caso di specie, da sei anni circa, Fratelli d’Italia non si schioda dall’assessorato al Turismo. Con Pappalardo prima e Messina poi ha costruito un regno. Ha affidato incarichi senza bando di gara (come nel caso di Cannes); ha gestito imponenti istituzioni culturali come una privativa, prendete l’Orchestra Sinfonica, che per un paio d’anni è stata commissariata (con l’ex ufficiale della Guardia di Finanza, Nicola Tarantino); ha ottenuto il rientro dalla pensione di alcuni dirigenti, come Lucia Di Fatta, considerata la madrina di SeeSicily (che per altro è risultato un programma fallimentare) e tornata al servizio di Elvira Amata, a titolo gratuito, per gli affari correnti. Senza perderci in esempi troppo lontani, FdI ha dominato la scena in cinque anni di governo Musumeci: l’assessorato alla Salute capitanato da Ruggero Razza aveva scelto un consigliere comunale di Palermo senza alcuna competenza specifica (lo scriveva il quotidiano ‘la Sicilia’) per amministrare l’Oasi di Troina (facendo imbizzarrire il Vaticano); e anche al Cefpas di Caltanissetta la nomina di Sanfilippo, confermato da Schifani dopo un’iniziale riluttanza, è risultata funzionale ad amministrare un patrimonio inestimabile in termine di assunzioni e tornaconto elettorale.
Fratelli d’Italia, specie nell’ultima fase, ha imparato come funziona il mondo delle nomine (e non se ne perde una). Non deve per forza sostenere che Fatuzzo e Cordaro sono i migliori al mondo né, per dirla con Salvo Pogliese che la “capacità e la grande esperienza amministrativa” di Fatuzzo “saranno certamente funzionali al nuovo prestigioso incarico”. Può anche essere, ma non è detto. L’idea di inquadrare i propri come i “migliori” non è una tattica vincente e soprattutto non rende un buon servizio alla verità. Bastava dire che Fratelli d’Italia è piena di tecnici competenti e che del lotto faceva parte anche il neo commissario unico alla Depurazione, che fu parlamentare di Alleanza Nazionale e assessore dell’ex sindaco di Catania Scapagnini. Invece il tentativo perenne di giustificare le proprie azioni, e condannare quelle altrui, rischia di far precipitare la dialettica in una farsa. Com’è appena avvenuto.
Se davvero FdI avesse preso sul serio le accuse di Schifani, e non le avesse considerate parte di una grottesca pantomima, avrebbe reagito con stizza: citando i numerosi episodi in cui il governatore non ha preservato alcuna “competenza” e imposto persone a lui care. Cioè praticamente sempre. Perché in questo primo scorcio di legislatura non c’è una sola scelta che possa dirsi vincente: la “tecnica” Volo alla Sanità ha fallito su tutta la linea, di Armao e Vicari si conoscono gli stipendi e non ancora i (primi) risultati da ‘esperti’, di Dragotto sono emerse tutte le contraddizioni, con Riggio litigare è stato un attimo. E via discorrendo. Ecco perché, sulla base di quest’elenco che presto si arricchirà di altri potenziali clientes (a fine ottobre scadono i contratti dei manager della sanità) si sbaglia a pretendere il rispetto del criterio della competenza. Che merito o risultati sul campo può aver conseguito un sottoufficiale dell’esercito come Scarpinato per finire ai Beni culturali? O un imprenditore come Peria per fare il sovrintendente della Foss e il capo del Corecom?
C’è una contraddizione di fondo che la politica finge di non vedere, e che non vuole esplorare. Perché conviene a tutti. Schifani, con una sonora cazziata, dimostra di avere il polso della situazione (l’appoggio di Lega e centristi è manna dal cielo); Fratelli d’Italia, incassando a malincuore, conserverà una prelazione sulle scelte future. Inoltre, è stato il partito della Meloni ad aver portato l’ex presidente del Senato sullo scranno d’Orleans: a volte sembra averne le tasche piene, è vero, ma poi la realpolitik prevale. A scaricarlo adesso, Meloni ci perderebbe la faccia. Ma anche il governatore non può fare a meno dei suoi principali azionisti. I dissidi con Messina (per Cannes), con Urso (sulla Sac), con Musumeci (sugli aeroporti), con Cordaro (per le fogne) finiranno presto nel dimenticatoio. E nessuno si strapperà le vesti.