Fratelli d’Italia è l’unico partito che cresce. Lo ha detto Giorgia Meloni, parlando del risultato in Emilia Romagna e Calabria, lo ribadisce Raffaele Stancanelli, che qualche mese fa aveva rivelato l’esistenza di un sondaggio che dava l’ex Fiamma al 15% in Sicilia. Osservare da vicino le dinamiche calabresi, per tutta una serie di affinità, permette di capire l’orientamento degli elettori anche in Sicilia, sebbene la data delle prossime Regionali resti lontana (il 2022). Eppure, nel trambusto di questi giorni, anche all’Ars è in corso una manovra di assestamento dopo l’ingresso della Lega di Salvini (il segretario del Carroccio sarà a Palermo lunedì), che porterà all’inevitabile rimpasto di fine primavera. Anche se al momento, Stancanelli, non sembra molto interessato: “Figuriamoci se Fratelli d’Italia, in questa fase, può pensare alle poltrone…”

Ma è vero che l’ingresso della Lega all’Ars ridetermina il quadro di governo.

“Non mi piace entrare nelle dinamiche d’aula o di palazzo, specie se non li frequento personalmente. Prendo atto che è nato il gruppo della Lega. I parlamentari che ne fanno parte arrivano da altre esperienze di centrodestra ed erano già all’interno della maggioranza. Questo di per sé è significativo…”.

Anche se si sono posti con un certo piglio. Pretendono un cambio di passo e vigileranno sull’operato del governo.

“Che ci siano state difficoltà è sotto gli occhi di tutti, perché, come dice Musumeci, dalle urne non è uscita una maggioranza chiara. Ma l’azione di governo va valutata dopo cinque anni, e invece ne sono passati due. Il termine “vigilare”, invece, non mi trova d’accordo. Un partito che fa parte di una coalizione partecipa all’azione dell’esecutivo, aiuta, collabora, suggerisce. Non vigila. All’interno di una coalizione non esistono “buoni” e “cattivi”. Ognuno prova a dare un contributo – in termini di idee e di progetti – secondo la propria sensibilità”.

L’impressione è che questa coesione da lei richiamata non si sia vista così spesso…

“Questo governo va lasciato lavorare. Le difficoltà ci sono, ma è importante che non si creino fibrillazioni che attengano a rapporti personali o particolari, ancorché politici”.

Serve un collante.

“Il vero leader è colui che riesce ad amalgamare le varie anime della coalizione. Il vero federatore è quello che riesce a parlare con tutti. E’ un lavoro che in futuro va necessariamente svolto per fare in modo che la Sicilia continui ad avere un governo stabile di centrodestra. Due anni e mezzo fa, anticipando quanto è accaduto in Calabria, siamo riusciti a dialogare con tutti – io mi sono speso in prima persona – e a non far prevalere i risentimenti personali. Se non era per la fermezza di Giorgia Meloni, Musumeci difficilmente sarebbe stato il candidato alla presidenza della Regione”.

Ma Musumeci può essere ancora l’equilibratore e il garante di una coalizione così variopinta?

“Io di mestiere non faccio il mago. Chiunque voglia essere il protagonista di un’azione del centrodestra, non può isolarsi rispetto a tutte le sensibilità presenti in quell’area. Ma deve agire per continuare ad aggregare, facendo sentire tutti a casa”.

E pensare che lei al governatore aveva offerto un assist importante all’ultimo congresso: federarsi con FdI.

“Tutti conoscono il mio percorso e quello che provato a fare. Volevo ci fosse un aggancio con chi, meglio di tutti, può rappresentare l’amalgama del centrodestra: cioè Giorgia Meloni. Non è servito… Ma oggi, a dispetto di chi ci voleva al 2 o al 3%, Fratelli d’Italia ha raggiunto il 12% a livello nazionale e il 15% in Sicilia. Questo conferma la centralità della nostra azione”.

Salvini ha messo sul piatto il “vostro” Salvo Pogliese. Potrebbe essere lui il prossimo candidato alla presidenza della Regione?

“Glielo ripeto, non ho alcuna dote divinatoria. Il miglior candidato possibile è colui che sarà in grado di unire. Pogliese è un ottimo amministratore, un bravo politico, che da qualche mese è ritornato nel suo alveo naturale. Mi auguro che possegga le caratteristiche per essere al centro della scena. Ma non può essere il candidato di questo o di quello, bensì il candidato di tutti. Il fatto che Salvini lo apprezzi non può che farmi piacere”.

Perché Fratelli d’Italia ha raccolto anche in Emilia Romagna – una roccaforte della sinistra – l’8,6%?

“Il risultato è la logica conseguenza del percorso iniziato qualche anno fa: cioè ricompattare la destra italiana, che aveva attraversato un gravissimo periodo di crisi. Ma la novità più importante, che ci porterà ad avere risultati sempre migliori, è il fatto di essere diventati il riferimento di quanti, nonostante non provengano da una militanza o una cultura di destra, possiedono i nostri stessi valori. E ci consentono di rappresentarli”.

Siete diventati una destra moderata.

“Fratelli d’Italia può rappresentare questo mondo. E io sono contento che stia avvenendo”.

Ma in Emilia Salvini ha sbagliato qualcosa? In molti gli rinfacciano la scelta del citofono.

“Partiamo da una considerazione necessaria: fino all’anno scorso, nessuno si sarebbe sognato di mettere in discussione il risultato dell’Emilia Romagna. E invece il centrodestra ha preso il 45%. Poi, è ovvio, io alcune manifestazioni non le avrei fatte. Ad esempio, la stragrande maggioranza degli elettori di FdI e Forza Italia non ha dato un giudizio positivo su quella citofonata, anche se nemmeno i sondaggisti sanno quanto abbia influito sul risultato. Un centrodestra vincente non può apparire radicale, soprattutto agli occhi dell’elettorato più conservatore, che al contrario vuole essere tranquillizzato e non vuole cedere alla logica della preoccupazione e della paura”.

Salvini adesso minaccia voi e Forza Italia sulle scelte dei candidati in Puglia e Campania. Lei, che lavora gomito a gomito con Raffaele Fitto, l’ha visto preoccupato?

“Io ritengo che la caratteristica maggiore di un leader sia tener fede alla parola data. E su quelle regioni, così come sulle Marche e altre, gli accordi sono già stati fatti. In Puglia Fratelli d’Italia si era impegnata a proporre un candidato di punta: meglio di Fitto non ne vedo. E’ bravo nelle dinamiche elettorali, ma anche nell’attività amministrativa. E’ uomo che proviene dal centrodestra e riesce a coniugare tutte le caratteristiche di quel mondo. La Meloni ha detto che è lui il nostro candidato e se Salvini vuole fare il leader della coalizione, non credo vorrà ostacolarlo”.

Pensa che la crisi dei Cinque Stelle possa avere ripercussioni anche in Sicilia?

“Da quando è nato il fenomeno Cinque Stelle, io ho sempre sostenuto che era una risposta – secondo me sbagliata – nei confronti del male assoluto, che per loro coincideva con la classe politica. Quella reazione gli ha regalato milioni di voti, in Sicilia alle ultime Politiche hanno conquistato tutti i collegi. Ma alla prova dei fatti, quello che consideravo un errore di prospettiva si è rivelato tale. Non governi coi vaffa, parlando di onestà o maledicendo la casta. Su quei temi possiamo ritrovarci tutti. Quello che manca è una proposta politica seria, un costrutto. Il M5s ha messo in campo solo il reddito di cittadinanza: ma in Calabria, a fronte di 60 mila percettori, hanno preso soltanto 40 mila voti. Oggi la casta sono loro: infatti non si creano alcun problema a rimanere al governo con la Lega o col Pd. Il governo nazionale si regge su 300 parlamentari grillini. Se si andasse a votare domani, col proporzionale che vogliono introdurre, riuscirebbero a malapena a salvaguardare 30 o 40 poltrone. Non sono più determinanti per la politica italiana. Sta tornando il bipolarismo che è il sale della nostra democrazia, in cui a competere sono centrodestra e centrosinistra”.

Il Parlamento Europeo, di cui fa parte, ha appena ratificato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.

“L’Unione Europa non ha potuto che prendere atto di una volontà sovrana del popolo inglese. Il fatto che esca dall’UE non vuol dire, però, che esca dall’Europa. L’Europa è una storia che dura da più di mille anni, che si fonda sull’unità cristiana. L’Unione Europea, invece, è una sovrastruttura che spesso non si occupa delle cose essenziali dell’Europa – come salvaguardia e politica estera – ma di argomenti che sovrastano la sovranità nazionale”.

A Bruxelles avete accolto anche la senatrice Liliana Segre, che custodisce la memoria dell’eccidio nazista.

“Quanto successo durante la seconda guerra mondiale va sempre ricordato. L’Olocausto è stata una tragedia dell’umanità, non soltanto del popolo ebraico, che non si deve più ripetere. Quindi approvo tutte le manifestazioni che vanno in quella direzione. Quello che sovente mi colpisce, però, è come certi gruppi, in modo particolare le sinistre, utilizzino questo sentimento tipico delle persone perbene (tutte quante), per motivi politici, per aizzare le masse contro chi non appartiene alla storia della sinistra. Questo non lo posso accettare. Non bisogna utilizzare la Segre in chiave partitica, ma come simbolo di una sofferenza che va rispettate e riscattata. Altrimenti è solo speculazione”.