Alla grande festa di Mediaset – quella che si registra ad Agrigento il 31 agosto ma andrà in onda il 24 dicembre – non potrà certamente mancare Renato Schifani. Il presidente della Regione ha stanziato per il concerto de i tre tenori del “Volo” una cifra enorme, oltre ottocento mila euro e, da ufficiale pagatore, avrà diritto a un posto di tutto riguardo, quasi da prima donna. Un posto blindato, ovviamente. Anche per evitare che un pazzerellone agrigentino, scostumato e impertinente, possa irrompere in platea e ricordargli il dramma di una città dove l’acqua scorre dai rubinetti due giorni alla settimana. Le telecamere gli dedicheranno un primo piano con lo sfondo della Valle dei Templi e lui sarà felice e contento perché avrà servito Pier Silvio Berlusconi con lo stesso ossequio con il quale, prima da capogruppo e poi da presidente del Senato, serviva il fondatore di Forza Italia. L’unico dubbio riguarderà il vestito. Il network televisivo richiede, per il pubblico e per gli ospiti d’onore, un dress code invernale: la vigilia di Natale abitualmente fa freddo e Mediaset non vuole deludere i propri fan. Lui non si tirerà indietro. Abituato a ubbidire – e anche a ubbidire esagerando – indosserà comunque un pastrano molto pesante. Lo angoscia un dubbio. Per sciogliere il quale si mantiene in stretto contatto con Simona Vicari, la zarina di Palazzo d’Orleans. Il dubbio è questo: gli si attaglia di più un cappotto alla cosacca e dotato di colbacco come quello indossato da Totò e Peppino per lo sbarco tra la nebbia di Milano o è preferibile un cappotto di cammello, largo e abbondante, come quello scelto, con ruffiana disinvoltura, da Alain Delon ne “La prima notte di quiete” di Valerio Zurlini? Senza dimenticare che c’è il pastrano trasandato, logoro e sensuale, col quale Marlon Brando, nel “Ultimo tango a Parigi”, seduce fino allo spasimo la giovanissima Maria Schneider. E che c’è pure il cappotto “nocella” dello zio che Nennillo, in “Natale in casa Cupiello”, si vende di nascosto in cambio di poche lire.
Ma pare che la zelante zarina non voglia ricalcare né i miti del cinema né la grande commedia di Eduardo. Meno che meno la grande letteratura: “Il Cappotto” di Gogol’ non l’ha preso nemmeno in considerazione e “Il cappotto di Astrakan” di Piero Chiara è stato addirittura cestinato. Non resterebbe che il loden di Mario Monti, un classico: fece epoca, divenne il simbolo della buona politica e, soprattutto, dei conti in ordine. Ma il rigore non è roba che va molto di moda in un Palazzo d’Orleans che ha visto le scempiaggini del Bullo e gli sprechi del Balilla: bocciato anche il loden di Monti.
Forse la questione – siamo in presenza, si badi bene, di una questione estremamente delicata – sarà risolta più che dalla zarina, da quella volpe argentata che risponde al nome di Andrea Peria, pagnottista di prima fila e all’un tempo uomo di spettacolo. Per dimostrare che, malgrado il tonfo dell’Orchestra Sinfonica, resta comunque il candidato ideale per la sovrintendenza del Massimo, Peria farà confezionare dai costumisti del teatro un cappotto fumo di Londra, a doppio petto, identico a quello che indossò Silvio Berlusconi nel 1994, subito dopo avere annunciato la discesa in campo. E quando Schifani arriverà impupato così alla Valle dei Templi, cameramen e operatori di ripresa lo scambieranno per il Cavaliere. A quel punto gli toccherà abbottonarsi velocemente il cappotto, salire sul palco, allontanare i tenori del “Volo” e pronunciare un discorso alla Nazione. “L’Italia è il paese che amo…”