New York, New York Sospiri palermitani

Francesco Massaro

La mia amica Gabriella vive a New York, o forse dovrei dire viveva. È qui da agosto, e quando le chiedo “ma quando torni a New York?” lei risponde che non lo sa. Racconta che è in vacanza, ma questo soggiorno prolungato costituisce, soprattutto per un soggetto cronicamente sospettoso come me, più di un indizio.

Gabriella, che è nata e cresciuta a Palermo, vive (o forse dovrei dire viveva) a New York da molti anni. Ha un bel lavoro. Duro, pesante, ma gratificante. Ore e ore a studiare carte e spesso anche il sabato e la domenica. Però vive a New York, che è un po’ il sogno provincialotto di noi che ogni tanto parliamo con gli amici e ci scappa “ah, se potessi andrei a vivere a New York”.

Gabriella è la perfetta incarnazione dell’American Dream. La green card, che è un po’ come beccare il Superenalotto, la gavetta in uno studio legale importante, la corsa verso quello che noi chiamiamo pomposamente successo professionale. Vive lì da anni, ha una bella casa, amici, una vita sociale appagante.

Ma è qui da agosto, e l’altra sera mi ha detto che non si immagina a New York per sempre. Intanto è in vacanza (dice) e sta riflettendo, aspetta forse che la decisione maturi. Intanto ha dato in subaffitto il suo appartamento. L’ho ascoltata senza dire niente, senza nessuna delle mie solite domande insolenti e ficcanaso.

Ho paura. La verità è che ho una fottuta paura di sentirle dire che le manca Palermo, il sole, il mare, l’affetto della gente, la sua città, la sua famiglia. Ho paura di sentirle dire che le manca la sua amata Pantelleria, la granita, l’arancina. Ho paura di sentirle elencare tutti i luoghi comuni che odio, di sentirle accampare alibi che una come lei, una con la sua storia, la sua grinta, la sua determinazione, non meritano.

Ho paura di scoprire che Gabriella, incarnazione del Sogno Americano, è una siciliana di scoglio e che alla fine noi siciliani siamo legati a questa terra più di quanto non siamo disposti a credere, come affetti da una sorta di incurabile Sindrome di Stoccolma.

Ho soprattutto paura di scoprire che anch’io, fossi al suo posto, sceglierei di tornare, malgrado ogni tanto con gli amici, sognando, mi scappa di dire “ah, potessi vivere a New York…”.

Francesco Massaro :

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie