Un indomabile rancore verso Gianfranco Miccichè, colpevole di avere decretato la fine del suo governo. E un incontenibile livore verso i giornali che hanno raccontato le malefatte del suo cerchio magico: gli scandali del Bullo, le volgarità del Balilla, lo strapotere di Ruggero Razza, imperatore della Sanità. Nello Musumeci ieri a Catania ha dato sfogo alla sua rabbia. Lo ha fatto davanti a Renato Schifani, il candidato del centrodestra che, con ogni probabilità, gli succederà a Palazzo d’Orleans. Il quale – bisogna dirlo – ha incassato senza fiatare. Anzi. Ha ricoperto di genuflessioni il vecchio governo e ha promesso che chiamerà Razza a Palazzo d’Orleans. Ah, se anche i giornali fossero come Schifani: Musumeci non avrebbe il rimpianto di avergli dato 15 milioni della Regione e di non averli trasformati tutti in leccaculisti. C’è chi resiste.
Non resiste ai risentimenti, invece, la Confraternita delle Faccette nere catanesi: da Musumeci a Razza, da Manlio Messina, meglio conosciuto come il Cavaliere del Suca, fino a Enzo Trantino, venerabile maestro dei neofascisti cresciuti all’ombra dell’Etna. Il loro obiettivo è quello di accerchiare Schifani e rendere la sua ascesa traballante. Con un messaggio sin troppo chiaro: o ci dai quello che ci è stato tolto, o sarai condannato a governare senza una maggioranza, a cercare i voti in parlamento, oltre i confini della coalizione; o lasci i nostri uomini ai posti di comando, a cominciare da Ruggero Razza, o ti renderemo la vita difficile.
La Confraternita delle Faccette nere comprende anche Gaetano Armao, il multicasacca che è, da sempre e da par suo, un monumento vivente alla coerenza, alla trasparenza, alla legalità: di notte svolge le funzioni (anche clientelari) di assessore in un governo di centrodestra; ma di giorno piritolleggia a destra e manca come candidato del Terzo Polo, quello di Calenda e Renzi, avversari irriducibili di Meloni, Berlusconi e Salvini. Di casacche ne ha indossate e cambiate tante. In questa campagna elettorale ha raggiunto un record: quello di indossarne due contemporaneamente.
Però fateci attenzione. Armao e Schifani non perdono occasione per elogiarsi a vicenda. Cinguettano. Di fatto si preparano a trasformare gli elogi in una intesa politica. A sentirli parlare nasce addirittura un sospetto: che Schifani voti per Armao e che Armao segni sulla scheda il nome di Schifani. E’ la Sicilia dell’eterno inciucio, bellezza!