Diventerà Bellissima è un partito che s’è scordato di esistere. Ha legato la sua sopravvivenza al demone della ricandidatura che alberga in Nello Musumeci, smanioso di farsi largo per la seconda volta a palazzo d’Orleans. E all’alleanza di ferro con Giorgia Meloni, considerata un destino ineluttabile. Ma ha dimenticato che la politica si fa con o senza di loro. Che gli ideali dovrebbero sopravvivere al proprio leader, e a maggior ragione alla sua voglia smodata di restare attaccato a una poltrona. Invece il movimento del ‘pizzo magico’, di cui – orgogliosamente – Musumeci dice di non interessarsi personalmente (è anche un modo per responsabilizzare i triumviri che lo guidano: Aricò, Assenza e Savarino) è scomparso dalla scena. E mentre all’Ars funge da parafulmine per gli attacchi subiti dal presidente, nelle città è praticamente sparito dal dibattito. Inghiottito da Fratelli d’Italia a Palermo, dove non si legge neppure una riga di sostegno per la candidatura autorevole di Carolina Varchi; tanto meno a Messina, dove il resto della coalizione di centrodestra – al netto dei musumeciani e di FdI – convergono su Maurizio Croce.
Diventerà Bellissima, come accaduto alle Europee di tre anni fa, assiste. Fa da spettatore in una partita che, proprio in funzione del peso del suo leader, pretenderebbe una presenza assidua nell’undici titolare. A difendere le ragioni della destra anche sui territori e non soltanto all’interno dei palazzi. Ma sembra che il movimento ispirato a una frase di Paolo Borsellino, in questo momento storico, preferisca deresponsabilizzarsi rispetto alle decisioni che non riguardano il “capo”. Sarà la storia, magari fra qualche anno, a dire se si trattava o meno dell’ennesimo movimento leaderistico. Legato a doppia mandata alle sorti del suo esponente di punta. O invece no.
Per il momento prevale la sensazione di un partito appiattito su Musumeci, ma soprattutto su Fratelli d’Italia; di un movimento che non è riuscito a capitalizzare l’allargamento del proprio gruppo, all’Assemblea Regionale, grazie agli amici di Attiva Sicilia. Ogni singola decisione è delegata alla Meloni ed appare funzionale allo scopo che, insieme a lei, ci si è prefissati: ottenere il bis del governatore. A gestire tutto, però, è Ignazio La Russa, vero emissario di un gruppo di deputati che, negli ultimi mesi, ha toccato le dieci unità e ha fatto man bassa di potere: conquistando persino il secondo scranno di Sala d’Ercole grazie all’adesione di Angela Foti (per dirne una). Ci sarebbe poi la galassia del sottogoverno, dove gli uomini di Razza e Musumeci proliferano. Un contingente tale da giustificare un attivismo sfrenato. E invece no. L’unica mandataria del destino del “piccolo movimento regionalista” del governatore, che i sondaggi accreditano fra l’8 e il 9%, è Giorgia. Assieme ai suoi colonnelli: oltre a La Russa, che oggi parlerà con Berlusconi per avere qualche rassicurazione, anche Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli, che con la Sicilia c’entrano assai poco. Uno è di Tivoli, l’altro è di Firenze.
Diventerà Bellissima invece è un movimento a trazione regionalista, che in passato, per difendere la propria vocazione, ha sempre rifiutato la logica dell’annessione. S’è resa necessaria con le elezioni alle porte e dopo aver annusato il vuoto intorno. Ma oggi si rischia di andare in tutt’altra direzione. Quella che porta al soggiogamento. Partiamo da un’evidenza: Fratelli d’Italia non ha ancora scelto come comportarsi a Palermo. La Meloni sa perfettamente che separarsi – adesso – da Lega e Forza Italia rischia di avere ripercussioni tragiche per le Regionali e le Politiche. Non è escluso, pertanto, che il partito di Giorgia possa ripiegare sulla candidatura di Francesco Cascio, il candidato di Gianfranco Micciché se ce n’è uno, per avere anche solo una speranziella di passare all’incasso più avanti. Altrimenti sarà tagliata fuori a prescindere. In questo scenario Diventerà Bellissima sarà costretta ad adeguarsi: e pazienza se con Miccichè sono volate parole grosse, al limite dell’odio. Se la Meloni decidesse per Cascio, ai musumeciani non rimarrà che sostenerlo.
Con la speranza, magari, di ottenere un’ipoteca sulla Regione. Cosa che Forza Italia e Lega non si sentono di garantire. Non subito. Luca Sammartino, per fare un esempio, sarebbe disposto a ricompattare la coalizione sul nome di un altro meloniano (come Raffaele Stancanelli) pur di allontanare lo spauracchio di un secondo mandato da parte del suo acerrimo rivale. Se questo scenario dovesse prendere forma, e all’ultima curva anche Fratelli d’Italia decidesse di scaricare il governatore (come molti, all’interno del partito, auspicano), che fine farà lo stendardo giallo di Db? Siamo nel campo delle ipotesi. Probabilmente, degli azzardi. Ma è uno scenario che non si può trascurare.
Così come merita attenzione un’altra, possibile contingenza: che Musumeci, preso atto dell’impossibilità di andare avanti con questo governo, decida di azzerare la giunta e nominare solo assessori di fiducia. Significherebbe governare senza una maggioranza in parlamento (sai che novità), ma in quel caso Diventerà Bellissima – per pochi mesi – finirebbe per acquisire prestigio e forse un paio di assessori. Si tradurrebbe, quasi certamente, in un canto del cigno. Un movimento serio e non leaderistico, a questo punto, suggerirebbe una exit strategy meno cruenta: le dimissioni, magari? Forse no. Non porterebbero alcun beneficio a Musumeci, se non quello di sparigliare le carte e confondere le idee agli avversari. L’aspettativa di vita del suo partito ne uscirebbe, inoltre, dimezzata. Forse, una tregua. Una cessione di sovranità alla coalizione con lo scopo di imbonirla. E di riconquistare una fiducia andata persa per il diniego di Musumeci di coinvolgere gli altri partiti.
Ciò che emerge per il momento, però, è un silenzio surreale sulle questioni più attuali. Da Palermo (si è già detto sopra) a Messina, dove i due partiti di destra sono rimasti fuori dall’accordo generale su Maurizio Croce, che fra l’altro gode del sostegno di Ora Sicilia, la creatura dei Genovese (con i quali Musumeci resta in sintonia); passando da Catania, che dovrebbe essere la città più vicina al sentiment del governatore, ma ad oggi la più a rischio. Ogni ora che passa, infatti, a palazzo degli Elefanti salgono le quotazioni di Luca Sammartino e Valeria Sudano, leghisti dell’ultima ora, che starebbero lavorando per un diritto di prelazione sul dopo-Pogliese (nel capoluogo etneo si vota nella primavera del prossimo anno). Da ovunque si osservi questo quadro, si scorgono pochissimi spiragli. Da Diventerà Bellissima e Diventerà Nerissima è un attimo.