Non si è ancora spenta l’eco – si dice così con una modica dose di retorica – del successo dell’Italia del calcio costruita sulla serietà, l’impegno e lo spirito di squadra, che già una parte dell’Italia della politica torna a vestire i panni tradizionali, quelli dell’irresponsabilità e della furbizia. Di fronte alla ripresa dei contagi, Macron propone il green pass per ridurne il rischio e per spingere i riottosi a vaccinarsi. L’ipotesi trova vasti consensi in tutta Europa, ma fa insorgere Meloni e Salvini in nome della difesa della libertà, si capisce di quella di infettare, di fare ciò che si vuole senza tener conto del diritto degli altri, in questo caso il diritto alla salute, e di rimanere testardamente su una posizione antiscientifica e in fondo delittuosa.
C’è una logica che ispira l’atteggiamento dei due leader? C’è il solito, ripetuto messaggio a quanti trovano in loro il riferimento e in parte una sorta di giustificazione morale. Con questi bisogna tenere il filo, capiti quel che capiti alla loro salute e a quella degli altri cittadini, al sistema sanitario e all’economia. Nulla di tutto ciò può prevalere rispetto alla ricerca del consenso e, per il ringraziamento, attendere le prossime elezioni. Ma non credo siano del tutto irresponsabili i capi della Lega e di Fratelli d’Italia. Quando, fra pochi giorni, la proposta francese o qualcosa di analogo verrà adottata anche in Italia, non faranno le barricate. Si saranno accontentati di aver tentato di difendere la “libertà” degli Italiani. Avranno fatto la loro parte seppure con molta irresponsabilità. L’attitudine a governare e la misura, i due leader le tireranno fuori dopo.
L’Assemblea regionale sta approvando una sanatoria – un condono – che non si deve chiamare così, anche se è difficile trovare un sinonimo. Tuttavia, comunque si chiami, come sanatoria o condono, viene percepita la proposta in discussione da alcune migliaia di abusivi. La scelta è del tutto contraria al principio di legalità ed è un ulteriore bollo alla devastazione del territorio, riaprendo nuove prospettive in questa direzione. Io credo che di tutto ciò siano convinti anche quelli che dicono sì alla norma. Se, poi, come è molto probabile, il Governo nazionale dovesse impugnare tutto, loro ci avrebbero provato. In questo caso, a Roma si potrà dire che continuano a calpestare i “diritti” dei siciliani, a limitare la loro “libertà”, quella di fare ciò che si vuole nel proprio spazio abitativo e nel territorio che si ritiene di potere gestire senza regole, né impedimenti, né leggi.
A Cuba mancano elettricità, generi alimentari, acqua, medicine, e in particolare i vaccini contro il Covid. I salari sono inadeguati e la libertà resta a zero. Una parte della sinistra italiana, tanto minoritaria quanto rumorosa, corteggiata dalla destra e ad essa oggettivamente utile, anche di fronte a ciò che succede, rimane nella condizione adolescenziale dei tempi eroici di Fidel e del Che. Le proteste di piazza, dicono alcuni di loro, sono fomentate dagli Stati Uniti. Che non è da escludere, per la storia dei rapporti di quel paese con il centro e il Sud America. Ma non sarebbe il momento di compiere uno sforzo per riconoscere l’esito non proprio brillante di una rivoluzione, anziché mantenere in vita un’illusione, ammettere che l’assenza di democrazia, la persecuzione degli oppositori, non sono effetto dell’embargo attuato dai cattivi imperialisti? Ma per Il Manifesto la protesta in atto è “insolita”, mentre Vauro si dichiara dalla parte del “popolo cubano, non di chi grida”, perché chi grida potrebbe essere imbeccato e finanziato da Biden. Gianni Minà – “eravamo io, Fidel, il Che …” – è ancora convinto che Cuba rappresenti una “utopia riuscita”, una non realtà che rimane nel mondo che non c’è. Silenzio da Di Battista e da Di Stefano, i “cubani” dei Cinque stelle. A Cuba, ha sostenuto uno scrittore, rimane il peso di vivere intrappolati nel sogno degli altri. Nel sogno dei rivoluzionari da salotto o in pensione che in quell’Isola lontana hanno lasciato le illusioni dei loro anni giovanili. La violenza con la quale viene repressa la protesta sfigura, forse in modo definitivo, anche quel tratto romantico, di sfida alla più grande potenza del mondo e alle regole dell’economia capitalistica, con il quale è stata spesso disegnata la revolución.
Grillo e Conte, assistiti da uno stuolo di grandi avvocati, hanno trovato l’accordo per la spartizione delle quote azionarie e delle cariche sociali, ponendo fine, almeno per un po’, ai contrasti su chi comanda che cosa. Una vicenda che comunque ha evidenti e forti riflessi politici è stata affrontata con le regole del diritto commerciale. Il Movimento ha ora due padroni e sulle questioni proprie di una forza che ha vinto le elezioni, sui problemi che riguardano il Paese, naturalmente gli esperti di diritto commerciale non potevano mettere becco. La politica tuttora rimane fuori dalla porta e il Movimento, con un grosso danno alla vita democratica, continua a stazionare in un limbo indefinito, rimane, al di là delle proclamazioni iniziali, la forza politica più chiusa, più autoreferenziale, meno aperta al libero confronto tra quante operano nel Paese.
Per tornare all’Italia del calcio. Mancini è stato molto bravo a scegliere i migliori giocatori da diverse squadre. Mattarella e Draghi non possono mettere in campo una squadra con questi criteri. La democrazia non lo consente o magari può tollerarlo per poco tempo. Eppure, probabilmente perché le squadre che siedono in Parlamento sono scalcinate e prive di amalgama, riescono a portare a casa buoni risultati, a marcare una differenza, a mettere in campo un’utile pedagogia.
Come quella che viene dalla visita dello stesso Draghi e della ministra Cartabia al carcere di Santa Maria Capua Vetere, affermando, i due, la civiltà del diritto, il rispetto della dignità, il valore della rieducazione della pena. Può darsi che la lezione risulti utile anche a chi ha spesso detto che bisogna chiudere dentro le galere i responsabili di crimini e buttare le chiavi. Anche su questo piano, la libertà di tutti coloro che rispettano la legge dev’essere ovviamente tutelata ma non rinserrando in un panóptikon, il carcere richiamato dal filosofo francese Foucault come strumento e metafora del potere, che così rassicura, ottiene consenso e governa.