Nello Musumeci si avvia alla conclusione della legislatura parlando della medesima emergenza con cui l’aveva inaugurata: la monnezza. Anche se la proposta di trasportare i rifiuti in eccesso fuori dal territorio regionale si scontra con le prime conclusioni del tavolo insediato ieri al Ministero della Transizione ecologica. Erano presenti l’assessore Baglieri, il capo dipartimento della Transizione ecologica del Mite, Laura D’Aprile, il dirigente del ministero dello Sviluppo Economico, Silvia Grandi e infine il capo di gabinetto vicario della presidenza della Regione, Eugenio Ceglia, e Federico Lasco, dirigente generale del dipartimento Programmazione. “L’emergenza nazionale in atto, anche sulla nostra Isola, sta causando notevoli disagi sui territori e alla popolazione sia dal punto di vista igienico-sanitario che ambientale – ha detto Baglieri -. Con l’insediamento del Tavolo ministeriale è stato sancito un percorso condiviso che, in via prioritaria, applica il principio di prossimità nella gestione dei rifiuti. Pertanto, nell’immediato andranno espedite tutte le azioni propedeutiche previste dal testo unico ambientale sia per scongiurare il perpetrarsi dell’emergenza in Sicilia, sia per il successivo trasferimento dei rifiuti fuori Regione”.
E’ l’ultimo atto di una gestione che il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, di fronte alla commissione nazionale Antimafia, ha definito “scellerata”. E che sancisce un fallimento su tutto il fronte da parte dell’esecutivo, incapace, da un lato, di spingere sulla realizzazione di nuovi impianti di smaltimento; dall’altro, di far partire i termovalorizzatori, un tema che Musumeci ha sfoderato più per motivi di campagna elettorale che non per reale convinzione. A due mesi dall’annuncio social che ce ne sarebbero stati due – uno a Gela, uno a Pantano d’Arci (Ct) – dei bandi non c’è traccia. Di questo passo i lavori non saranno aggiudicati nemmeno per la fine del mandato.
Così come non andrà in portò la famosa riforma della governance dei rifiuti. Divenuto il simbolo delle riforme che Musumeci non mai riuscito a completare (complice un parlamento balcanizzato e qualche defaillance di troppo sul piano ambientale: non da ultima, la bocciatura del piano regionale dei rifiuti da parte della commissione UE). Insomma, sulla monnezza sono stati cinque anni da incubo. Tutto comincia a marzo 2018, quando con un’ordinanza dell’allora capo della Protezione Civile nazionale, Angelo Borrelli, Musumeci viene nominato commissario delegato all’emergenza rifiuti. L’ordinanza, giunta a seguito della dichiarazione dello stato d’emergenza, prevede che il commissario sia coadiuvato dal dirigente generale del dipartimento regionale Acqua e rifiuti dell’epoca, Salvatore Cocina, e dal prefetto in pensione Vittorio Piscitelli, cui spetta il compito di monitorare, vigilare e controllare l’attività della struttura.
Tra gli interventi previsti, il trasferimento fuori regione della monnezza (va, che novità!), la realizzazione della settima vasca nella discarica di Bellolampo a Palermo (i lavori sono stati consegnati ad agosto 2021), di un paio di vasche a Trapani (una per i rifiuti urbani non pericolosi, l’altra per i rifiuti solidi urbani), di un impianto per il trattamento della Forsu (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) a Casteltermini, i lavori per la messa in esercizio della discarica dedicata ai rifiuti non pericolosi a Castellana Sicula e i lavori di completamento e potenziamento dell’impianto di compostaggio della frazione organica a Vittoria (Ragusa). Ma Musumeci non si accontenta: “Continuo a sentirmi un commissario straordinario dimezzato. Nessuno dei poteri speciali derogatori al sistema che vige da decenni, è infatti stato conferito al sottoscritto – dichiara a ottobre 2018, durante una seduta a palazzo dei Normanni – Sento dire in giro: il presidente Musumeci è commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Sicilia. Niente di più falso. Il presidente è commissario soltanto per sei interventi. Di fatto, un commissario dimezzato”.
All’epoca nasce una prima querelle sul trasporto della spazzatura fuori dai confini: “L’ordinanza del governo centrale, e non per iniziativa del governo regionale, prevede il trasporto dei rifiuti in eccedenza fuori dall’Isola – precisò Musumeci -. E’ una richiesta del governo Gentiloni che non è stata negata dall’attuale governo, quindi procediamo su questa linea: questo significa porre gli oneri sulla tariffa e sulla tassa di smaltimento e su questo non è previsto alcun potere speciale. Abbiamo finora evitato che i cittadini e i comuni fossero caricati di altri oneri, non c’è stato infatti alcun bisogno di trasferire fuori un solo chilogrammo di rifiuti”. Il bisogno diventa impellente l’estate scorsa, con la saturazione della discarica di Lentini (oggi chiusa). Il dipartimento Acqua e rifiuti pubblicò una prima manifestazione d’interesse per il trasporto della frazione indifferenziata fuori regione (si pensò di coprire le spese attingendo – addirittura – ai fondi europei). Non se n’è fatto nulla.
L’inverno a seguire è stato un brulichio di soluzioni poco realistiche, a partire dalla definizione dei criteri per la realizzazione di due inceneritori di ultima generazione, nonostante le barricate delle associazioni ambientaliste. Ma anche su quel fronte non si è arrivati a nulla. L’iniziativa, per altro, rientrava tra i progetti dell’ordinanza di protezione civile emanata il 29 marzo 2019 per “favorire e regolare il subentro della Regione Siciliana nelle iniziative finalizzate a consentire il superamento della situazione di criticità determinatasi nel territorio della Regione Siciliana nel settore dei rifiuti urbani”. La stessa ordinanza che, di fatti, chiude l’epoca di Musumeci commissario e pone in capo alla Regione il “coordinamento delle attività necessarie al superamento della situazione di criticità”. Situazioni di criticità che tuttora sopravvivono: la differenziata, soprattutto nelle grandi città (Palermo e Catania) viaggia a scartamento ridotto, gli impianti pubblici non soddisfano il fabbisogno, mentre i privati si arricchiscono.
La chiusura di Motta Sant’Anastasia per una sentenza nel Tar, ha gettato nello sconforto buona parte dei comuni dell’area orientale. Catania in primis, dove la monnezza è accatastata sui marciapiedi come nella Palermo dei tempi d’oro (non più tardi di un anno fa). Al momento rimane spazio solo negli impianti di Siculiana, Gela (che il governo ha proposto di ampliare) e Trapani (dove conferiscono 85 comuni ed è “prossima l’emergenza sanitaria”), ma i gestori hanno posto dei paletti: dalla provincia di Messina, ad esempio, non possono uscire più di 300 tonnellate al giorno. Mentre i compattatori provenienti da Termini Imerese, qualche giorno fa, sono stati rispediti indietro. L’abbancamento in discarica potrà andare avanti per tutto ottobre, poi saranno guai. Per questo Musumeci aveva ipotizzato una nuova ordinanza, stoppata dal Mite, per trasportare fuori regione 30 mila tonnellate di rifiuti al mese, a partire da novembre. Con costi e ricadute tutti da calcolare.
Roma ha messo a disposizione 45 milioni: briciole. L’unico modo per finanziare il trasporto fuori dall’Isola, considerate l’inflazione e la carenza di liquidità da parte dei Comuni, sarebbe quello di nuovi balzelli ai cittadini mediante l’aumento della Tari. Una prospettiva che si cerca di allontanare il più possibile – in campagna elettorale non paga – ma che rischia di diventare il lascito inevitabile da parte di un governo che in cinque anni non è riuscito a fare passi avanti. Anzi. Sull’emergenza perenne, inoltre, si sono buttate a pesce le organizzazioni criminali: “Grazie a questa politica scellerata di non scegliere determinate cose – ha detto Zuccaro in commissione Antimafia – il settore delle discariche, che è un settore particolarmente redditizio, è in mano quasi per intero a soggetti collegati alla mafia direttamente o indirettamente”. Inoltre “quasi tutte le imprese che si occupano della raccolta dei rifiuti nella Sicilia orientale hanno un controllo diretto o indiretto dei sodalizi mafiosi”. Un quadro disarmante e una politica inerme: non poteva esserci una combo peggiore.