Non si possono cambiare i numeri ma si possono cambiare gli uomini che danno i numeri. Con questa filosofia (di governo), Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno dichiarato battaglia nell’ordine a: Tito Boeri (presidente Inps); Giorgio Alleva (presidente Istat); Daniele Franco (capo della Ragioneria di Stato); Claudio Costamagna (ex presidente della Cdp); Giovanni Tria (ministro del Tesoro). Più ostinati del segretario del Pd, Maurizio Martina e più ostili della Commissione Europea, i numeri sono infatti la vera chimera del governo gialloverde.
Per provare a rimediare, Giuseppe Conte ha dovuto così affidarsi ad Armando Siri, sottosegretario all’Economia e a Laura Castelli, viceministro. Per la cronaca, il primo non sa chi sia il ministro delle Infrastrutture (vedere puntata di “Tagada”), la seconda ha fatto una figuraccia in commissione Bilancio al punto che l’altro uomo dei numeri della Lega (Claudio Borghi Aquilini) avrebbe rassicurato così i colleghi: «Tranquilli, la prossima volta vi mandiamo quello bravo». Non va meglio a Matteo Salvini. In passato ha dichiarato di non sapere risolvere una disequazione. A fare la differenza è suo figlio che in matematica vanta (ha dichiarato papà) ben 9. Come si sa, il ministro ha promesso che il governo rimarrà in carica trent’anni. A questo punto non ci resta che sperare in Salvini. Il piccolo, naturalmente.