Musumeci è un cavallo a fine corsa. Solo che, questa volta, non c’entra nulla Ambelia, la bellissima stazione equina, a pochi chilometri da Militello, che il suo governo ha riqualificato con fior di investimenti. Il governatore è un cavallo stanco, circondato da troppi ronzini, che anziché agevolarlo, in questi anni, l’hanno condotto sempre più lontano dall’obiettivo della ricandidatura. Che ora Nello non pietisce neanche più: ha capito, e la Meloni indirettamente gliel’ha confermato, che il centrodestra sopravviverà alla sua impuntatura.
Ma qual è la colpa principale di Musumeci? Essersi fidato troppo delle persone sbagliate, ovvio; e aver indossato, a un certo punto della cavalcata, degli insopportabili paraocchi, che non gli hanno consentito di vedere scandali e malcostumi di cui il suo governo è pieno. Nulla di penalmente rilevante, almeno finché non interverrà la magistratura. Ma c’è un modo di fare politica che va ben oltre le autostrade interrotte, le città monnezzaio e i conti in disordine. C’è un limite invalicabile che si chiama ‘etica e trasparenza’. Un limite che molti degli assessori di Musumeci, più o meno inavvertitamente, hanno calpestato.
Partiamo dall’ultimo polverone dell’Ente minerario. Come spesso accade in questi casi, pochi se ne sono accorti. Ma fino a ieri, giorno dell’approdo in aula delle variazioni di Bilancio, venti milioni erano praticamente spariti dai conti dell’Ems, una società regionale in liquidazione dal ’99. Avevano preso la tangente chissà per dove. Un giochino pericoloso messo a nudo da questo giornale, oltre che dalle rimostranze di alcuni parlamentari: uno di essi, il vicepresidente dell’Ars Roberto Di Mauro, ha dovuto richiedere un accesso agli atti per pretendere la trasparenza che il responsabile delle partecipate, l’assessore all’Economia, avrebbe dovuto garantire a prescindere. E invece no: è stato necessario un tira e molla di alcuni mesi, molti articoli di stampa, e riunioni infinite col ragioniere generale e col commissario liquidatore, per riportare all’ovile quel tesoretto.
Musumeci, in tutti questi mesi, dov’era? A inaugurare mostre e cantieri, forse. Ma la buona politica – anche da chi pretende di insegnare la moralità per non aver mai ricevuto un avviso di garanzia – ha bisogno di buoni esempi. Avrebbe potuto darne uno, Musumeci, all’indomani dello scandalo dell’Oasi di Troina, che il quotidiano ‘La Sicilia’ ha rivelato essere un giocattolo nelle mani di Diventerà Bellissima, che ci aveva piazzato i suoi uomini migliori (si fa per dire), alla ricerca di incarichi e consulenze. E invece Musumeci non ha mosso un dito, né aperto bocca. Cosa che ha fatto, in occasione dell’operazione Gomme Lisce (16 indagati per lo scandalo di clientele e corruzione all’Ast), per dare del “mascalzone” al direttore generale dell’azienda siciliana dei trasporti. Che era stato il Cda nominato dalla sua giunta, per inciso, a indicare. E a non revocare, nonostante un operato assai discutibile. Ma ogni qual volta alla Regione, in questi anni, s’è palesato mezzo scandalo, Musumeci s’è girato dall’altra parte. Ha finto di non sapere. Tutt’al più ha minimizzato. Come sulle vicende giudiziarie di Ruggero Razza, richiamato in giunta nonostante il coinvolgimento nell’inchiesta sui dati falsi Covid da parte della Procura di Trapani (poi trasferita a Palermo per competenza).
Ma dietro questa forma di arroganza politica si cela l’atteggiamento del governo anche in sede di proposta legislativa. Un azzardo dietro l’altro ha portato la Regione al 45% di leggi impugnate nel 2021. E anche l’ultima Finanziaria è stata fatta a pezzi dal Consiglio dei Ministri, che ha stoppato 28 norme. L’assessore Armao, anziché spiegare, ha dato la colpa al parlamento, ribadendo che l’impianto complessivo non è stato intaccato. Questa storiella è andata avanti per cinque anni. Tanti quanti gli esercizi provvisori. E badate bene: l’approvazione in ritardo dei bilanci della Regione non provoca conseguenze solo sul piano economico-finanziario. Ma anche d’immagine. Ne deriva una scarsa credibilità della Sicilia rispetto ai rapporti di fiducia con Roma. Che peraltro, nell’accordo Stato-Regione del 2021, aveva detto di farla finita coi bilanci fuori tempo massimo. Macchè.
Quest’anno, addirittura, la Finanziaria è stata approvata con 18 giorni di ritardo rispetto alla scadenza del quarto mese di esercizio provvisorio (era metà maggio). E per di più con una tecnica che è andata consolidandosi: cioè accantonare nella Legga di Stabilità una quantità (variabile di anno in anno) di somme ‘scritte sulla sabbia’ (o di cartone, fate voi), in attesa del riconoscimento di alcune risorse aggiuntive da parte dello Stato. Un artifizio più che utile, in questo 2022: le risorse – quasi 900 milioni di euro – verranno sbloccate in ritardo di otto mesi, ma giusto in tempo per la campagna elettorale. Di fronte ai trucchetti contabili, ovviamente, Musumeci non s’è mai visto. Né in aula né fuori. Non ha mai avuto nulla da eccepire rispetto al lavoro del suo vice, anzi gli ha coperto le spalle. E ha finito per esaltarlo dopo che il parlamento nazionale ha completato l’iter per il riconoscimento dei limiti derivanti dall’insularità. Come se Armao c’entrasse qualcosa.
Musumeci è lo stesso ad aver totalmente delegato, senza voltarsi indietro, le politiche del turismo a Manlio Messina, meglio noto come ‘cavaliere del Suca’, salvo prendersi i meriti per l’aumento del numero di presenze medie nell’Isola (anche se la sua affermazione di fronte al pubblico del Teatro antico, alla serata di gala del Taobuk, gli è costata l’ilarità di Ficarra e Picone e i fischi di una claque “organizzata” di tremila persone). Non ha avuto da eccepire sulle cifre record a beneficio di ricchi imprenditori e agenzie pubblicitarie del Nord per le campagne di marketing; non ha fiatato di fronte a delibere di giunta corpulente per l’organizzazione di progetti fotografici in terra straniera; non ha sollevato obiezioni di fronte alla trasformazione dell’Orchestra sinfonica in una privativa. Ha utilizzato la spesa ingente dell’assessorato per ricavarci – mal che vada – una passerella elettorale. Di fronte (anche solo) al sospetto di una gestione così spregiudicata, il presidente Musumeci non ha mai mosso un dito o una perplessità.
L’ultima voce incontrollata che mette a dura prova la credibilità del governo, e che rischia di essere il lascito di questa “legislatura complicatissima” (per citare Gianfranco Micciché), è la proposta di impugnativa rispetto alla norma blocca-nomine approvata dal parlamento siciliano (e votata persino da Diventerà Bellissima) per evitare lo shopping elettorale. L’assessore Razza è uno fra i più risentiti e la storia potrebbe avere ripercussioni. Anche su questo fronte, notizie di Musumeci? All’indomani del via libera da parte dell’Ars, disse che “tutti hanno votato a favore della norma secondo un’idea perfettamente condivisa dal presidente della Regione e dal governo tutto. E’ giusto che le nomine del governo siano congelate fino alla scadenza elettorale”. Cos’è cambiato da allora?