Tirare ancora un po’ la corda prima di lasciarla andare. Evitando di spezzarla. Così può essere riassunto il tentativo di Giorgia Meloni: che da un lato simula accanimento, per difendere l’operato di Musumeci (di cui, però, dimostra di non sapere abbastanza); dall’altro riflette, farfuglia, cerca una exit strategy per consolidare la sua posizione all’interno del centrodestra. Il che non presume una rottura con Lega e Forza Italia. Affatto.
Lasciare il giocattolo in mano a Salvini e Berlusconi significherebbe una condanna in panchina. Al ruolo di riserva o più semplicemente, per dirla in politichese, a quello di perenne opposizione. Piccolo inciso: c’è chi crede che la Meloni sia “condannata” a opporsi. Che il giochino dei sondaggi sfavillanti le basti per sublimare la sua leadership. Dentro e non fuori. E’ vero in parte. Perché se Fratelli d’Italia fosse la potenza che raccontano alcuni sondaggi – quelli veri, non come quelli che accreditano Musumeci del 70% dei consensi – sarebbe un errore grossolano non raccoglierne i frutti. E il frutto più ambito, lo sanno persino su Marte, è lo sbarco di una donna a Palazzo Chigi.
I tempi sono maturi. Ma la presidenza del Consiglio è un traguardo che non può prescindere dai suoi alleati. Da Salvini e dal vecchio Berlusconi, che continua tuttora – nonostante l’età e gli acciacchi – a garantire un punto di caduta per l’ex tridente delle meraviglie. Ex perché con l’elezione del Capo dello Stato, qualche mese fa, si è toccato il punto più basso. Col dibattito sulla Sicilia, sul Musumeci ‘si o no’, si sta provando a superarlo. Dopo aver scansato il pericolo a Palermo col centrista Lagalla – fatto che di per sé indica l’utilità di rimanere insieme – è difficile ipotizzare che per una semplice impuntatura, su un candidato che non appartiene neanche al suo partito (e anzi l’ha tradito più volte), la Meloni possa giocarsi questo ben di Dio che intravede all’orizzonte. Per chi, poi? Per Musumeci? Che dopo essere stato eletto alla Regione grazie alla spinta della destra (quella catanese in primis) ha deciso di non apparentarsi a un “partitino del 2-3%” perché non gli era utile? Quel Musumeci che adesso – non solo nei confronti di Stancanelli, co-fondatore del suo movimento, ma del resto dei partiti della coalizione – paga un debito di fiducia che non riuscirà a mai più a saldare?
Ma la partita non si gioca soltanto sulla riconoscenza. Si gioca soprattutto sulle prospettive. Sull’opportunità ghiotta di vincere (o addirittura) stravincere le Politiche. E gli addetti ai lavori lo confermano: “Una rottura? Maaai”. Perde quota, così, la possibilità che Musumeci, alle Regionali d’autunno, si presenti ai siciliani sotto una sola sigla: quella di FdI-Diventerà Bellissima. Che corra il rischio di prendere un’imbarcata, facendo naufragare anche la Meloni, senza avere dalla sua una ciambella di salvataggio. Una ciambella che, tuttavia, potrebbe arrivare: ma solo dopo avergli chiesto di rinunciare a palazzo d’Orleans, traghettando altrove la sua esperienza. Uno strapuntino al Senato sarebbe un bel modo di svernare.
Questa è la strategia degli (ormai) ex alleati. Una spallata a destra e un’altra a manca per mettere la Meloni alle strette. Miccichè, con Forza Italia, e Salvini-Minardo-Sammartino, per la Lega, sono le spine più vive. Alle quali, ultimamente, s’è aggiunta quella di Raffaele Lombardo, ma soprattutto di Saverio Romano, il cui incontro con Musumeci è andato decisamente male. “Insoddisfacenti le risposte che abbiamo avuto, che marcano la distanza dalla sua linea politica”, è il pensiero di Noi con l’Italia riassunto dal quotidiano ‘La Sicilia’ giovedì scorso. Ma il fastidio degli altri partiti, che si è sedimentato negli anni, ha persino coinvolto Silvio Berlusconi. Che su certe questioni preferirebbe non entrare, e che invece alcuni colonnelli di Giorgia continuano a tirare per la giacchetta. L’ultimo comunicato di Fratelli d’Italia, da cui emerge la sua disponibilità per il bis di Musumeci, l’ha indispettito. L’ha costretto a prendere le distanze. Berlusconi è solito fidarsi della sua ambasciatrice, Licia Ronzulli, e di Gianfranco Micciché. Nel tempo ha imparato a delegare e non è su Musumeci – stante il rifiuto di Salvini – a volersi assumere la responsabilità di una forzatura.
Da questo feroce inghippo, un gioco di strategia che continua a logorare il colonnello Nello (vittima del suo stesso demone), si esce un po’ per volta. Il primo passo, che è stato già fatto, era separare la questione Regionali dalle Amministrative. Il secondo sarà far capire al governatore che non è aria. Il terzo è lavorare a un’alternativa. Il fatto è che, in questo gioco di riposizionamenti che andrà avanti fino al 12 giugno, e di sondaggi più o meno accreditati sugli altri leader, al momento non esistono alternative. O meglio, ce ne sarebbe una su cui nessuno ha intenzione di pronunciarsi. A partire dal diretto interessato, Raffaele Stancanelli, che si è già tirato fuori un paio di volte dal guado dall’autocandidatura. Se necessario lo farà ancora. Ma per logica non si può ignorare che l’europarlamentare, ai ferri corti con Musumeci da tre anni, è un uomo di destra, è del partito della Meloni, non ha nemici e, avendo governato anche Catania, ha un cursus honorum di livello. Sarebbe un’ottima “moneta di scambio” per Giorgia, che difficilmente si opporrebbe. Non può.
Di Stancanelli si è già vociferato nel corso di un incontro avvenuto ad Arcore a metà marzo, quando la Ronzulli si affrettò a smentire la fuga di notizie, e lo stesso Stancanelli gettò acqua sul fuoco, facendo gli scongiuri: “Mi corre l’obbligo di ribadire, ancora una volta, che non c’è stata e non c’è una mia autocandidatura in tal senso! Penso non sia superfluo sottolineare e ribadire ancora che in ogni caso non si possa prescindere dalla mia volontà e da quella del mio partito”. Una volontà che non c’è. Per il momento. Lo ha detto Ignazio La Russa in quei giorni di fuoco: “Se candidare Raffaele Stancanelli, mio fraterno amico, lo decidiamo eventualmente noi di FdI, non me lo devono certo dire gli altri”. E se, invece, fossero proprio quegli altri a innescare la miccia? A fare un’offerta irrinunciabile? A proporre il miglior candidato di sintesi in circolazione?
In tutto questo non sfugga un elemento: Stancanelli sarebbe l’unico a poter “mitigare” le mire espansionistiche di Cateno De Luca, che nel frattempo è tornato a parlare con Salvini (l’ha fatto un paio di volte, e non solo per piazzare il simbolo di Prima l’Italia a fianco del suo candidato messinese: Federico Basile). Anche se Scateno non l’ammetterà mai, l’unico canale rimasto aperto col centrodestra è quello che porta a Stancanelli. Di fronte al quale farebbe un po’ meno fatica a scansarsi.