Finché Nello Musumeci sarà al governo, i problemi saranno sempre colpa di qualcun altro. Fra una visita istituzionale, l’inaugurazione di un museo e un post a sostegno della Meloni, il presidente della Regione s’è accorto che l’Ente è indietro col pagamento delle fatture nei confronti delle imprese affidatarie di lavori e servizi pubblici (per circa un miliardo). Così, anziché rimboccarsi le maniche, ha diffidato i dirigenti generali dei dipartimenti dell’amministrazione, affinché venga rimosso “ogni ostacolo per completare il riaccertamento dei residui attivi al 31 dicembre 2021, consentendo così lo sblocco definitivo della spesa e la predisposizione da parte della Ragioneria generale, nel più breve tempo possibile, del rendiconto generale 2021”.
L’assessore Armao, candidato alle Regionali contro il centrodestra, è andato addirittura oltre, richiedendo l’avvio dei procedimenti disciplinati nei confronti dei “colpevoli”. Su circa 3,6 miliardi di euro di spesa, dopo la consegna e le correzioni delle schede da parte dei singoli Dipartimenti, sono stati già riaccertati dalla Ragioneria generale (decreti emessi ed in corso di emissione) circa 2,7 miliardi. Per i restanti 900 milioni ancora pendenti, che per la maggior parte riguardano fondi statali, il riaccertamento verrà definito entro e non oltre la prossima settimana. Ai costruttori non basta: “L’iniziativa assunta nei confronti della burocrazia — avvisa il presidente dell’Ance Sicilia, Santo Cutrone — è tardiva. Le imprese non sono più nelle condizioni di aspettare altri due-tre mesi perché si insedi il prossimo governo. Trovarci con un esecutivo per l’ordinaria amministrazione non può costituire un alibi per l’intera classe politica che da oltre un anno non riesce a imporsi sull’immobilismo amministrativo”.
Sul fronte dei conti pubblici il ritardo si è accumulato a causa dei quattro mesi di esercizio provvisorio – decisi dal governo regionale – che hanno fatto slittare a maggio l’approvazione della Finanziaria e a prima della pausa estiva le variazioni di bilancio. Una fetta consistente della spesa (circa mezzo miliardo) è rimasta congelata in attesa dell’accordo di finanza pubblica con lo Stato. Anche se i ritardi lamentati da parte delle associazioni, che influiscono sui pagamenti ai dipendenti e ai fornitori, per la Regione sono la “conseguenza della mancata definizione, nei tempi previsti dalle circolari e dalla istruzioni impartite, degli adempimenti finalizzati al riaccertamento ordinario dei residui al 31 dicembre scorso, con il conseguente blocco o ritardo, a diversi mesi dalla chiusura dell’esercizio finanziario, di una parte rilevante della spesa avviata negli esercizi precedenti. La mancata approvazione entro il 30 giugno scorso del rendiconto generale ha determinato l’applicazione delle sanzioni previste dal regolamento di contabilità e, in particolare, l’impossibilità di utilizzare l’avanzo vincolato, con il conseguente blocco anche della spesa”. Tutto molto tecnico: ma il succo del discorso è che i soldi ancora non si vedono.
Dal giorno delle sue dimissioni (il 4 agosto), Musumeci ha inserito il pilota automatico: fra gli impegni non ancora evasi dalla sua giunta ce n’è uno che grava pesantemente sui lavoratori precari dei Comuni siciliani, rimasti indietro con gli stipendi. Ma nel frattempo la campagna elettorale è nel vivo e il governatore, che cerca di riposizionarsi al Senato, non ci bada nemmeno più. Servirebbe una riunione di giunta per dare il via libera al rifinanziamento del cosiddetto “Fondo per garantire i percorsi di stabilizzazione e le misure di fuoriuscita dei soggetti titolari di contratto di lavoro subordinato ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale 27/2016”. La bozza è pronta da inizio agosto, ma i sindaci sono rimasti col cerino in mano. Sarà mica colpa loro? O degli uffici che non riescono a far partire una pec per convocare gli assessori? Poco importa.
Gli ultimi giorni di governo sono la fotografia segnante di un quinquennio in cui spesso, il governatore, che si vanta di aver tenuto il malaffare lontano da palazzo d’Orleans, ha scaricato le sue responsabilità altrove. Sempre a proposito di dirigenti, non può passare inosservata la guerra coi “grattapancisti”, dichiarata nel luglio 2020, in piena pandemia, quando si diffuse la pratica dello smartworking: “L’80% di loro – disse Musumeci durante le giornate dell’Energia, a Catania – si gratta la pancia dalla mattina alla sera. Ora vogliono stare ancora a casa per fare il ‘lavoro agile’. Ma se non lavorate in ufficio, come pensate di essere controllati a casa?”. Nel giro di un’estate implorerà l’assessore Bernardette Grasso (Funzione pubblica) di richiamarli al lavoro in presenza. Ma a capo della burocrazia regionale, che per larghi tratti non eccelle, c’è sempre stato lui: il governatore. S’è visto a fine anno quando, al netto delle critiche e delle polemiche sull’operato di dirigenti e “semplici” dipendenti del comparto, ha acconsentito all’erogazione di premi e straordinari, utilizzando gli strumenti previsti dalla legge (come gli organismi indipendenti di valutazione).
In questi anni Musumeci ha dato la colpa a chiunque: ai dirigenti per non aver evaso le pratiche nei cassetti, al parlamento per non aver realizzato le riforme, ai ‘franchi tiratori’ per aver ridicolizzato la sua maggioranza, al “fuoco amico” per non averlo fatto ricandidare. Non s’è mai preso una responsabilità, invece, quando le circostanze lo richiedevano: come per lo scandalo dell’Ast, rivelatosi un verminaio di clientele e corruzione; in quel caso nessuno del suo governo fu additato per l’omesso controllo sull’operato del direttore generale, indicato dal Cda (nominato dall’esecutivo); o in occasione delle sessioni di bilancio, quando era più semplice imputare i ritardi a Roma (per la mancata sottoscrizione degli accordi di finanza pubblica) che non al proprio assessore, per aver fatto male i conti e aver ceduto all’ennesimo esercizio provvisorio; o, ancora, per il funzionamento delle infrastrutture che – come rivelerà di fronte al pubblico del Teatro Antico di Taormina beccandosi una marea di fischi – risulta scandaloso “per colpa dello Stato”. Non una parola sul Cas, responsabile della Palermo-Messina e della Messina-Catania; sulle partecipate, autentici carrozzoni succhiasoldi; o sulla gestione della pandemia, che ha generato un’inchiesta della procura di Trapani per la (presunta) falsificazione di alcuni dati su morti e ricoveri.
La stagione della semina non coincide con quella delle responsabilità. Funziona più o meno così: se i rifiuti rimangono accatastati sui marciapiedi è colpa dei sindaci, mentre se la differenziata aumenta, per quel poco che aumenta, è merito della Regione. Che nel frattempo si guarda bene dall’individuare un’alternativa (a breve scadenza) alle discariche. A proposito di munnizza, fu paradossale una dichiarazione resa da Musumeci nel corso di un evento a Le Ciminiere di Catania. Si discuteva del disegno di legge sui rifiuti, già bocciato a novembre 2019 dall’aula (all’articolo 1) e poi rimontato, pezzo per pezzo, in quarta commissione all’Ars: “In un anno abbiamo preparato il ddl. Lo abbiamo presentato al parlamento, ma lì nessuno vuole discuterlo”, disse Musumeci. Beccandosi le pernacchie di maggioranza e opposizione: “Diciamo la verità sulla legge dei rifiuti: se è lì da tre anni è perché fa schifo, appena viene portata in aula è bocciata da tutti”, furono le conclusioni di Gianfranco Miccichè. Ben prima che la rottura fra i due diventasse insanabile.
Durante la pandemia Musumeci non esitò a incolpare i cittadini per la poca prudenza; e lo Stato per le misure adottate (talvolta eccessivamente restrittive, talvolta eccessivamente incaute). Ma se la prese persino coi vaccinatori: “Se i medici di famiglia e i liberi pediatri avessero aderito al nostro invito sin dal primo momento – disse in un’intervista -, oggi molti siciliani sarebbero stati vaccinati, non saremmo andati in zona gialla e ci saremmo allineati alle altre regioni”. Parole che hanno provocato una sommossa da parte dei medici di base. Un altro capitolo su cui la Regione potrebbe intervenire, stimolando le Asp a liberare le risorse, è quello degli specialisti e dei laboratori analisi in regime di convenzione, che nel mese di giugno – tramite decreto dell’assessorato alla Salute – s’erano viste assegnare le somme fino al 2023 (compresi due anni di arretrati). Si tratta dei cosiddetti aggregati di spesa per l’assistenza specialistica. Ai laboratori analisi privati, ad esempio, spettano 98,5 milioni per l’anno in corso e poco più di 400 milioni nel quadriennio. Quei soldi sarebbero dovuti finire ai laboratori poco prima della scadenza elettorale naturale (novembre). La deadline è cambiata, ma i bonifici non partono. Prima di dare la colpa a qualcun altro, non sarebbe il caso di intervenire?