Nell’ordine: l’impugnativa della legge che finanzia il concorso per 46 agenti del Corpo Forestale; il pasticcio sui Centri per l’Impiego, con la modifica del bando e la proroga dei termini per le assunzioni (1.024 posti in palio); la “zona arancione” e la bufera sulla sanità; e infine, come se non bastasse, la verifica in una maggioranza a pezzi, ormai irrecuperabile. Nello Musumeci si lascia dietro una settimana rovente e una marea di problemi per dedicarsi al Quirinale. “Spero di rientrare in Sicilia prima possibile – ha detto il governatore alla partenza per Roma -. Mi auguro che si possa arrivare a una soluzione al quarto giorno. La storia ci insegna che il Capo dello Stato non è mai stato eletto all’unanimità. A parte Ciampi e Cossiga, abbiamo presidenti eletti dopo 21 votazioni, ricordo Leone”. E ancora: “Il mio desiderio maggiore è che sia l’ultima volta con questo sistema di voto; sogno una repubblica presidenziale nella quale il presidente – prosegue Musumeci – fa il giro delle città italiane, si confronta con gli elettori e si tira fuori dal terreno paludoso dei partiti”.
Partiti uguale palude. Le stesse dichiarazioni, spalmate qua e là negli ultimi mesi, stavano per costargli il posto quando, una decina di giorni fa, l’aula di palazzo dei Normanni gli ha teso un’imboscata durante l’elezione dei tre delegati. Musumeci tentò di prendere la parola per dimettersi. Poi ripiegò sull’attacco via social (senza fare nomi e cognomi) nei confronti dei deputati, promettendo l’azzeramento degli assessori (come se c’entrassero qualcosa). Infine, “convinto” dai paludosi partiti, è tornato in sé. Guadagnandoci una figuraccia, insieme alla possibilità – però – di concludere la legislatura. Con quello che ha passato, Musumeci farebbe meglio a buttarsi anima e corpo nella cosa che, secondo i suoi alleati, gli riesce peggio: amministrare. La ‘vacanza romana’, invece, gli permetterà di mettere a punto le ultime strategie politiche che lo riguardano.
Oltre a esercitare il di diritto di voto che il parlamento siciliano stava quasi per negargli, Musumeci conta di affrontare il tema della crisi – anche “se non c’è stata un’ora di crisi” – coi leader nazionali del centrodestra, che intanto s’arrovellano per trovare un ‘quirinabile’. Il governatore, per forza di cose, dovrà rinunciare all’incontro con Berlusconi, rimasto ad Arcore dopo la rinuncia al Colle. Potrà tentare un approccio, invece, con Salvini e Meloni. Ma prima sarebbe apprezzabile un passaggio coi segretari regionali di Lega e Fratelli d’Italia, che era in programma venerdì ma è stato cancellato in extremis. Il presidente della Regione è partito con una valigia carica di speranze, ma forse dovrà accontentarsi degli spiccioli: di una promessa a riparlarne, magari quando il nuovo Capo dello Stato si sarà insediato. Chi credeva che il destino del governo siciliano potesse decidersi dopo l’esercizio provvisorio – era quella la deadline di Musumeci – si sbagliava. Una crisi del genere, che il presidente ha aperto e poi richiuso, potrebbe finire annacquata dietro la storiella che “gli assessori sono in carichissima” e i partiti non hanno alcuna esigenza di cambiarli. Un bluff.
Eppure bisognerebbe remare a testa bassa. Lavorare alla prossima Finanziaria – che sarà ghiottissima viste le pretese di Armao di ottenere mezzo miliardo da Roma – e intanto provare a ridare normalità a una Regione in regime transitorio. Senza una legge di Bilancio, né un’idea complessiva di come spendere le ingenti risorse del Pnrr che stanno per pioverci addosso. La stessa, medesima Regione che s’è vista impugnare dal Consiglio dei Ministri la quattordicesima legge negli ultimi tredici mesi: quella che finanzia l’assunzione di nuovi agenti all’interno del Corpo Forestale attraverso apposite procedure concorsuali. La leggina era stata approvata dall’Ars a novembre, e venne salutata con soddisfazione dall’assessore al Territorio e Ambiente, Toto Cordaro. Ma ha finito la sua corsa contro un muro “in quanto le disposizioni, eccedendo dalle competenze attribuite alla Regione siciliana dallo Statuto speciale di autonomia, violano l’art. 81, terzo comma, della Costituzione”. Una motivazione che si è abbattuta su moltissime norme approvate dal parlamento.
Il bando per il concorso degli agenti del Corpo Forestale, che apre uno spiraglio per 600 nuove unità lavorative entro il 2025, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 29 dicembre. Ma nel frattempo la politica regionale si sta occupando di un’altra questione che riguarda la stessa materia. Anche se l’assessorato è diverso (ne occupa Scilla, all’Agricoltura) e i lavoratori pure: parliamo, infatti, di operai. La riforma proposta dal governo, che necessità di 250 milioni circa, è già stata bollata come inefficace dai sindacati e dal Partito Democratico: “Il testo di legge – ha spiegato il capogruppo, Giuseppe Lupo – elimina la possibilità di stabilizzazione, blocca il turn over dei lavoratori stagionali e il ricambio generazionale. Il progetto di legge del governo non ha una visione produttiva del comparto forestale, non affronta i temi della lotta agli incendi e della prevenzione del dissesto idrogeologico”. A questa critica si aggiunge la procedura d’infrazione dell’Unione Europea, che ha puntato i fari sulla condizione di precariato (a 78, 101 o 151 giorni) cui sono sottoposti i lavoratori. L’assessore Scilla però rassicura che “se la riforma verrà approvata, la Regione supererà la procedura di infrazione avviata da Bruxelles sull’eccessivo ricorso a contratti a termine. E su questo chiedo un’assunzione di responsabilità al Parlamento”. Ma la questione è più intricata di così.
Musumeci, invece, ha lasciato che fosse l’assessore Zambuto a occuparsi dell’ennesimo disastro sulle procedure concorsuali annunciate qualche settimana fa in pompa magna. Dopo la figuraccia del concorso all’Arpa, l’attenzione di decine di migliaia di persone è concentrata sui Centri per l’Impiego, che sono pronti ad assumere 1.135 profili tra diplomati e laureati. Anche questo bando è stato pubblicato in Gazzetta il 29 dicembre, ma è stato modificato a causa di alcuni rilievi da parte del sindacato Cobas/Codir, che aveva messo in guardia la Regione per aver citato il comma 1-bis dell’art.52 del decreto legislativo 30 marzo del 2021 per la riserve dei posti al personale interno, norma in realtà abrogata. Per correre ai ripari dopo aver preso atto dell’errore, e per evitare eventuali ricorsi che potrebbero mandare in fumo i concorsi, il governo ha tolto dunque la riserve per gli “interni” e ha deciso di prorogare la scadenza dei termini della presentazione delle domande. Fra le 200 mila istanze già presentate, però, ci sarebbero quelle di numerosi dipendenti regionali che avevano già pagato le spese di partecipazione. Si preannunciano azioni legali.
Il concorso dei Centri per l’Impiego era rimasto a lungo nel limbo a causa della decisione della Regione di disfarsi del Formez (poi richiamato) per l’assistenza tecnica nella fase della presentazione delle domande. Oggi si riparte (persino) con qualche certezza in meno. Certo, il presidente della Regione, non ha responsabilità dirette. Ma ne ha eccome per le difficoltà della Sicilia di riemergere dalla quarta ondata della pandemia. La penuria di “nuovi” posti letto, nonostante le promesse dello scorso anno, hanno lasciato che gli ospedali si affollassero di positivi, e ha costretto i direttori generali a riconvertire numerosi reparti sottraendoli alle cure ordinarie. Pur tuttavia, questa manovra “a fisarmonica” non è riuscita a impedire che l’Isola si colorasse da arancione (a partire da lunedì). Non sono mancate polemiche e richiami (Pd e Cinque Stele hanno parlato di “disastro annunciato”, lamentando il “sonno” di Musumeci e Razza). Ma la situazione rischia di degenerare sul territorio, dove gli ospedali sono messi a dura prova: da Gela, dove la terapia intensiva è stata smobilitata per la positività di alcuni medici, al Civico di Palermo dove – oltre alle ambulanze in fila – la Cisl Fp segnala che “si sottraggono infermieri dall’area di emergenza e dalla rianimazione per destinarli ad altri reparti” e lancia strali sul management ospedaliero.
Alla Sicilia in fiamme, nei giorni scorsi, la politica ha deciso di aggiungere l’ebbrezza di una crisi di governo di cui non si avvertiva l’esigenza. Anche se potrebbe trattarsi soltanto di una finta. Il cuore della questione – per questo molti partiti hanno deciso di non accogliere l’invito – è il futuro politico di Nello Musumeci. Un tema che il governatore, senza alcun pudore, vorrebbe trasferire nella Capitale durante i giorni del Quirinale. Forse chiedendo troppo anche a se stesso.