La Sicilia ha un nuovo paravento: si chiama Moody’s. E’ l’agenza di rating statunitense, con sede a New York, che analizza l’attività di imprese commerciali e statali e che l’altro giorno Musumeci ha utilizzato per mettersi al riparo dagli attacchi di Sala d’Ercole. “Non è vero che siamo sull’orlo del precipizio. Sono le solite fake news contro di noi”. Nel corso del dibattito sulla questione finanziaria, diventato ben presto una caciara, il governatore ha citato un passaggio dell’ultimo report in cui Moody’s, confermando alla Sicilia il rating “BA1” (tecnicamente “highly speculative”, titoli speculativi con rischio d’insolvenza significativo), avrebbe elogiato il governo dell’Isola: “Il profilo creditizio della Regione siciliana riflette i risultati positivi del suo operato avendo migliorato i servizi in merito alla salute e il valore della assistenza sanitaria, oltre che lo sforzo di risanamento dell’amministrazione regionale negli ultimi anni”.
Negli ultimi anni. Non nell’ultimo anno. Segno che Musumeci dovrebbe (forse) dividere i meriti con Crocetta, su cui ha fatto ricadere tutte le colpe di questo enorme disavanzo. Ma, prosegue Moody’s, citata dal governatore, “se da un lato la Sicilia ha un alto grado di autonomia finanziaria, dato dalla sua autonomia statutaria, questo è controbilanciato dalle aggiuntive responsabilità di spesa, deboli indicatori socio-economici, e da un largo bisogno di investimenti a capitale fisso”. A ringalluzzire il suo Musumeci-Armao sono state soprattutto le conclusioni: “L’invarianza del rating riflette le nostre aspettative: che la Regione manterrà i suoi sforzi di risanamento raggiungendo l’equilibrio di bilancio e la riduzione del suo debito”. La riduzione del debito del 10% (adesso è di sette miliardi) è stato il cavallo di battaglia di Musumeci, e dello stesso Armao che ne aveva dato annuncio durante la kermesse di Forza Italia a Milano, passando per il “modello da seguire”.
Ma come fa notare anche il Sole 24 Ore, “in verità i 7 miliardi di cui parla la Regione, si riferiscono solo ai mutui, cioè al debito in senso stretto a carico della Regione. In realtà, come scritto nero su bianco dalla stessa Regione qualche mese dopo l’insediamento di Musumeci, “al 31 dicembre 2016 (…) la consistenza del debito è pari a 8 miliardi, corrispondente al 53,7% del totale delle passività finanziarie”. Ciò significa che, oltre ai mutui, ci sono altre voci che compongono il debito siciliano (derivati, debiti verso fornitori, anticipazioni di liquidità dallo Stato, ecc.) che oscilla complessivamente intorno ai 15 miliardi. Una cifra da capogiro che pesa come un macigno sui siciliani e che condiziona pesantemente l’operato del governo, costretto a fare i conti con il passato”. Lo dice il Sole 24 Ore, che un pochino se ne intende.
Musumeci e Armao, però, preferiscono guardare solo metà della luna. E nel corso del dibattito di mercoledì sono sfuggiti ad alcune considerazioni provenienti dall’aula. Che, al contrario di quanto asserito da Musumeci (“Ci avete vomitato del veleno addosso” aveva detto ai deputati), erano di natura finanziaria eccome. Dal capogruppo del Pd Giuseppe Lupo, che era rimasto a Sala d’Ercole, a differenza dei compagni di partito, fino a tardi, era arrivata una richiesta di chiarimento specifica: “Il Presidente della Regione ha fornito cifre, ma erano cifre sbagliate. E soprattutto non ha risposto sui punti più critici che abbiamo evidenziato: 142 milioni di euro bloccati durante l’approvazione della legge di stabilità (è stata impugnata la norma del “collegato” che provvedeva a scongelarne una parte) ed altri quasi 400 milioni di euro di disavanzo. Da mesi Musumeci continua a nascondere la polvere sotto il tappeto” ha aggiunto Lupo, parlando di paralisi politica.
Anche al deputato dei 5 Stelle Di Paola, che ha sollevato un caso di affitti arretrati per quattro milioni di euro, Musumeci ha preferito non rispondere. Ma ha esibito il report di Moody’s come una medaglietta da appuntare al petto. Nella sua disamina, l’agenzia di rating, esprime un outlook stabile, tipico di una situazione per cui non si prevedono cambiamenti. E alcuni elementi che riportiamo di seguito: una tangibile riduzione dell’incidenza sulle entrate d’esercizio (passata dal 48,5% del 2017 al 44,8 del 2019 per attestarsi al 43,2 nel 2021), una drastica riduzione del costo del debito stesso, un progressivo incremento della liquidità nel biennio, ad oggi ben oltre il miliardo di euro, un apprezzamento per i progressi organizzativi e le riduzioni di spesa in diversi settori a partire da quello sanitario. E sottolinea la rilevanza dell’accordo concluso dalla Regione con lo Stato nel dicembre 2018 per gli effetti positivi che determina sugli equilibri finanziari della stessa, in termini di minori trasferimenti nel triennio (circa 900 milioni). E attesta il miglioramento della gestione amministrativa della Regione attraverso “politiche di bilancio credibili e di risanamento”, garantendo trasparenza e dettaglio nelle informazioni. Ma Armao e Musumeci, secondo l’agenzia, sono stati bravi per la precisione e la puntualità della Regione Siciliana nel fornire i dati.
Anche se Claudio Fava, deputato dei Cento Passi, fa notare un elemento, al di là della vena critica e ottimistica del giudizio di Moody’s: “Prendersela con i titoli allarmistici dei giornali e spacciare il rating della. Moody’s “BA1” come un premio o un salvacondotto tacendo che quel bollino, sempre lo stesso dal 2013, ci confina in zona retrocessione (“highly speculative”), è un modo furbo e reticente per affrontare il disavanzo di 8 miliardi nel bilancio della regione Siciliana. Ci aspettavamo dal presidente Musumeci proposte e misure concrete, da un censimento delle partecipate regionali per capire quali liquidare, a una spending review vera, capace di tagliare la ricostruzione dei borghi fascisti e le spese per le fiere equine a Militello. Sono arrivate solo parole autoassolutorie”.
Ma quello che Musumeci non dice – e qui ci torna buona l’indagine del Sole 24 Ore – è che il Pil della Sicilia è pressoché paralizzato: “Tra il 2013 e il 2017, l’Istat certifica che il prodotto interno lordo siciliano è cresciuto di appena 1,3 miliardi, passando da 86,3 a 87,6 miliardi (valori a prezzi correnti). La ricchezza prodotta in Lombardia, invece, nello stesso intervallo di tempo è cresciuta di 37 miliardi. E ancora: nel 2017 il Prodotto interno lordo pro-capite siciliano ha superato di poco i 16 mila euro (precisamente si parla di 16.254 euro), contro i 35.732 della Lombardia. Un valore, quello dell’Isola, ben al di sotto della media meridionale (17.320 euro ad abitante) e il secondo dato più contenuto in Italia. Un Pil più basso, infatti, lo troviamo solo in Calabria (15.934 euro per cittadino)”. Questo era meglio tacerlo. Altrimenti si sarebbe aperta una sfilza di argomenti fuori tema che il governatore avrebbe finito per non apprezzare. In cuor suo, già sa se la Sicilia vera è quella di Moody’s o dei siciliani che muoiono di fame…