La parola d’ordine è “pacificazione”. Sembra quasi uno slogan, del tipo: per un momento eccezionale serve un governo eccezionale. Ma in realtà è un concetto che Gianfranco Miccichè tira fuori un po’ alla volta, addentrandosi nei temi caldi del momento. In primis, il suo rapporto con Nello Musumeci; poi, i dissapori all’interno di Forza Italia. Queste due contingenze, unite alla crisi economica e alla pandemia, ispirano pensieri nuovi: “Sarebbe sbagliato non considerare cosa sta accadendo a Roma – spiega Micciché – dove non c’è un governo di salute pubblica, ma un governo politico (lo scandisce sillabando, ndr) messo in piedi con grande maestria dal presidente Mattarella”. Ne fanno parte tutti, compresi i grillini. “Oggi non comanda più l’ideologia. Ma la logica, la concretezza”, dice il presidente dell’Assemblea regionale, che è anche commissario di Forza Italia.
Sta proponendo un mischione per le prossime Regionali?
“Non sto facendo alcuna proposta. Dico solo che se per il bene della Sicilia occorre superare le coalizioni, è bene farlo”.
E’ un modo per ripiegare altrove rispetto a Musumeci? C’è l’ha ancora con lui?
“Per quanto mi riguarda ho sempre dichiarato che Musumeci potrebbe essere ancora il miglior candidato. Evidentemente tutto ciò non sta bene ad alcuni dei suoi più stretti collaboratori, assessori compresi, che continuano a mettere inspiegabilmente zizzania fra di noi. E comunque, non sono qui per parlare di Musumeci, ma di futuro”.
Il futuro comprende la scelta del nuovo presidente della Regione, e Musumeci è il favorito d’obbligo. O almeno lo era, finché lei, la scorsa settimana, ha detto che “sta facendo capire in tutte le maniere che non lo vuole più fare”.
“Se il presidente non capisce da che parte sta la verità, è un problema suo. La candidatura di Musumeci è stata voluta dai partiti, e portata avanti dalle persone di cui oggi si fida meno: cioè Micciché e Stancanelli”.
Sta dicendo che dovrebbe avere un debito di riconoscenza nei vostri confronti?
“Chi frequenta la politica sa che la riconoscenza non esiste. Il presidente ha detto che la gratitudine “è il sentimento della vigilia”. Secondo me dovrebbe essere anche quello del giorno dopo. Ricordo a tutti che Berlusconi, nel 2017, era pressato dalla Confindustria dell’epoca perché scegliesse Armao”.
Quella era la Confindustria di Montante.
“Parliamo di futuro”.
La coalizione di governo esiste ancora o ha già fallito?
“Per colpa del Covid questo è un governo non giudicabile. Il crollo economico è stato talmente violento che per assegnare 50 mila euro, come in occasione dell’ultima Finanziaria, bisognava fare carte false. Non avevo mai visto una situazione del genere in 25 anni di politica. Se mi chiede di fare una critica, invece, riguarda i rapporti: nel centrodestra c’è stato meno dialogo di quanto si potesse immaginare”
Per questo serve dialogare con qualcun altro?
“Oggi conta soltanto il bene della Sicilia, che a causa del Covid e di scelte sbagliate a livello nazionale, ha raggiunto un livello di crisi che non si era mai visto. Non sarà facile uscire da questa situazione senza un accordo col governo nazionale e senza una forte base di pacificazione fra i partiti isolani. Per questo leggo con fastidio di posizioni cortilaie dentro e fuori Forza Italia. Le logiche delle coalizioni nate nel ’94, ormai, sono superate”.
Perché?
“I tempi in cui Berlusconi sdoganava i fascisti e combatteva contro i comunisti è un ricordo del passato. Chi vi resta ancorato è fuori dal mondo. La società e la politica sono completamente cambiate. Chi parla di spazio a destra, a sinistra o al centro, cerca di recuperare pezzi di un puzzle ormai sbriciolato. Oggi non comanda più l’ideale, ma la logica, la concretezza. Non è più ipotizzabile la ricchezza borghese o la povertà proletaria. Chi dice che sono quelli di destra a puntare alle riaperture, e quelli di sinistra a insistere con le chiusure, è un cretino. Siamo a un punto in cui bisogna fermarsi e ricominciare”.
Superando i vecchi schemi e proponendo, anche in Sicilia, un governo dei ‘migliori’?
“Non è una mia proposta e non so dove potrà portare. Ma poiché in Sicilia andremo al voto prima della fine del governo Draghi, penso che sarebbe sbagliato non tener conto di quell’esperienza. Se per aiutare il Paese a risollevarsi, Mattarella ha messo insieme Berlusconi, Di Maio, Letta e Salvini, chi sono io per impedirlo? C’è una differenza abissale fra oggi e cinque mesi fa. Sono cambiate le decisioni, è cambiato il nostro peso in Europa… Io non sono innamorato di Draghi, ma c’è una situazione di pacificazione nazionale che rende l’Italia più forte. Una pacificazione siciliana renderebbe la Sicilia più forte. Lo scontro, al contrario, indebolisce”.
Se anche in Sicilia vi siete ridotti a cercare un salvatore della patria, non vuol dire che l’attuale classe dirigente ha fallito?
“Se le cose sono andate in questo modo, non è colpa di nessuno. Anzi, è colpa del Covid e di alcune scelte nazionali che ci hanno messo in imbarazzo. Ad esempio, l’istituzione della zona rossa nella corsa primavera ci ha ucciso. Averci fatto chiudere, bruciando undici punti di Pil, è stata una decisione delinquenziale. Avevamo meno contagi, in assoluto, della provincia di Como. Oggi, di fronte al fallimento, non possiamo voltarci dall’altra parte”.
Anche Fava ha parlato di un progetto inclusivo e aperto ai moderati.
“Se penso al mio primo interlocutore, quello non è Fava. La pensiamo in maniera diversa su molte cose. Ma io e lui siamo stati fra i primi a capire qual è la situazione”.
Le Amministrative di Palermo potrebbero essere un banco di prova di questa grande alleanza?
“Sono qualcosa di più. Per questo inviterei tutti i politici di tutti i partiti a candidarsi, a portare avanti il proprio progetto politico, con l’obiettivo di ridare a Palermo la qualità politica di una volta, quando in Consiglio comunale sedeva gente come Occhetto, Sciascia, La Loggia, Riggio, Musotto. Oggi, agli occhi della gente, la situazione appare scadente”.
Se riusciste ad allargare i confini della coalizione come lei auspica, chi avreste come avversari?
“La povertà, il fallimento, la crisi… A Roma la Meloni ha scelto legittimamente di rimanere fuori, ma non è che abbia il governo contro. Ribadisco il principio: io non sono sicuro di quello che dico, né, tanto meno, se potrà mai realizzarsi. Ma è responsabilità di tutti aprire un ragionamento”.
Come farà a farsi seguire da Forza Italia? Nel partito, già così, ha i suoi bei casini.
“Io non credo di avere alcun casino. Le persone che oggi – bontà loro – hanno deciso di andarmi contro, non possono oscurare il mio lavoro. Cinque anni fa ho preso il partito dopo una tornata elettorale in cui erano coinvolti 40 comuni e non si riuscì a prendere un solo consigliere. Abbiamo ricostruito la coalizione, vinto le Regionali, fatto cose straordinarie. Se tornassimo a votare oggi, saremmo il primo partito in Sicilia, non solo a livello di centrodestra. Entro l’anno avremo mille amministratori locali. Attaccarmi perché gli assessori di Corleone hanno fatto il vaccino prima di altri, mi sembra un po’ riduttivo… Ma c’è un’accusa, più di altre, che ritengo falsa: quella di essere contro Musumeci. Abbiamo ruoli diversi e io non ho alcuna intenzione di prendere il suo posto. Il presidente dà troppo credito ai suoi cortilai. Ma non mi chieda di dirle chi sono perché altrimenti lo faccio…”. Fine della telefonata.
Falcone: “In Forza Italia si pone un problema di leadership”
“Micciché non ha il partito dalla sua”. Lo dice in un’intervista a ‘La Sicilia’ Marco Falcone, assessore regionale alle Infrastrutture. Che confessa di aver segnalato a Berlusconi “dell’ennesima schizofrenica e scomposta uscita” del commissario regionale di Forza Italia. Falcone si riferisce ai sospetti avanzati da Miccichè sulla volontà di Musumeci di continuare a governare: “Forza Italia, fra giunta, Ars e sottogoverno ha almeno il 30 per cento della responsabilità di amministrare la Sicilia – spiega Falcone -. Una potenza di fuoco, con spazi di agibilità mai avuti. E’ per questo che il giudizio negativo su Musumeci, oltre che ingeneroso, mi sembra assurdo: significa bocciare noi stessi”. Da qui la conclusione: “Si pone un problema di leadership di Micciché. L’idea della Forza Italia di Gianfranco è molto diversa da quella della stragrande maggioranza del partito in Sicilia, che guarda con convinzione all’orizzonte di un centrodestra unito con Musumeci”.