“Nimby”, si dice in inglese. L’acronimo significa: “Not in my back yard”. Cioè, non nel mio giardino. Mai nel cortile di casa mia.
In fondo è una storia semplice. Succede a Martha’s Vineyard, nel Massachusetts, Stati Uniti. Di là del mare e dell’oceano. Nel nuovo mondo. “La vigna di Marta” come suonerebbe il nome tradotto in italiano, è un luogo speciale. Lo sfondo perfetto per la saga amara dei Kennedy. E da loro in poi, l’isola pensatoio delle élite liberali americane.
Mica una Lampedusa qualunque. Mica un’appendice della Sicilia, isolata suo malgrado nel mezzo del decadente Mediterraneo, regina senza corona di un’accoglienza fatta, se va bene, di solidarietà, volontariato e di buoni propositi. Che servono a tappare falle nazionali ed europee sui flussi migratori per poi inabissarsi nell’inesorabile degrado di quella che fu definita “la culla delle civiltà” tra le due rive del Mare Nostrum.
Succede che a Martha’s Vineyard una storia di migranti non in regola col visto di ingresso negli Stati Uniti – cinquanta per l’esattezza, venezuelani o ispanoamericani – infiamma le coscienze, diventa casus belli, anima un dibattito nazionale a cui non si sottrae neppure il presidente Biden.
Cinquanta migranti fatti trasportare dal governatore della Florida Ron DeSantis sull’isola della East Coast, che è luogo a larga maggioranza wasp, “white, anglo saxon, protestant”, anche se non si può più dire a voce alta, non ci si può inorgoglire, non è politicamente corretto.
Cinquanta individui sbattuti sulle pagine dei giornali Usa come “emergenza”, come “crisi umanitaria”. Con un durissimo scambio di comunicati tra il governatore della Florida e la Casa Bianca. Che ci sarebbe già da ridire, vista l’irrilevanza numerica del drappello al tempo delle migrazioni di massa, e perfino da ridere se non ci fosse di mezzo “l’eterno monologo dell’umanità dolente”, che don Miguel de Unamuno sapeva tratteggiare come pochi. Un sentimento tragico della vita che mai come ora si è fatto carne e sangue nei migranti.
Il governatore della Florida, il quale non nasconde mire politiche alle elezioni di Midterm a novembre, ha deliberatamente spedito i cinquanta ispanici irregolari a Martha’s Vineyard perché l’isola si trova nel Massachusetts, stato che assieme a New York e alla California garantisce protezione ai migranti. Località “sanctuary”, le chiamano. In cui “sanctuary” vuol dire “rifugio” al di là delle norme federali in materia di immigrazione. DeSantis ha parlato chiaro: “States like Massachusetts, New York and California will better facilitate the care of these individuals who they have invited into our country by incentivizing illegal immigration”. Non senza ironia ha detto di favorire l’accoglienza, purché a casa loro, “purché riguardi gli stati che sostengono le frontiere aperte”.
La Casa Bianca ha risposto con una severa reprimenda “sull’uso politico di esseri umani”. Una cosa che non si fa, “non è americana”, ha tuonato in punto di etica il Commander in Chief, Joe Biden, già irritato con Greg Abbot, governatore del Texas, altro stato di frontiera. Abbot aveva cominciato per primo a spedire già mesi fa decine di autobus carichi di migranti senza carte in regola a New York, a Chicago e a Washington, perfino sotto casa della vicepresidente Kamala Harris.
Altro che: “E Pluribus Unum”, il motto inciso dal 1776, anno d’inizio della Rivoluzione americana sullo stemma degli Stati Uniti per sottolineare il valore della pluralità: “da molti, uno solo”. Meglio sostituirlo con un più concreto ed attuale: “Not in my back yard”.
Il fatto è che il tema della regolamentazione dell’immigrazione, come quello dell’aborto, e quello della riforma elettorale è tra i più spinosi del dibattito pubblico negli Stati Uniti.
Per questo Martha’s Vineyard con i suoi cinquanta migranti, mai visti prima da quelle parti, è diventato un caso. Assieme ai più di cento militari della Guardia nazionale utilizzati per riportarli sulla terraferma. Con la motivazione che ha fornito il governatore Charlie Baker: “The island communities are not equipedd to provide sustainable accomodation”. Poche storie.
Non vale neppure la memoria dei “Pilgrim Fathers”, coloni per necessità, che nel 1620 sbarcarono da quelle parti, a Cape Cod, e fondarono il New England, archetipo degli Stati Uniti.
Non c’è spazio, né lavoro per i migranti ispanici nel cuore dell’America liberal, democratica e progressista di cui Martha’s Vineyard è simbolo. “Le case qui costano troppo” – sottolineano le autorità – “dove li ospitiamo?”.
Certo, l’isola conserva intatto il fascino del New England, “the Spirit of America”. Ancora oggi la vita si snoda tra antichi fari e villaggi sul mare che serbano memoria della caccia alle balene. Enormi scogliere a picco sull’Atlantico e lunghe strisce di sabbia a contorno di poche, magnifiche abitazioni immerse nel verde. Altro che turismo di massa. Altro che McDonald e catene commerciali. Martha’s Vineyard è spazio riservato ed elitario. Si parva licet, l’isola del Massachusetts sta agli Stati Uniti come Capalbio, in Toscana, sta all’Italia.
Perché come Capalbio, Martha’s Vineyard è a vocazione dem. Caparbiamente. La chiamano “Democrats Haven”, il paradiso dei democratici. Che non sono solo un partito, ovvio. Ma una filosofia di vita. Di qua e di là dei mari. Filosofia progressista e in divenire, ci mancherebbe.
Così il paradiso perduto di Jacqueline Kennedy è oggi il luogo dove trascorre le vacanze Hillary Clinton. Dove Obama, l’eccezione che conferma la regola wasp, possiede una mega villa con sette camere dotate di altrettanti bagni
I paragoni non andrebbero mai fatti, però talvolta rendono l’idea. Un po’ come dire che l’erede di Enrico Berlinguer è Enrico Letta. Solo Oscar Wilde avrebbe avuto l’ironia necessaria per scrivere una commedia sull’importanza di chiamarsi Enrico per credere di agire alla maniera democratica.
Il finale è scontato. A Martha’s Vineyard ancora intervistano giovani donne residenti nell’isola, tutte bionde, snelle e biancovestite. Che raccontano “Their first experience with poor minorities”. Risposte da pericolo scampato. “I poveri? Not in my back yard”. Nimby.
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Nella foto Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti