Ho un amico geniale.
Un vero e proprio inventore delle più incredibili diavolerie informatiche.
Non so davvero come riesca a ideare le sue creazioni, ma posso dirvi che le applicazioni hanno una “virtualità” che in nulla si distanzia dalla realtà.
Ha costruito un visore, una specie di casco, con grandi occhiali.
Dopo che lo si indossa ci si trova in un mondo virtuale parallelo, ma talmente autentico e reale da farti pensare che quell’universo sensitivo esista davvero.
Però, questa volta il mio amico aveva davvero esagerato e, sfoggiando un sorriso che preludeva ad una sorpresa, disse:
“Ti ho costruito un metaverso urbano solo per te…”
“Un meta che?” – risposi stupito.
“Un metaverso urbano” – ripetè – “una città virtuale in cui tutto si svolge secondo regole di comune (nel senso di condivisa) civiltà. Insomma, una specie di luogo ideale della convivenza collettiva…”

Non persi tempo e indossai il casco.

Come nell’indimenticabile film Avatar, fui proiettato – alla velocità della luce – in un luogo di perfezione architettonica unito alla più evoluta civiltà dei suoi cittadini.
La città ideale era attorno a me e potevo attraversarla in lungo ed in largo senza mai temere che potesse accadermi qualcosa di cattivo.
Come spiegare?
Prima ancora della sua perfetta e avveniristica forma architettonica, ciò che avvertivo era un immenso senso di sicurezza e di libertà, uniti ad una incontenibile e positiva voglia di fare, di progettare, di innovare e di costruire il mio futuro e la mia felicità.
E non vi era attimo di quel volo a planare – tra giardini verticali e cascate di acqua fresca in cui si succedevano scuole, musei, teatri, stadi, luoghi sacri di ogni religione, opere d’arte e tanti coloratissimi mercati – in cui la sensazione non fosse quella di voler eccellere insieme agli altri per dare forma compiuta alla Bellezza.
La città ideale era costruita sulla filosofia geometrica della civiltà e questo faceva civili i suoi abitanti.

Vagai non so quanto tempo sospeso in quella troposfera di sensazioni infinite e vi sarei pure rimasto se un “titolo di coda” non mi avesse annunciato che la mia visione finiva lì.
Una frase – ultimo regalo del mio amico inventore – faceva da sfondo alla definitiva dissolvenza:
la dignità dell’uomo sta nella sua capacità di creare il proprio universo fisico ed il proprio stato ideale.

Tolsi il casco e tenni gli occhi chiusi ancora per qualche tempo per non scorgere ciò che sapevo avrei visto attorno a me…