Ero stato assunto da poco più di due mesi al Tg5 quando, quella mattina del nove settembre di vent’anni fa, l’allora direttore Enrico Mentana, mi spedì davanti all’ospedale “San Paolo” di Milano a raccontare, in diretta, la morte del grande Lucio Battisti. Me lo ricordo come fosse oggi! Il grande cantante di Poggio Bustone, provincia di Rieti, era malato da qualche mese, ma le notizie sul suo stato di salute filtravano scarne dalla riservatezza della sua vita privata. Nessuno sapeva cosa avesse. Si rincorrevano voci su una forma violenta di tumore al fegato, mai confermate. Fatto sta che quella mattina del 9 settembre 1998, un bollettino medico dovette annunciare il decesso di Battisti. Aveva solo cinquantacinque anni e ci avrebbe regalato ancora chissà quanti altri successi a segnare le giovinezze e l’età adulta di tutti noi.
Tra una diretta e l’altra, quel giorno, fatalmente, nell’inevitabile angoscia alimentata da quella notizia, rimbalzavano nella mia memoria, e immagino in quella di tutti i suoi fan, le canzoni di una vita, di tutte le nostre vite. Chi non ha mai intonato un ritornello, un intro, dell’immenso Lucio? Le sue canzoni, la stragrande maggioranza scritte con il grande Mogol, sono state la colonna sonora delle nostre gite scolastiche; il motivo conduttore di certe notti di beata giovinezza attorno a un falò di ferragosto; o di scampagnate dei lunedì di Pasqua. Dovunque spuntasse una chitarra, inevitabilmente i primi accordi finivano sempre per far cantare tutti: “in un mondo che… non ci vuole più… il mio canto libero, sei tu…”; oppure: “il carretto passava e quell’uomo gridava…gelati”.
Qualcuno non ricordava neppure il titolo, ma le conosceva a memoria. E bastava che uno intonasse l’attacco, per agganciarsi e stargli dietro. Poi venne il tempo di un altro Battisti, quello della parentesi con l’autore Pasquale Panella. E purtroppo molti dei fan della prima ora rimasero delusi. I testi erano di certo più impegnativi, la musica più innovativa, e il tutto meno melodioso e orecchiabile rispetto al lungo sodalizio con Mogol. Ma per molti altri, me compreso, fu un salto di maturità di Battisti che ci fece apprezzare la sua grande duttilità, con quella voce unica nel panorama musicale italiano. Ho amato molto anche quest’ultimo Battisti. Meno popolare, vero, ma più profondo. E mi commosse molto quella mattina davanti al “San Paolo”, dopo che si era sparsa la voce del suo decesso, tra i fan che arrivavano a lasciare un fiore fuori dall’ospedale, un messaggio, il testo di una sua canzone, notare una ragazza, che avrà avuto non più di vent’anni, scrivere su un biglietto: “Non penso quindi tu sei, questo mi conquista”. Era l’incipit di “Don Giovanni”, uno dei suoi successi del matrimonio artistico con Panella. Sto andando a riascoltarla. Per l’ennesima volta.