Avviso a naviganti, lettori, curiosi, addetti e non addetti ai lavori. Ci sono delle parole, in politica, che misurano il cambio del clima, in peggio, eternamente uguali a sé stesse, da Mariano Rumor a Giovanni Donzelli, dal barocchismo della Prima Repubblica alla confusione della Seconda o Terza (fate voi), dai partiti ai non partiti. Nemmeno il governo Meloni si sottrae all’implacabile termometro.
Rimpasto. L’ha pronunciata il capogruppo della Lega Riccardo Molinari. Un classicone. Quando si facevano bene, servivano a puntellare i governi, tenendo conto degli equilibri dei partiti e delle correnti, del Nord e del Sud, delle ambizioni individuali e del contesto internazionale. E venivano decisi dall’“alto”. Specialità della casa della Balena Bianca: li faceva senza neanche troppe interviste. Quando invece li chiede un alleato riottoso, sono guai. Caso di scuola, il Berlusconi 2: prima si fa un mini-rimpasto, senza passare per le dimissioni, sostituendo Giulio Tremonti con Domenico Siniscalco, e si inserisce l’allora segretario dell’Udc Marco Follini come vicepremier. Si parlò di “fine della monarchia”. Poi, dopo la sconfitta alle regionali del 2005, si varò un nuovo governo, dopo una “crisi pilotata”, segnatevi anche questa parola. Di pilotato ci fu poco (dopo il giuramento si dimise anche Siniscalco e tornò Tremonti). L’anno dopo il centrodestra perse le elezioni. Attenzione: senza “piloti” è una manovra spericolata. Continua su Huffington Post