Meloni, anatomia di uno sfogo. Il perché del voto anticipato

Giorgia Meloni (foto Mike Palazzotto)

Quando Giorgia Meloni si incavola è oggettivamente irresistibile. Tratto popolano, linguaggio anche colorito, tutto si può dire fuorché che finga o che abbia perso l’autenticità: me so’ rotta, me ‘sto a fa un mazzo tanto pe’ questi qua, sono stanca. Effettivamente, dalla ripresa post ferie, ogni giorno ce n’è una: prima la soap pompeiana, poi il caso Spano, ridda di chiacchiere e veleni, eccetera. Direbbe un politologo che sta misurando i limiti della sua classe dirigente. Gli sfoghi, ultimamente, si concludono con una frase su quanto sarebbe meglio andare a votare. Addirittura, talvolta, proseguendo su questo filo di pensieri, si spinge a dire quanto sarebbe meglio tornarsene all’opposizione magari con un bel trenta e passa per cento, lasciando agli altri le grane di un paese ingovernabile e strozzato dal patto di Stabilità. Che ha già reso questa manovra difficile, figuriamoci la prossima.

Siccome nessuno, come si dice a Roma, si tiene un cecio in bocca, ovvero nessuno non coltiva l’arte della riservatezza, lo spiffero ha già fatto il giro dei Palazzi che contano, alimentando il quesito “ma sarà vero?”. In Parlamento, tra le truppe che vedono l’eventualità come i famosi tacchini vedono il famoso Natale, non ci credono più di tanto. I più pensano che sia la classica campanella per mettere fine alla ricreazione dell’allegra scolaresca, giocando sulla paura. I ministri meno intimi minimizzano, ricordando che l’umore è ciclico: non è la prima volta e finora non è successo niente.

Il cronista sa che, in questi casi, c’è il mare tra il dire e il fare. E non è la prima volta che si imbatte in questo racconto quando si arriva alla metà della legislatura, con i suoi problemi. Problemi che, in questo caso, sono anche meno eclatanti di altri casi, perché non c’è uno scandalo, giudiziario e non, che faccia tremare davvero il cuore del governo, lo spread non è alle stelle anzi ai minimi storici, e non c’è un alleato che abbia la forza di porre ultimatum o esibirsi in qualche Papeete. Però al cronista, che non è una Cassandra, spetta il semplice compito di registrare, perché la registrazione è indicativa di un clima e di uno stato d’animo: fatica e percezione di logoramento. Abile nel discorso pubblico nel dire che si sta facendo la storia, la premier vede davanti un’ineluttabile cronaca in cui l’essere costretta a parare i danni rende complicato il colpo d’ala. Continua su Huffington Post

Alessandro De Angelis per HuffPost :

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