Mattarella gioca d’azzardo

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al centro di un polverone politico. Per avere bocciato Paolo Savona

Rassegnatevi. Convincetevi. Persuadetevi. E in alcuni casi, se ci consentite, vergognatevi pure. Governo o non governo, fiducia o non fiducia, elezioni o non elezioni, il punto oggi è molto semplice e andrebbe urlato a squarciagola fino allo sfinimento. In tre parole: così-non-funziona.
Che cos’è che non funziona è fin troppo facile capirlo e a sessanta giorni dalle elezioni possiamo dire che le inutili consultazioni osservate con noia dagli italiani – e probabilmente dallo stesso Sergio Mattarella – non hanno permesso di trovare la giusta combinazione per far nascere un governo, ma hanno permesso di mostrare all’Italia una verità mai così chiara come oggi. Se, come ha detto ieri il capo dello stato, per la prima volta nella storia della Repubblica siamo di fronte a un voto popolare che non produce nessun effetto e non viene utilizzato per creare una maggioranza parlamentare, la colpa non è soltanto dei partiti irresponsabili e dei leader politici incapaci.

La colpa, prima di tutto, è derivante dalla vera e principale emergenza del nostro paese: un sistema istituzionale che non funziona più e che non permettendoci di conoscere dal giorno dopo il voto il nome del vincitore ha contribuito a trasformare le elezioni in qualcosa di sempre meno interessante. Se hanno avuto un merito, i sessanta giorni di consultazioni ci hanno aiutato a capire che senza una formidabile rivoluzione maggioritaria, senza una chiara e netta semplificazione del sistema istituzionale, senza una grande trasformazione del nostro sistema elettorale su un modello più simile a quello francese che a quello tedesco, saremo costretti ancora a lungo a passare giorni simili a quelli che abbiamo visto dal 4 marzo: la frammentazione del sistema politico, l’incomunicabilità tra i leader di partito, l’impotenza di chi dovrebbe far rispettare le regole, la caccia ai responsabili, lo scouting tra i gruppi parlamentari, i governi uscenti che governano senza avere la fiducia di nessuno, la sincera e giustificata sensazione di impotenza da parte degli elettori. Sono i sessanta giorni di consultazioni a dirci e a ricordarci che l’Italia avrebbe il dovere di sfruttare la prossima campagna elettorale, o se vogliamo anche i mesi che resteranno a questo Parlamento, per dare vita a una grande e formidabile stagione di rivoluzione maggioritaria. Ma è anche la storia recente del nostro paese a ricordarci che le più grandi innovazioni della politica italiana hanno coinciso con la stagione maggioritaria.

L’amata Italia dei sindaci è nata nel 1993 con una legge elettorale a doppio turno. La fine della Prima Repubblica è stata certificata dai referendum maggioritari. La stagione del bipolarismo è nata con una legge elettorale – il Mattarellum – in buona parte maggioritaria. La nascita di due grandi partiti di governo come il Pdl e il Pd è avvenuta nel perimetro della vocazione maggioritaria. E mai come oggi è chiaro che una Terza Repubblica non incancrenita potrà nascere solo se chi andrà un domani al governo proverà a ricucire la ferita del 4 dicembre 2016. Non sappiamo ancora che governo nascerà (ma se un governo nascerà, se un governo avrà più voti di fiducia che di sfiducia, siamo sicuri che durerà così poco?). Sappiamo però che chiunque guiderà il prossimo governo e chiunque guiderà la prossima campagna elettorale in uno qualunque dei partiti in campo avrà un dovere morale non più prorogabile: accendere la miccia di una nuova e grande stagione maggioritaria. Senza preoccuparsi di creare le condizioni per far vincere qualche nemico, ma preoccupandosi solo di creare le condizioni per far vincere qualcuno. Il populismo becero matura nei sistemi incapaci di decidere e mai come oggi le forze politiche dovrebbero rendersi conto che specie in un’epoca di pericolosa frammentazione le grandi coalizioni sono necessarie ma dovendo scegliere meglio metterle in mano agli elettori che ai parlamentari. E’ questo l’incarico di chi governerà un domani il paese. E chissà che i sessanta giorni di inutili consultazioni non ci aiutino a capire finalmente che le elezioni hanno un senso compiuto solo se dal giorno dopo le elezioni siamo in grado di sapere chi ha vinto le elezioni. Viva il maggioritario.

Giuliano Ferrara per Il Foglio :

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