«Sarebbe come una mattina svegliarsi ed essere a Messina…» cantava Roberto Vecchioni. Massimo Piparo, a Messina, ci si è svegliato tante di quelle volte perché proprio nella Città dello Stretto è nato e cresciuto. Semmai, per lui, si potrebbe azzardare una parafrasi: «Sarebbe come una mattina svegliarsi ed essere al Sistina» perché sulla poltrona di direttore artistico del tempio del teatro musicale in Italia il regista siciliano siede ormai da diversi anni. Fu Pietro Garinei – con Sandro Giovannini fino al 1977 e poi da solo “patron” della celebre sala e del pregiato marchio G&G – a chiamarlo: «Mi ha cercato mentre ero a Milano nel 1995 al Teatro Smeraldo col mio primo Jesus Christ Superstar. Entrato al Sistina per incontrarlo mi tremavano le gambe, non tanto perché avessi il mito di Garinei ma perché sentivo che un mio sogno si stava davvero realizzando con una velocità inattesa e con un riconoscimento estremo tutto in una volta. Entrai nel piccolo ufficio (il famoso “bunker”) e la prima cosa che vidi fu un pianoforte verticale su cui erano appoggiati spartiti con appunti personali dello stesso Garinei (oggi che dirigo io il teatro, quegli stessi spartiti fanno ancora bella mostra di sé sullo stesso pianoforte); seduto di fronte a me, Garinei, circondato da memorabilia della gloriosa tradizione del suo teatro, mi disse: “Piparo, lei mi ricorda Garinei quando era giovane. Le auguro di diventare Garinei quando sarà grande».

Dallo Stretto a via Sistina il passo non è breve: attraversa l’innamoramento verso la scena seguendo, su consiglio della madre, un laboratorio al liceo scientifico Seguenza, i fermenti del teatro messinese nella prima metà degli anni Ottanta, la sperimentazione, la riapertura del Vittorio Emanuele dopo 80 anni, infine il grande amore, il musical, con titoli e spettacoli sfornati uno dietro l’altro e con i primi riconoscimenti nazionali. Il Sistina sarà anche un tempio ma di sicuro Piparo non ci ha messo piede da…infedele. Da cosa nasce questa passione per il teatro musicale? «Ho iniziato a fare teatro da attore ma profondamente innamorato della musica. Sin da giovanissimo ho fatto di tutto per imparare l’inglese così da poter frequentare i teatri di Londra e godere di quel genere che in quegli spopolava nel West End».

Ma il musical soffre la crisi perché ce n’è un’inflazione o anche perché costa un occhio della testa? «Oggi è troppo inflazionato come genere e troppo “accessibile” a qualunque produttore, regista, divo o mezzo divo della tv. Il pubblico subodora spesso la fregatura e adesso, prima di comprare un biglietto per un musical, aspetta, esplora, ragiona, medita. Bisogna essere davvero competenti. Saper scegliere, saper spendere, saper costruire la macchina perfetta e saperla guidare per garantire la qualità. Il Sistina deve garantirla ad ogni costo, per storia e per tradizione».

Il Sistina rievoca quasi ad ogni stagione un titolo del repertorio garinei/giovannineo, di solito un classico che ha fatto epoca. E’ un tributo dovuto ai fondatori o c’è anche il gusto di una “madeleine” proustiana che al pubblico fa tanto gola e nostalgia? «E’ un omaggio a chi mi ha preceduto e una garanzia per quel pubblico che vive di “bei ricordi”. Guardo avanti, penso al futuro, vivo il presente ma non dimentico il passato e cerco in tutti i modi di onorarlo».

Ci fosse un titolo di quelli meno celebri che riesumerebbe dal repertorio del Sistina, quale le piacerebbe riproporre? «Sicuramente creano ancora file al botteghino titoli celebri come Rugantino e Aggiungi un posto a tavola: rappresentano gli “intramontbili”. Sarà la mia sicilianità ma io aggiungerei Rinaldo in campo. Ecco, farei un pensiero su Un paio d’ali anche se lo trovo fortemente (e spudoratamente) ispirato se non addirittura copiato da My Fair Lady. A quei tempi non c’era internet, si andava a Londra, si vedeva qualcosa che funzionava, si tornava a casa e … si copiava».

Il Sistina fa una coraggiosa operazione di scouting di nuovi talenti con un’accademia che lei hai creato. Ma non c’è – in cima – anche un problema di autori, musicisti, soggetti? «Il talento degli italiani non ha eguali al mondo. Siamo bravi, forti, creativi. Siamo però poco progettuali e sopperiamo con tantissimo impegno, caparbietà e spirito di adattamento. Per questo ho deciso di puntare sui più piccoli fondando un’accademia di performing arts dedicata alla fascia 7 /14 anni. La differenza tra noi e il resto di Europa è che il teatro, la musica, la danza, le discipline artistiche in genere, non rientrano minimamente nei programmi didattici della nostra formazione».

Qualche anticipazione sulla stagione 2019/2020? «Inauguriamo il 25 ottobre con Mary Poppins della Disney  che accompagnerà il pubblico fino alla Befana. Il Sistina è stato scelto personalmente dal produttore Cameron MacKintosh come “teatro principale di musical” e questo onora il mio percorso. Toccherà poi a ritorni sempre molto attesi come quello di Arturo Brachetti, Vincenzo Salemme, la nuovissima edizione di The Full Monty. E la ripresa di un titolo di G&G che stiamo ancora valutando».

Il sogno impossibile di Massimo Piparo. «Per adesso non posso lamentarmi, ho fatto ciò che avrei voluto fare ma ovviamente restano un paio di cosette “in sospeso” su cui sto rimuginando:  Il fantasma dell’opera e Moulin Rouge».