Tv spazzatura, horror show, populismo becero. Chiamatela come volete, ma “Non è l’Arena” di Massimo Giletti ha tutto il sapore di esserlo. O magari di esserlo diventata, cambia poco. Come domenica, quando il popolare presentatore ha invitato nel proprio studio l’ex brigatista Raimondo Etro, fra i protagonisti del sequestro di Aldo Moro, avendo la pretesa di farlo santo in mezz’ora. Avrebbe dovuto parlare di reddito di cittadinanza, e invece ha finito per insultare le donne (“Volete la parità dei sessi e vi offendete se uno vi dice zoccola”), per dichiarare che “preferisco le mani sporche di sangue che di acqua come Ponzio Pilato, come gente che nella vita non c’ha mai provato”, scivolando infine nel turpiloquio. Ha imbastito un corpo a corpo con Telese, dandogli dell’ignorante, l’ha persino vinto e poi è stato cacciato dallo studio.
Da Giletti, è vero, ma solo perché l’ha voluto la Santanché: altrimenti sarebbe andata via lei. Ma come scrive oggi “Il Foglio” in un editoriale da attaccare in camera, “il problema non è il brigatista, ma Giletti”. Etro “le spara grosse. Truculente. Come da copione (…) E più le spara grosse, più è volgarmente scombiccherato, più Giletti prende le distanze compiaciuto. Ma quello recita a soggetto, interpreta il ruolo suo” (a un certo punto arriva a dire, allo zenit della lucidità, che “siete voi ad avermi invitato”), mentre Giletti, “divenuto la sua spalla antagonista, come il famoso onorevole Trombetta nel film di Totò, prorompe: ‘Eh no, eh no! Etroooo, Etrooo’”. Si sbraita un po’, botta e risposta e poi “Giletti caccia l’ex brigatista fuori dallo studio, e lo fa nei tempi perfetti per il lancio della pubblicità, poco prima di introdurre in studio un truffatore radiato dall’ordine dei giornalisti e sotto processo per esercizio abusivo della professione medica, Adriano Panzironi. Il problema non è cacciare questi ospiti dallo studio, il problema è farli entrare” si legge ancora sul Foglio.
Il tentativo estremo di linciaggio mediatico è andato avanti più tardi, con buona pace dei telespettatori ridotti ormai sotto le coperte, quando una troupe del programma di La7 ha ripreso l’arresto di una giovane avvocata del foro di Roma accusata di concorso esterno in associazione mafiosa. Per la legge italiana e per una direttiva europea non si potrebbero trasmettere le immagini. Ma il lavoro dell’inviata Francesca Fagnani, che dichiarava di conoscere l’interessata, e ha ripreso passo passo i momenti della “cattura”, era troppo ghiotto per non essere mostrato.
La ricerca estrema dello scoop, lo sconfinamento costante nel trash, ha annientato la credibilità in pochi attimi. Per cosa poi?, verrebbe da chiedersi con un pizzico di cinismo. Per un misero 5,5% di share e manco un milione di spettatori? Al crollo verticale di “Non è l’Arena” – sarebbe curioso quantificarlo in Sicilia – magari ha dato un contribuito la campagna anti-casta che nell’Isola ha esplorato vette impensabili. Con la storia del taglio dei vitalizi, e di quei politici buoni a nulla; con la storia delle divise degli uscieri, costate alla Regione la bellezza di un milione. Una terra messa alla berlina per fare incetta di rumore e sensazionalismo. Per moralizzare agli estremi. Senza mai indagare con scrupolo. Nei racconti di Giletti c’è un equivoco di fondo: le mezze verità. Meravigliarsi per le divise e non farlo per gli undici milioni regalati a Rcs Sport, la società di Urbano Cairo (proprietario di La7), per correre il Giro d’Italia anche in Sicilia, è una di quelle contraddizioni che neanche la presenza di un ex brigatista col reddito di cittadinanza, o quella fantasma di Mark Caltagirone, potrà colmare.