Non aveva messo piede a Palermo fino a quattro anni fa, adesso ne rappresenta una speranza sotto il profilo culturale. Massimo Valsecchi, di Genova, è un noto studioso e un ex broker della finanza. Si trasferisce in città a fine 2015, quando compra Palazzo Butera e decide di renderlo un ponte accessibile a tutti. Un ponte con l’università, con la cultura, con l’istruzione di cui i palermitani, soprattutto i più giovani, dovrebbero avere una fame innata. Ha deciso di dare a Palermo una possibilità, pur conoscendola poco.
Ha trasformato la visione originaria di una residenza nobiliare – quella di fortezza inespugnabile – in un ambiente che vorrebbe proiettare Palermo verso l’Europa, rilanciarla sotto il profilo sociale e iconografico. Ben consapevole delle sue carenze ma anche delle sue forti potenzialità: “Sono stato una persona privata per tutta la mia vita – racconta Valsecchi a “Il sole 24 Ore” – se parlo adesso è solo per il progetto. Che mira a realizzare ciò che la politica e l’economia non riescono più a fare, dare un punto, un’idea di futuro. Quindi ho pensato alla bellissima Sicilia e alla straordinaria Palermo che sono in una posizione di non futuro, strangolate da cent’anni di inerzia, malaffare, mafia, malagestione. Vorrei che la Sicilia uscisse da queste sabbie mobili e recuperasse quell’identità internazionale che aveva fino all’Ottocento”.
Assieme alla moglie Francesca sta eseguendo dei lavori di restauro che vorrebbe completare entro il 2019. E nell’anno di Palermo capitale della cultura italiana la sua opera assume connotazioni più grandi. La biblioteca, dove al momento si vedono soltanto scatoloni bianchi accatastati, diventerà “un centro studi al servizio della città”. Palazzo Butera immaginato come un importante museo: al pianoterra mostre temporanee, al primo piano conferenze e attività didattiche, al secondo la ricca collezione Valsecchi che riceverà i prestiti di due musei universitari, l’Ashmolean di Oxford e il Fitzwilliam di Cambridge, beneficiari delle sue donazioni temporanee. Valsecchi ha le idee chiare e tutte le energie per andare in fondo.
Pare che per acquistare questa perla nel cuore della Kalsa – un quartiere morto e poi risorto – abbia venduto un antico dipinto di Richter. Verità o leggenda, poco importa. Perché adesso è a Palermo che rivolge le sue attenzioni spasmodiche: “Non è necessario che le persone visitino il museo, è importante che possano entrare nel centro storico attraverso Palazzo Butera, che non deve più essere una fortezza” insiste. Questo ex studioso di design industriale, scopertosi amante dell’arte, vorrebbe dare una possibilità di ritorno ai siciliani costretti a studiare e avere successo altrove; Palazzo Butera e l’adiacente palazzo Pirajno, per questo, potrebbero diventare davvero un centro studi legato alle università straniere. Un luogo che dialoga con le scuole, con i professionisti, di ogni genere e rango: “Un modello alternativo alla specializzazione esasperata – dice – stortura tipica della cultura universitaria americana”.