Maschere e macchiette sul palcoscenico della crisi di governo

Non voglio mancare di riguardo a coloro che hanno il duro compito di trovare una soluzione alla crisi di governo, dal capo dello Stato ai rappresentanti dei partiti. Ma i veri protagonisti delle vicende bislacche di queste settimane, quelli che più di tutti incarnano l’ethos della seconda repubblica – prima delle banane – non sono loro.

I veri interpreti di questo spettacolo un po’ farsesco e perfino divertente, nel pieno della pandemia e della crisi economica, sono altri. Il primo è Mastella, maschera del teatro napoletano che, dal 1976 ha avuto parti non secondarie in parecchie sceneggiate di livello nazionale, con innumerevoli copioni, indossando una incredibile quantità di costumi diversi che, a leggere Wikipedia, c’è da smarrirsi, per la serie di sigle cambiate nel tempo e di candidature collezionate utilizzando i più vari simboli. Qualche settimana fa il nostro Clemente pensò che la crisi gli offrisse l’occasione propizia, quella che meglio si adattava al suo funambolismo. Si buttò, così, nella mischia per volere mettere insieme quel gruppo di “responsabili” che dovrebbe supplire agli “scriteriati” autori della crisi. L’impresa non gli è riuscita, e lui, indignato, si è messo da parte, denunziando che gli volevano “fare il pacco”. Chiunque lo abbia tentato richiama quei bottegai svelti e senza scrupoli che, a Napoli e a Palermo – li conobbi qui a Lattarini negli anni ’50 -, mostravano della stoffa di ottima qualità a sprovveduti paesani, e dopo avere incassato il corrispettivo, incartavano pessima roba: facevano il “pacco” agli allocchi. Naturalmente chi ha immaginato di impaccarlo ha ignorato che Mastella di quel mestiere è maestro, e così, alla fine, se Renzi ha ritirato le sue ministre, Clemente ha ritirato sua moglie. Nel rispetto, si capisce, del ruolo e della dignità della donna.

Altro protagonista è Alfonso Ciampolillo detto Lello, quello che ha tolto a Scilipoti la palma del principe dei voltagabbana, diventando il bersaglio di innumerevoli contumelie. Io però non ci sto a questa sorta di caccia alle streghe. Ciampolillo non merita di essere crocifisso. Intanto non lo si può chiamare voltagabbana perché non è passato da uno schieramento all’altro. Dopo l’espulsione dal Movimento cinque stelle per mancato pagamento, è rimasto lì pronto a cogliere l’occasione per mostrare la sua retta coscienza e assicurare la permanente adesione ai valori del grillismo. Semmai il suo voto per il governo, anche per le modalità con le quali è avvenuto, ha consentito di far conoscere il senatore barese e la sua “dottrina”. Non credeva alla xylella, contestava i rimedi suggeriti dagli esperti e, per impedire che venissero messi in atto, elesse come residenza un ulivo, e lì, il nuovo Barone Rampante, acquisì le conoscenze necessarie per aspirare alla carica di ministro dell’agricoltura. Il parlamentare che, quando si candidò a sindaco della sua città, ebbe un plebiscito di voti, toccando la strabiliante percentuale dello 0,4, non crede ai vaccini e non farà quello contro il coronavirus. Magari potrà chiedere in alternativa al ministero dell’agricoltura quello della salute, anche perché non è l’unico dei cinque stelle a propugnare una scienza alternativa che, malgrado tutte le verifiche, stenta ancora a sconfiggere le potenti lobbies di quella ufficiale. Ciampolillo era sicuramente una mente illustre già prima che arrivasse al Senato, e tale è rimasto senza nulla togliere o aggiungere alla sua sapienza. Lui va difeso senza esitazione. Il problema, semmai, riguarda chi lo ha portato a palazzo Madama. Se, andando per strada, si imbarca il primo che passa e lo si nomina senatore, questi può essere un cavallo o un quadrupede diverso, con le orecchie più lunghe di quelle del cavallo. Il problema non è il quadrupede. Il problema è Caligola.

Un terzo protagonista, comparso nelle ultime ore ad illuminare il palcoscenico della politica, è il berlusconiano senatore Luigi Vitali, che la sera dichiara di aderire al gruppo dei “responsabili”, e la mattina successiva torna nel seno del suo schieramento. A sentir lui, dopo una lunghissima telefonata con il Cavaliere e con Salvini, ha capito che non c’è il rischio di scioglimento anticipato del Parlamento, e, di conseguenza, non esiste alcun motivo per soccorrere Conte. Il nostro era evidentemente afflitto dal terrore di perdere due anni di indennità. Rassicurato, non ha più la necessità di diventare “responsabile”. Gli pareva, oltre tutto, come ha detto con candida sincerità, di “sentirsi mercenario”. Fosse stato indispensabile il suo transito per assicurarsi la sua permanenza al Senato, il caso di coscienza sarebbe stato attenuato dal compenso, dalla mercede. Vitali può benissimo, senza pericolo per l’economia domestica, e salvaguardando i suoi valori morali, rimanere ”irresponsabile” e, in questi due anni, tornare a riproporre, sperando che finalmente vengano accolti, il condono fiscale, quello edilizio, quello previdenziale e delle infrazioni al codice della strada, argomenti sui quali, mostrando un’elevata sensibilità per il rispetto delle leggi e per il contrasto dell’evasione e degli abusi, il nostro senatore si è largamente speso.

Un ruolo non di primo piano lo sta avendo Tatjana Rojc, senatrice e scrittrice triestina di lingua slovena, che ha accettato di passare in prestito, con clausola di riscatto, dal partito democratico che mantiene la proprietà del cartellino, al gruppo dei “responsabili”. Si è sacrificata, così ha dichiarato la senatrice, “per il bene del paese”. Al termine del prestito, magari non avendo toccato palla perché alla sua nuova squadra non vengono riconosciuti i requisiti per essere ammessa al campionato, tornerà gratuitamente al PD.

Ultimo protagonista è un oggetto continuamente citato e dileggiato quando accoglie il fondo schiena degli altri, ritenuto comodo ed utile quando sullo stesso vi si colloca il proprio, di fondo schiena: la poltrona. Da anni ormai, essa viene in molte dichiarazioni di politici e in tanti articoli di commentatori, richiamata e demonizzata, esempio di debordante retorica dell’antipolitica. Per i suoi campioni, pare, che ai politici, di parte avversa si capisce, tocchi svolgere il proprio ruolo stando in piedi perché così riescono meglio a guidare le istituzioni e ad assicurare il bene comune, ché se si siedono, fanno danni. Poi i ruoli si invertono. Ma la poltrona resta sempre un manufatto da demonizzare, da usare per un falò che, se bruciasse tutta la stupidità di molti nostri “statisti”, per alimentarlo verrebbe voglia di buttarci dentro anche le poltrone di casa. Ai politici occorre lasciare solo dei puntuti sgabelli e così, dopo dolorosi effetti sui loro fondoschiena, capirebbero che non è la poltrona il problema, ma le chiappe che vi si poggiano.

(Calogero Pumilia è stato deputato della Democrazia Cristiana ed è autore del libro “La caduta”’ edito da Rubbettino e da pochi giorni in libreria)

Calogero Pumilia :

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