Ma voi ci credete agli angeli? Sì, quelli con le ali. Quelli che ci accompagnano, ci guidano, ci proteggono. E a qualcuno spuntano anche, e gli trasformano la vita. Almeno così raccontano. Io non ci credo. Ma poi è successo che una sera di qualche giorno fa abbia conosciuto un uomo e la sua storia, e le mie consapevolezze sono vacillate. L’ho incontrato a una cena fra amici in cui lui era il protagonista. Non posso negarlo, e annegherai nell’ipocrisia se non lo ammettessi: colpisce subito per il suo aspetto! Avete presente Danny DeVito, l’attore? Toglietegli una quarantina d’anni, mettetegli un occhiale da vista importante, con lenti enormi a coprirgli mezza faccia; un abito scuro con farfallino beige e la parlata incerta, ma simpatica, di chi non ci sente dalla nascita ed è costretto a rimediare con un apparecchio infilato nell’orecchio. E poi due occhi di una tenerezza dilatata, il sorriso degli adolescenti furbi, e quello stropicciare di mani di chi si sente in procinto di essere felice. Ecco, lui è Marck Art, ha 36 anni, ne aveva ventitre quando era ancora Marco Urso; per la verità all’anagrafe lo è ancora Marco Urso, ma lui dice che quel ragazzo che fu è morto una notte d’estate del 2006 ed è rinato in Marck Art. No, non vi sto raccontando la storia di un pazzo esaltato; ma quella di un genio, perché Marck Art, ve lo assicuro, è un genio. Cosa lo prova? I suoi quadri! Quello che riesce a dipingere guidato dai suoi angeli. Ecco cosa c’entrano gli angeli in questa storia che sembra una favola. Riavvolgiamo il nastro.
Urso nasce a Palermo il 2 agosto del 1982 e ha vissuto a Favara, nell’agrigentino, figlio di padre muratore e madre casalinga. Cresce con la nonna materna quando questa diventa vedova. E’ sordo, ma non lo capisce e non lo capiscono. Lui legge il labiale e così “sente” gli altri. A scuola i compagni lo deridono e gli insegnanti lo bollano come “ritardato mentale”, nel senso che lo scrivono sul registro. Ufficiale, per loro. Marco fatalmente si isola, non va più a scuola per evitare che lo prendessero in giro e trova conforto nell’amore della famiglia, di una nonna che per lui stravede, lo considera un conte. Ed è lei a scoprire un giorno che Marco era sordo. Sordo all’85%. Squilla il telefono e lui che ce l’aveva accanto resta impassibile. La nonna lo capì così. Nella fanciullezza tormentata di Marco, nella sua solitudine, succedono cose apparentemente inspiegabili. Come quella che un giorno il piccolo Marco trova la fisarmonica di uno zio, l’imbraccia, e senza mai averne vista una prima di allora, comincia a suonare. E pure bene. La nonna, ve lo immaginate? Pensa di avere un nipote talentuoso che nessuno capisce. E allora prende i risparmi di una vita e gli compra un pianoforte. E le dita veloci e sicure di Marco incantano anche al piano. Lo iscrive al conservatorio a Palermo per agevolare la sua dote innata, ma poi la nonna muore, e con lei svaniscono i sogni e le speranze di Marco che si perde in un dolore immenso e si lascia andare al cibo e a una solitudine sempre più buia. Ingrassa in maniera preoccupante: cinquanta chili in un anno. Quando raramente usciva, la vita era per lui un pericolo. Le strade una trappola, per chi non ci sente. Lo mettono sotto, si salva per miracolo. A quattordici anni l’episodio che cambierà per sempre la sua vita.
“Era il 26 luglio del 2006 alle ore 23,33, pesavo 120 chili….” , lui ci tiene a raccontarla così nel suo italiano balbettante di dislessia. Il suo cuore si ferma: “per quindici minuti…” dice lui. In ospedale a Troina, provincia di Catania, un centro specializzato, provano a tenerlo in vita. Lui scivola in un coma dal quale i medici sembrano non essere in condizioni di tirarlo fuori. Ci provano con un disperato intervento chirurgico. Pregano i genitori, pur rassegnati. I medici sono poco fiduciosi. Il destino di Marco sembra scritto. Ma gli angeli cambiano il corso delle cose. Gli angeli, sì. Mentre è sotto ai ferri, la sua vita se ne va altrove.
“Io sono morto, lo sentivo. Mi sono ritrovato un bimbo davanti a me con una clessidra che mi dice che ho quindici minuti per decidere cosa voglio fare; io gli dico che sono un pianista, ma lui mi dice che devo essere un pittore e che mi dovrò chiamare Marck Art. Lo guardo e accanto a lui vedo spuntare angeli bellissimi. Quando mi lasciano, io riapro gli occhi e rinasco…”.
E la prima cosa che fa chiede ai genitori una tavolozza per dipingere. E loro, padre e madre, commossi e felici per quel miracolo, quasi non badano alla richiesta insolita di un figlio che si risveglia da un coma. Ma lui insiste. A quel punto i genitori chiamano un neurologo. Lo visitano. E’ tutto a posto: “dategli quello che chiede” dicono i medici.
Marco Urso è rinato così Marck Art. Si è messo a dipingere e non ha smesso più: “mi guidano gli angeli”, dice. E talvolta dipinge con un pennello in una mano e un altro nell’altra, contemporaneamente. Sì, lo so che state pensando che questa è una favola a cui è difficile credere. E magari che lui sia un millantatore. Lo pensavo anche io, lo confesso. Ma vedete: ci sono i suoi quadri a sconvolgerci e a spingerci a credere che qualcosa deve essere accaduto nella vita di questo giovane. Tanto più che lui non smette mai di puntualizzare che di arte non ne capisce niente. Fatto sta che dipingi un quadro oggi, uno domani, finisce che qualcuno che ne capisce, oltre la sua Favara, prima o poi lo avrebbe incontrato. Lo scoprono i marchesi Berlingieri, collezionisti di alto profilo che gli aprono i saloni di palazzo Mazzarino a Palermo per esporre.
“Così Marck Art per tre anni ha cercato la strada, oppure la resurrezione…”, dice parlando di sé in terza persona come se lui “abitasse” la vita di un altro, di un artista appunto. Fino a quando nel 2014 non incontra, casualmente, Vittorio Sgarbi. Il quale, vede le opere di Marck e resta incantato. Pensa di trovarsi di fronte all’arte di Pollock, di Picasso, a un espressionismo astratto di qualità. Sgarbi si prende a cuore le sorti di questo ragazzone dal sorriso buono e le mani d’angelo e se lo porta dietro in alcune mostre, gli fa conoscere artisti e collezionisti siciliani, e finisce nelle grazie di una “magica mecenate”, come la chiama lui: Maria Celeste Bertolino, che con il marito Emerico Ballo, lo adottano artisticamente e gli mettono a disposizione un salone del meraviglioso palazzo Drago di Palermo, dove Marck mette a frutto la sua estrosa genialità e compone dipinti intensi e vibranti. “Riesco a creare un’opera in una sola ora” mi dice stropicciandosi le mani come un bambino felice. Li guardo i suoi dipinti e mi commuovo, perché so la storia che c’è dietro. Ma anche al netto di questa sua vita tormentata e infine felice, ci si incanta davvero davanti a queste opere. Un crogiolo di figure astratte, di occhi e di mani, di cuori, di passioni e di dolori, di discese e di risalite. Un’esplosione di colori come di una primavera dolorosa, intrisa di mistero. Un’esorcizzazione per lui del suo percorso faticoso.
“Sono gli angeli che mi dicono cosa creare”, dice con la stessa naturalezza con cui uno parlerebbe del sole o della luna. “Li vedo sempre attorno a me…hanno le ali, sei ali: due per coprirsi, due per volare e due per dipingere, attraverso le mie mani…mi hanno dato una laurea in storia dell’arte del mistero…anche se io all’inizio non capivo cosa significasse la parola arte….”
Ora, questo omino col sorriso ammaliante, è sempre perso nei suoi viaggi condotti dagli angeli. Di notte e di giorno. Sono sempre con lui, e non lo lasciano mai. Soprattutto quando dipinge. Se ancora non vi ho convinti che quest’uomo è un genio, sappiate che un suo quadro è stato stimato intorno alle sessantamila euro. E non saranno pazzi anche loro se i marchesi Marida e Annibale Berlingieri sono stati conquistati, e se una “magica mecenate” come Mara Celeste Bertolino gli abbia dato le chiavi di casa. Comunque la pensiate, che i suoi dipinti vi piacciano o no, io sono certo che ne sentiremo parlare a lungo di Marck Art, che fu Marco Urso, il pittore degli angeli.