Maggioranza, addio

Foto di rito dei banchi del governo dopo il giuramento degli assessori. Ma la giunta non si è più rivista al completo

La crisi è tutta nei numeri. La maggioranza, sulla carta composta da 40 deputati, fallisce il primo test in aula, consegnando a Luisa Lantieri 32 voti. All’ex assessore di Crocetta bastano per essere eletta vicepresidente vicaria dell’Ars. Prima della forzista, però, si piazza il grillino Nuccio Di Paola, con 35. Il calcolo è facile: al netto dei due miccicheiani non votanti (Calderone e D’Agostino) e il presunto voto in dissenso di Micciché e del fedelissimo Mancuso, al centrodestra mancano altri quattro voti. Tutti, presumibilmente, ‘franchi tiratori’.

Schifani ne prende atto e tende la mano a Cateno De Luca, che aveva contestato la nascita del governo e la cessione di sovranità a Roma: “Prima di parlare di “grande delusione” e di “giunta al ribasso” ritengo che il mio governo vada giustamente messo alla prova senza pregiudizi. Personalmente svolgerò un attento e rigoroso ruolo di coordinamento e di stimolo nei confronti della mia squadra di governo che gode della mia fiducia. Con l’onorevole Cateno De Luca avremo modo di incontrarci e di confrontarci fattivamente sui problemi della Sicilia. Attendiamo prima di giudicare”.

Nel giorno del giuramento, comunque, non poteva esserci avvio peggiore. Nelle ultime ventiquattr’ore Schifani ha dovuto incassare il diktat romano di Fratelli d’Italia, che ha imposto la presenza in giunta di Francesco Scarpinato e di Elena Pagana (che ha schivato i cronisti durante la presentazione a palazzo d’Orleans). Mentre dal pomeriggio di ieri, il governatore assiste sgomento all’autodistruzione del suo partito, Forza Italia, lacerato da una guerra intestina che ha portato alla creazione di due gruppi parlamentari distinti e separati: uno, che fa riferimento a Schifani, denominato Forza Italia 1 (con Pellegrino capogruppo); l’altro, diretto da Gianfranco Miccichè, denominato Forza Italia 2. Il presidente dell’Assemblea, Gaetano Galvagno, ha chiesto di trovare una sintesi, perché è chiaro che una situazione del genere non potrà essere tollerata a lungo.

Del gruppo di Miccichè, che già una settimana fa ha annunciato il passo di lato rispetto alla maggioranza, fanno parte altri tre deputati. Mentre Riccardo Gennuso, dopo una rapida giravolta, è passato armi e bagagli con Falcone & Co. Solo un intervento di Berlusconi, contattato telefonicamente da Miccichè, potrebbe ricucire una situazione che è precaria da mesi (esclusa la “tregua” della campagna elettorale). Il 16 marzo di quest’anno gli ortodossi convocarono il gruppo parlamentare per eleggersi un nuovo capogruppo: il “povero” Mario Caputo. L’operazione fu annullata per una palese violazione del regolamento. Oggi quel ruolo è rivestito da un altro intransigente, Stefano Pellegrino, il deputato eletto nel Trapanese che ha soffiato il seggio a Toni Scilla, fedelissimo di Micciché.

L’obiettivo dichiarato è spodestare il vicerè berlusconiano. Tentare di farlo fuori poco a poco, dopo gli svarioni nel rapporto con Renato Schifani. I due, Schifani e Micciché, si sono stretti la mano giovedì scorso, a margine della prima seduta dell’Ars; ma non hanno mai ricucito i rapporti nonostante l’indicazione di Giovanna Volo, stimata da entrambi, come assessore alla Sanità. Più in generale Miccichè non ha sopportato che il governatore ignorasse le sue richieste al momento di formare la giunta, come evidenziato da un’intervista tranchant a Repubblica: “E’ peggio di Musumeci”. L’affaire era finito in fondo alle cronache, scalzato dalla presunzione di Fratelli d’Italia e dalla sue sete di poltrone.

Micciché non ha alcuna intenzione di concedere il simbolo ai rivali interni e “nella duplice qualità di presidente del gruppo parlamentare ‘Forza Italia’ e di legale rappresentante del movimento politico Forza Italia in Sicilia” ha diffidato il presidente dell’Assemblea, Gaetano Galvagno, “ad astenersi dall’adozione di atti suscettibili di conferire anche indirettamente legittimazione a terzi nell’utilizzo della denominazione del partito politico dallo scrivente rappresentato”. Micciché “avverte fin d’ora che, ove dovessero intervenire atti comunque lesivi della legittima rappresentanza del partito in riferimento alla sua proiezione istituzionale, lo scrivente attiverà senza indugio ogni strumento a tutela della stessa”.

Forza Italia, al netto dell’affermazione elettorale, è un partito spaccato in due. Dove le note s’inseguono come bambini capricciosi. E non tengono conto di nulla: della militanza, del rispetto istituzionale, di chi prende i voti. Di un simbolo calpestato in malo modo (che per questo richiede l’intervento di Berlusconi). L’anziano leader fin qui ha sempre blindato la posizione di Micciché, neo collega al Senato. Gli ha espresso massima fiducia anche nei momenti sconforto, con il coordinatore accerchiato. Successe lo scorso anno, quando sul tavolo del Cav. arrivò la proposta di rimpiazzarlo con un triumvirato. “Gianfranco, accetti?”. “Non se ne parla nemmeno”. Questione chiusa. Poi i viaggi della Ronzulli, per ricucire un rapporto ai minimi termini con l’ala di Falcone e Armao, prima che costui abbandonasse la nave in direzione Terzo polo. Ma oggi il problema si ripropone più forte che mai: è Micciché contro tutti. O meglio: tutti contro Micciché.

Assieme a lui sono rimasti pochi intimi: Michele Mancuso, che per altro aspirava alla vicepresidenza dell’Ars; Nicola D’Agostino, che in dissenso dal partito, aveva chiesto di far sbarcare i migranti al porto di Catania; Tommaso Calderone, capogruppo nella scorsa legislatura ma con un biglietto di sola andata per la Camera. Oltre a capire chi potrà appropriarsi della denominazione di Forza Italia – il rappresentante legale del partito, in Sicilia, è l’ex presidente dell’Ars – bisognerà capire la strada intrapresa dai cinque: maggioranza o opposizione? Nella seconda ipotesi anche Schifani rischia di affondare, vedendo ridurre il proprio contingente da 40 a 35 deputati. La metà esatta dei parlamentari.

Le altre votazioni

Dopo il voto per i vicepresidenti dell’Ars e una breve pausa, i parlamentari sono tornati in aula per altre votazioni: sono stati eletti deputati questori Giuseppe Lombardo Geremia (con 36 voti) del Movimento per l’Autonomia, il leghista Vincenzo Figuccia (34) e il dem Nello Dipasquale (25). I nuovi deputati segretari sono invece Gallo (Forza Italia), Zitelli (Fdi) e Marchetta (Dc).

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