Riscossione Sicilia ha debiti per 400 milioni sul groppone e non è ancora chiaro chi se li accollerà. L’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo, vanta un parco dipendenti di 700 unità che, nonostante la tensione smorzata sul Bilancio regionale (che prevedeva tagli cospicui per la partecipata), continuano a non avere garanzie sul futuro; l’Irsap da mesi attende di conoscere il suo presidente e, nel frattempo, galleggia nelle incertezze della politica; e infine Sicilia Digitale, la società informatica che fu di Antonio Ingroia, nel momento del bisogno – un piano d’investimenti da 40 milioni per digitalizzare l’amministrazione regionale – è stata tagliata fuori da tutti gli interventi più importanti.
L’efficacia degli enti regionali – tra società controllate, associazioni, fondazioni – è inversamente proporzionale al sistema clientelare che la politica ci costruisce attorno. Prendete i fatti di questi giorni: Ester Bonafede, ex assessore del governo Crocetta, che vanta buoni uffici e parecchi santi nei partiti del centrodestra (in primis l’Udc), si è aggiudicata la selezione pubblica per il ruolo di soprintendente dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, a cui aspiravano 34 candidati, tra cui alcune eccellenze del mondo della musica e della cultura. La nomina dell’architetto Bonafede, che ha destato un’infinità di polemiche, e che alla fina il Cda ha smontato pezzo a pezzo per un contenzioso fra la neo soprintendente e la medesima orchestra (Esterina è risultata incompatibile a rivestire tale incarico), è il metro (più o meno) di ciò che accade ogni volta al momento delle spartizioni. In cui si seguono processi – ma non scopriamo certo l’acqua calda – orientati al clientelismo più che alle competenze. Alle amicizie politiche più che ai curricula.
Il giudizio della storia, stavolta in senso stretto, riguarderà l’esito delle nomine di Musumeci nei parchi archeologici. La girandola dei dirigenti ha tenuto conto del turnover (parola del governatore), ma non dei risultati raggiunti. Altrimenti non si spiegherebbe perché Francesca Spatafora, che ha risollevato dal baratro il Museo Salinas di Palermo, è stata spedita a dirigere un parco come quello dell’Himera che – con tutto il rispetto – non garantisce grossi introiti alla Regione. E risulta ambiguo il trasferimento di Giuseppe Parello dalla Valle dei Templi, dove ha stracciato ogni record in fatto di “sbigliettamento”, a una funzione di coordinamento neppure istituita. Qui ci limitiamo agli esempi più importanti. Tutti dicono di aver agito nell’interesse della Sicilia e della dirigenza, per sfatare il mito del posto fisso. Ma resta più di un interrogativo. Quando la politica si arroga il diritto di cancellare anni di servizio per un mero interesse “di parte”, ogni domanda è lecita.
Il centrodestra, che pure ha costruito sul manuale Cencelli il proprio sottogoverno – attenzione, lo hanno fatto grillini e leghisti a Roma, ma anche lombardiani e cuffariani nelle passate legislature – non ha dato a questo ricambio (forse non c’è riuscita, o forse non l’ha voluto) una forte caratterizzazione identitaria. Alcune nomine – qui scendiamo nel girone degli assessorati e dei dipartimenti – ricalcano in pieno quelle di Crocetta, da cui Musumeci non è riuscito ad affrancarsi, pur rinnegandone l’operato: la Bonafede, per dire, era componente dell’esecutivo di centrosinistra; l’attuale assessore alla Famiglia Antonio Scavone ha voluto nel suo gabinetto due ex assessori crocettiani come Rosaria Barresi e Giovanni Pizzo. Maurizio Croce, che aveva la delega al Territorio, è a capo della struttura che contrasta il dissesto idrogeologico, mentre Dario Cartabellotta – ex all’Agricoltura – guida in Regione il dipartimento della Pesca.
Per tornare alle cose di casa nostra, a capo dell’Esa, per ora, c’è Vito Nicastri, nominato commissario ad acta dell’Ente di sviluppo agricolo dopo che a Nicola Calderone (Forza Italia) è stato chiesto un passo indietro. Nicastri è l’ex capo della segreteria tecnica di Edy Bandiera, attuale assessore all’Agricoltura, ma lo fu anche di Antonello Cracolici, anni fa. Arriva dalla stagione del Pd. Il problema dell’Esa, però, sta a monte. A giugno dell’anno scorso, all’epoca della prima sfuriata pubblica – su Facebook – contro la partitocrazia dell’Ars, venne definito da Nello Musumeci “l’ultimo carrozzone della Prima Repubblica” e per questo andava chiuso. Oggi non è ancora accaduto. Tutt’al più le sue funzioni verranno accorpate a quelle del natio dipartimento dei servizi all’agricoltura. Ammesso che qualcuno si sia ricordato di inserire un emendamento nel “collegato” che a breve approderà a Sala d’Ercole per la discussione. Quasi impensabile. Ma cosa fa oggi l’Esa? Per certo non lo sa nessuno. A parte qualche plauso (pubblico) di Musumeci per l’intervento degli operai nelle zone alluvionate, non s’è capito di cosa si occupano queste 700 persone (di cui 400 “trattoristi” stagionali) che in origine, al tempo della riforma agraria, avrebbero dovuto prendersi cura delle strade poderali che portavano alle campagne. E il cui intervento, oggi, si manifesta soprattutto nelle situazioni di crisi.
Mentre ci si interroga sul futuro dell’Esa, anche Riscossione Sicilia è a rischio. A capo dell’azienda c’è un avvocato tributarista di Catania caro a Musumeci. Si chiama Vito Branca. Ma il problema è che Riscossione ha accumulato, a causa di gestioni scriteriate del passato, un buco di 400 milioni di euro (per buona parte nei confronti del Monte dei Paschi di Siena). Ed è lecito chiedersi chi debba pagarlo (in parte, forse, toccherà alla Regione). Qualche giorno fa, in commissione Bilancio all’Ars, è stato il grillino Sunseri a tirare fuori la questione dai cassetti impolverati. Si deve decidere, e in fretta, se Riscossione andrà chiusa e inglobata all’Agenzia delle entrate, o se nascerà un nuovo soggetto incaricato di riscuotere le tasse dei siciliani. Sarebbe stato il Ministero delle Finanze ad riaccendere le luci dei riflettori su una questione divenuta marginale nel dibattito politico.
Anche per i temi di Riscossione era stato annunciato un po’ di spazio nel “collegato”: “Roma ci chiede che vogliamo fare – ha spiegato l’onorevole Sunseri – Non è più possibile dare la colpa al governo nazionale per i ritardi che si accumulano nella definizione della situazione di Riscossione Sicilia. Da Roma ci dicono chiaro e tondo che, sia nel caso in cui si pensi a un nuovo ente regionale sia nel caso in cui si cerchi l’incorporazione con l’Agenzia delle entrate, la costruzione di un nuovo sistema di riscossione deve avvenire necessariamente attraverso l’interlocuzione con lo Stato”. Nella nota, che non sarebbe stata recapitata all’assessorato all’Economia, lo Stato chiede di conoscere la situazione contabile, debitoria e creditoria dell’ente. “Non è pensabile – ha concluso Sunseri in commissione – che lo Stato si accolli i debiti delle indecorose gestioni del passato. Non è escluso che si vada verso la liquidazione”.
Irsap – l’istituto regionale per le Attività Produttive, che ha assorbito le Asi ed è stato al centro dello scandalo Montante – merita un capitolo a parte. La nomina del suo presidente, proposta dal governo, approvata col silenzio-assenso dalla commissione Affari Istituzionali (e con qualche polemica nel Pd), non ha ancora ricevuto l’imprinting della giunta. Così Giovanni Occhipinti, imprenditore turistico del Ragusano, che ha al proprio attivo un passato militante in Forza Italia e un presente da leader del movimento civico “Insieme”, è lì che attende, impassibile, l’evolversi della situazione. Qualcosa dovrebbe muoversi entro luglio, con almeno sei mesi di ritardo sulla tabella di marcia. A capo dell’Irsap, per il momento, c’è il commissario Giovanni Perino, che in precedenza aveva “militato” nell’ufficio di gabinetto dell’assessore Turano.
E per chiudere il cerchio dei carrozzoni, che nessuno sa più come trainare, c’è Sicilia Digitale (ex Sicilia e-Servizi), la società informatica della Regione che avrebbe potuto giocarsi le sue chance nell’ambito del piano triennale dell’informatica approvato qualche settimana fa dal governo. In particolare, per realizzare il nuovo sito istituzionale è previsto un gruzzolo di 2 milioni, mentre ne serviranno 3,4 per il portale del turismo. Ma a chi andranno i soldi non si sa ancora: sebbene Sicilia Digitale sarebbe stata in grado di completare il servizio, “e a costi inferiori”, gli toccherà una piccola quota di interventi secondari. Quelli maggiori saranno realizzati dagli operatori selezionati da Consip nei lotti delle gare per i servizi informatici.
“Immagino che la scelta sia stata fatta in relazione alla valutazione delle capacità dell’azienda, per alcuni interventi ci vorrà un know how che Sicilia Digitale non ha. E d’altronde – ha detto l’assessore all’Economia Gaetano Armao – nessuna Regione ha affidato tutti gli interventi alla sua società in house”. “Se siamo in grado di fare quello che è previsto in Agenda digitale? Certamente – hanno replicato dall’azienda – Anche perché, oltre alle nostre condizioni standard possiamo utilizzare anche degli strumenti ‘elastici’, come le convenzioni. Una cosa però è quasi certa. Se la Regione si fosse rivolta a noi avrebbe risparmiato un po’ di soldi”.
Nata per servire la Regione, oggi Sicilia Digitale, 116 dipendenti, un capitale sociale ridotto all’osso (12 mesi fa ammontava a mezzo milione di euro), si trova con la testa sott’acqua a causa di vertenze e contenziosi accumulati in passato. Peccato che quando potrebbe, finalmente, tornare utile, è la stessa Regione a pescare fuori. Una storia già vista. A proposito: amministratore di Sicilia Digitale è l’ex colonnello della Finanza Carmine Canonico, ex consigliere comunale a Belmonte Mezzagno, ex vicepresidente dell’Ismea e in quota Cantiere Popolare. L’ennesima nomina studiata nell’hinterland del sottogoverno.
Ps: l’esempio di ciò che non dovrebbe essere il sottogoverno – una mangiatoia di denaro e clienti al di sotto di ogni sospetto – è rappresentato, però, da Sicilia Patrimonio Immobiliare, una società partecipata al 75% dalla Regione, ormai in liquidazione, di cui risulta amministratore delegato Ezio Bigotti, finito in carcere (più volte) e al centro dello scandalo che riguarda il censimento del patrimonio immobiliare della Regione Sicilia, costato alle casse dell’Ente qualcosa come 91 milioni di euro. La quota di minoranza di Spi è riconducibile a una società consortile – la Psp Scarl – che ha riunito nel 2006 il raggruppamento temporaneo di imprese che si aggiudicò il bando di gara per la valorizzazione del patrimonio. Dietro questo 25% ci sarebbe lo stesso Bigotti, l’imprenditore di Pinerolo, e la sua finanziaria con sede in Lussemburgo, che avrebbe ricevuto estero su estero il pagamento della Regione in cambio di un censimento “fantasma”, che mai nessuno ha visto. E che allarga ancora le proprie tasche in attesa, e nella speranza, di ricevere ulteriori soldi da un paio di arbitrati in corso (valore complessivo 49 milioni di euro). Come farsi male pressoché da soli.