A distanza di qualche giorno dalla manovra correttiva “salva Ast”, del valore di 200 milioni, l’Assemblea regionale è pronta a riaprire i rubinetti: il presidente Renato Schifani ha annunciato l’intenzione di mettere sul piatto una manovra-ter, con la possibilità per i 70 deputati di aggiudicarsi un bottino sostanzioso (ma non così ingente): circa 100 milioni provenienti dalle maggiori entrate fiscali del primo semestre ‘24. Nelle parole di Schifani al Giornale di Sicilia non si fa accenno alla crisi idrica, che causa la disperazione di allevatori e agricoltori; né a misure per la prevenzione degli incendi o per l’emergenza rifiuti; bensì “ad alcuni interventi per promuovere il turismo e ad altri per gli enti locali. Per il resto daremo spazio alle proposte dei deputati”, dice il governatore.

Un giro di parole articolato per annunciare l’ennesimo assalto alla diligenza. Nell’ultimo collegato alla Finanziaria, approvato la settimana scorsa e non ancora pubblicato in Gazzetta ufficiale, grazie all’accordo con le forze di opposizione si è evitato di ricorrere a emendamenti fuori sacco per garantire le solite sagre di paese. Insomma, non c’è stato spazio per le mance. Questa volta, però, succederà. Anche perché a metà estate – la manovrina dovrebbe andare in porto entro luglio – non c’è alcuna misura strutturale che possa incidere sui flussi turistici o sul “potenziamento del brand”, se non quella di prenotare una discreta quota di piccioli per garantire iniziative canore o enogastronomiche a cura dell’associazione X o Y. Inoltre – l’Ars sarebbe il luogo adatto per discuterne – rimane in alto mare la questione del “buco” da 10 milioni generato da SeeSicily, per il quale, appurato il ritiro della Commissione Europea, non c’era copertura finanziaria.

Il rischio di produrre un debito fuori bilancio, da approvare contestualmente alla manovrina, si accompagna a una exit strategy da valutare con le pinze: cioè la possibilità di assorbire la perdita secca nel prossimo Accordo di coesione con lo Stato (e quindi a valere su altri fondi europei). Nel piano firmato da Schifani e Meloni al Teatro Massimo, durante l’ultima campagna elettorale, a pag.48, si fa riferimento a un finanziamento per “agevolazioni per le imprese del settore turistico-alberghiero ed extra alberghiero”. Che sia quella la voce utile a dare copertura alla voragine? Sarebbe una sorta di fregatura per l’Europa, che ha già denunciato l’ammanco di 21 milioni e preteso la restituzione della parte certificata (10,9 di somme “non ammissibili”) in due tranche. Il resto della cifra, che la Regione aveva anticipato alle strutture alberghiere, invece s’è ritrovata senza copertura, generando un buco che per le regole di armonizzazione contabile va appianato. Ci penserà l’Assemblea a trazione FdI? O dovrà inventarsi qualcosa il prossimo assessore all’Economia?

Al momento il tema non sembra d’attualità, e neanche il dibattito richiesto dai Cinque Stelle lo è. L’Ars ha altre prerogative: ossia confezionare una manovra correttiva che dia respiro alle richieste dei territori, senza prevedere alcun investimento strutturale o a supporto delle mille emergenze che affliggono la Sicilia. D’altronde, Schifani pensa di aver fatto già tanto sul fronte della siccità: la scorsa settimana, nella manovra bis, sono stati stanziati 15 milioni per la realizzazione di vasche d’accumulo, pozzi trivellati, di impianti irrigui e per l’acquisto di pompe sommerse; 2,5 milioni per l’abbattimento degli interessi per le aziende agricole; ed è stata decisa la sospensione dei canoni di irrigazione ai Consorzi di Bonifica. Inoltre è partito un altro assegno da dieci milioni a copertura dei voucher per l’acquisto del foraggio da parte degli allevatori. Soldi che non serviranno a ripristinare il Lago di Pergusa, né a smontare una crisi ormai drammatica, che colpisce le coltivazioni e i capi di bestiame indistintamente, ma a breve anche il turismo.

A Palermo, come noto, ci sono altre prerogative. “I precedenti governi non hanno fatto nulla per le reti idriche fatiscenti – dice il capogruppo del M5s, Antonio De Luca -. Ma il governo attuale, oltre che a mettere pezze e ad annunciare che attiverà qualche pozzo, cosa sta facendo di concreto? Per l’eterna emergenza rifiuti perché si è perso un anno e mezzo, salvo adesso affidarsi ai pericolosissimi inceneritori che non saranno pronti prima di qualche anno? I Comuni non possono reggere questa situazione per così tanto tempo. Bisogna smetterla con gli emendamenti dell’ultimo minuto che sprecano decine di milioni di euro per mettere pezze che sono spesso peggio del buco, occorre un serio confronto parlamentare e riforme strutturali di cui, mi duole dirlo, questo governo non sembra voler sentire parlare”.

E in effetti il tema delle riforme Schifani non l’ha neppure sfiorato. Mai. Il suo governo è reduce da due anni di ordinaria amministrazione, di facili proclami e di giganteschi pasticci (come quello sulla discarica di Lentini). Il presidente non si fida della metà dei suoi assessori, e alla prima occasione utile – anche in questo caso la dead line è fine luglio – proverà a cambiarne qualcuno. Inoltre fugge dal confronto democratico con le opposizioni, che avrebbero il piacere d’incontrarlo all’Ars per fargli qualche domanda sugli sperperi del turismo e della corrente di FdI cara al Balilla. Ma anche questo è un argomento tabù. L’unico mezzo per dare risposte è quello – sempreverde – delle mance.

Anche se in sede di approvazione del Defr, il documento economico-finanziario relativo al triennio 2025-27, il presidente, finalmente, sembrava aver capito che imprinting dare alla Sicilia: “Sosterremo il settore dell’agricoltura, oggi in grosse difficoltà, così come proseguiremo il percorso al fianco delle imprese, grazie alla velocizzazione della spesa e dei pagamenti. Continueremo, inoltre, l’azione di risanamento dei conti della Regione. Abbiamo già ridotto il disavanzo grazie all’aumento delle entrate tributarie, dati che sono la diretta conseguenza della ripresa economica e delle imponenti iniezioni di liquidità che abbiamo realizzato nel mondo produttivo dell’isola. Siamo sulla strada giusta per invertire definitivamente la rotta e puntare, finalmente, allo sviluppo della nostra Sicilia”.

Diceva questo Schifani, mentre l’Isola veniva sgretolata dalle emergenze (e irrisa dalle figuracce di comunicazione dentro la giunta). Annunciava i numeri del nuovo rinascimento (“Da una crescita dello 0,7% del pil siciliano per il 2024, si dovrebbe passare all’1,1% nel 2025, allo 0,9% nel 2026 e allo 0,8% nel 2027”) mentre l’unico vero piano d’investimento per lo sviluppo erano i cento milioni di maggiori entrate da convertire in laute “ricompense” per i parlamentari e i loro territori di provenienza. I rubinetti restano chiusi per tutti, tranne che per i politici.