Cos’altro deve fare Fiammetta Borsellino per essere ascoltata? Ormai da tempo ha rotto il silenzio che si era imposta per rispetto nei confronti dello Stato. Quello di ieri sera, ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa” su Rai 1, non è stato solo un grido di dolore e una richiesta, l’ennesima, di giustizia. È stato un invito alla magistratura ad assumersi le proprie responsabilità. È inutile girarci attorno: non ne verremo fuori se la magistratura non reciterà il mea culpa, se non smetterà di autoproteggersi e proclamarsi superiore perché depositaria del crisma dell’infallibilità. Si continuerà a parlare di colossale depistaggio di Stato, che c’è stato, ma la storia sarà raccontata a pezzi. C’è una parola, più di altre, tra quella pronunciate dalla figlia del giudice ammazzato dalla mafia, che non deve passare sottotraccia. Fiammetta ha parlato sì di depistaggio, ma vi ha aggiunto l’aggettivo “grossolano”. Già, grossolano perché c’erano tutti i presupposti per smascherare il depistaggio sul nascere, per capire che Vincenzo Scarantino altro non era che un “pupo” vestito da pentito, un fantoccio gettato sulla scena per far credere cose inverosimili. Sarebbe bastato che i magistrati di Caltanissetta facessero semplicemente e rigorosamente il loro mestiere. Non è andata così, tanto che Fiammetta Borsellino, con il garbo istituzionale che la contraddistingue, ha parlato di procura “inadeguata”. Quei magistrati non hanno chiesto scusa – gli sarebbe stata concessa l’attenuante della buona fede – anzi hanno rilanciato sui media e davanti alla commissione parlamentare antimafia, scrollandosi di dosso ogni responsabilità, forti pure di qualche inchiesta sulle loro distrazioni aperta e chiusa dai loro colleghi magistrati.
Il risultato è che, ancora oggi, dopo ventisei anni, la verità su via D’Amelio non è stata accertata. Sotto accusa sono finiti boss, falsi pentiti, sbirri infedeli o presunti tali. Nei dibattiti pubblici è caccia aperta ai depistatori e infami di Stato. Ci sono tutti i protagonisti di questa triste storia italiana, ma non ci sono loro: i magistrati a cui quel depistaggio di Stato non sarebbe dovuto sfuggire. Ha ragione la figlia del giudice a ricordare oggi che quel depistaggio non fu solo clamoroso ma anche grossolano.
“Io mi fido di chi, pur essendo esposto al maggiore pericolo, svolge il suo lavoro con sobrietà; di certo non mi fido di chi si espone alle liturgie dell’antimafia per la devozione dei devoti”: firmato Fiammetta Borsellino.