Che fine hanno fatto i 100 milioni promessi da Nello Musumeci per il contrasto della povertà? Le ultime rilevazioni – risalenti a martedì pomeriggio – dicono che appena la metà dei comuni siciliani (182 su 390) hanno firmato l’atto d’adesione, ma appena 169 hanno ottenuto la prima rata del bonifico (per gli altri la documentazione è incompleta). Fin qui, infatti, la Regione ha effettuato i mandati di pagamento per meno di un terzo della cifra inizialmente pattuita: 29,9 milioni di euro. Il problema sta tutto nella burocrazia: i fondi annunciati da Musumeci, infatti, non sono risorse proprie di palazzo d’Orleans. Si tratta, bensì, di fondi extraregionali: quelli già liberati fanno parte del Poc, il programma operativo complementare, in cui è prevista una parte di co-finanziamento da parte dello Stato; i restanti, invece sono al 100% fondi comunitari (quelli del Fse, il fondo sociale europeo). E’ come gestire soldi altrui. Per farlo liberamente servono un paio di passaggi propedeutici: la Regione deve modificare la finalità di spesa e trasferire i soldi da un capitolo a un altro, i Comuni devono procedere alla rendicontazione. Una procedura che l’assessore agli Enti locali, Bernadette Grasso, continua a definire “semplificata”, ma che nei fatti ha scoraggiato molti sindaci – la metà – a richiedere le risorse.
Musumeci s’è impegnato a pagare i 100 milioni entro giugno, ma l’annuncio risale al 29 marzo e già dal 30 molti siciliani si erano radunati – alla faccia del distanziamento sociale – fuori dai municipi per ottenere i voucher (che sarebbero serviti pure al pagamento di alcune utenze). La comunicazione del governo regionale aveva seguito di qualche ora quella del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che nella prima ordinanza di Protezione Civile aveva promesso aiuti immediati alle famiglie indigenti e trasferito 400 milioni di euro, in buoni spesa, agli ottomila comuni italiani. Peccato che i soldi dello Stato fossero giunti a destinazione nel giro di un paio di giorni. Mentre per quelli della Regione la fila non si è ancora diradata.
Ma l’effetto annuncio rischia ancora una volta di rivelarsi per quello che è: un annuncio e basta. In questi giorni, infatti, è arrivata nelle commissioni di merito, all’Ars, la proposta di Finanziaria approvata dalla giunta. L’articolo 7 della Legge di Stabilità conferma che il contributo per le famiglie sale da 100 a 200 milioni. E che questo ulteriore investimento, al pari di molti altri previsti dalla manovra (rivolti soprattutto alle imprese), è a valere sui fondi extraregionali 2014-20, europei e statali, “secondo le disposizioni di cui all’articolo 5”. L’articolo 5 prevede che “al fine di contrastare gli effetti economici della pandemia Covid-19, in considerazione dell’eccezionalità della situazione che richiede misure straordinarie ed efficaci (…) la Regione siciliana è autorizzata all’utilizzazione delle risorse dei fondi extraregionali e del Poc (…) purché libere da atti giuridicamente vincolanti”. E che, inoltre, “tali utilizzazioni sono adottate secondo le disposizioni in materia di riprogrammazione dei fondi nonché secondo linee d’indirizzo degli organi europei e statali in materia di flessibilità, sia sulle finalità dei fondi che sulle procedure di erogazione e rendicontazione”.
A inizio aprile anche la “matrigna” Europa, tramite il parlamento di Bruxelles, ha votato un regolamento che permette di muovere risorse strutturali da una regione all’altra (da qui, il rischio paventato dal Ministro Provenzano di sottrarre soldi alla Sicilia e destinarli all’emergenza) o, in alternativa, da un programma all’altro. Abolendo, di fatto, uno dei dogmi dell’Unione: l’impossibilità di trasferire senza limiti i soldi fra categorie di regioni, settori o fondi. In teoria, la Regione ha fatto bene ad avvalersi di questa possibilità (non che ce ne fossero molte altre). In pratica, non ha ancora operato una ricognizione completa dei fondi a disposizione – alcuni impegnati su bandi che avevano già una graduatoria – né svelato quanto tempo occorre per completare l’iter.
E più in generale, questione sollevata dai grillini, molti assessori brancolano nel buio: “Nella nuova finanziaria – hanno esordito i deputati Di Caro, Di Paola, Damante e Schillaci, componenti della commissione Lavoro – troviamo articoli con titoli generici, senza un contenuto concreto, e soprattutto gli interventi si basano sui fondi Poc. Queste risorse, che sono fondi strutturali europei del Programma operativo complementare, potranno essere utilizzate effettivamente dal governo regionale? Non ne siamo sicuri e oggi in commissione ben tre assessori presenti, Scavone, Lagalla e Messina non ci hanno dato una risposta. Attendiamo delucidazioni”. Il rischio, forse già contemplato da parte del governo, è che per liberare risorse a favore di famiglie e imprese – per contrastare l’emergenza in atto oggi – ci vogliano settimane, se non mesi. Come per i cento milioni. Ma in questo modo verrebbero meno i presupposti dell’impegno finanziario: ossia concedere una boccata d’ossigeno a chi sta patendo i morsi della crisi, e non può più aspettare.
In realtà, in Sicilia, le code si sprecano: il capitolo della cassa integrazione in deroga, nelle ultime ore, ha fatto registrare un nuovo primato. La Regione, infatti, ha iniziato a esaminare soltanto oggi le 33 mila domande (per 135 mila lavoratori) inoltrate dalle aziende che sono sprovviste di altri ammortizzatori sociali, e che in questo periodo hanno rallentato o chiuso l’attività a causa delle misure restrittive di contenimento imposte dallo Stato. Il premier Conte – i fondi stanziati, in questo caso, sono di provenienza statale – aveva promesso di pagare tutti entro il 15 aprile. Questa platea di siciliani, però, non può più recarsi a lavoro e da un paio di mesi non vede il buco d’un quattrino
Le responsabilità sono imputabili alla Regione, che dopo aver messo a punto la piattaforma telematica per il caricamento delle domande, l’ha attivata soltanto il 7 aprile. La macchina burocratica, però, si sta rivelando infernale e palazzo d’Orleans, dopo aver convogliato le richieste provenienti dai centri per l’impiego, non ha ancora trasmesso i decreti all’Inps, che dovrà liquidare le prestazioni. La stessa Inps – che in questa fase non ha mostrato grande efficienza: basti ricordare l’assembramento online per il bonus da seicento euro – ha fatto sapere che, dal momento in cui giungeranno le pratiche, serviranno 15 giorni per analizzarle e staccare i primi assegni. Verosimilmente bisognerà attendere la seconda settimana di maggio.
La comunicazione è importante, ma in questa fase lascia molto a desiderare. E i contraccolpi sono sotto gli occhi di tutti. Qualche giorno fa, l’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao, ha annunciato un nuovo accordo tra l’Irfis (la banca della Regione, che gestirà il “tesoretto” della crisi) e due confidi, Fidimed e Confeserfidi, grazie al quale le imprese che ottengono un finanziamento hanno diritto a un contributo regionale a fondo perduto fino a 5 mila euro (o comunque pari al 5% dell’importo), utile ad abbattere i tassi d’interesse. E’ una convenzione che coinvolge anche la Banca Agricola Popolare di Ragusa, la Banca Popolare Sant’Angelo e Banca Igea.
Tutto molto bello, se non fosse che parliamo di un provvedimento sulla carta. Chi ha provato a mettersi in fila agli sportelli – in questa fase storica non è facile: gli istituti ricevono solo su prenotazione – s’è sentito rispondere che non ci sono ancora i moduli e che bisognerà riprovare più avanti. In generale, la Regione ha spacciato per buone (e concluse) iniziative campate in aria: come nel caso dei prestiti da 5 a 15 mila euro, in parte a fondo perduto, senza garanzie e a interessi zero, nei confronti di famiglie e imprese. Ma questi soldi, esattamente, dove sono? Quanto ci vorrà? Le banche quando saranno messe nelle condizioni di operare al meglio? L’incertezza non fa altro che alimentare il malumore, le voci più disparate e il terrorismo più bieco: “Quei soldi finiranno in tasca a mafia e speculatori”, si dice in giro.
Capitolo Italia: detto che un milione di domande per l’una tantum da 600 euro di marzo sono in fase di istruttoria all’Inps, a partire da lunedì, molti imprenditori hanno preso d’assalto gli istituti bancari (nonostante la modulistica online) per richiedere i prestiti a garanzia statale, come anticipato dal noto decreto liquidità da 400 miliardi. Ma anche in quel caso è una partita a scacchi. Confartigianato ha denunciato “casi di filiali che hanno ricevuto istruzioni e danno il via alle pratiche, mentre altre dicono di non esser in grado di operare per mancanza di direttive. E parliamo di sportelli dei medesimi istituti e sugli stessi territori”. Entro qualche giorno, però, tutti i finanziamenti a garanzia totale (entro 25 mila euro) dovrebbero entrare a regime. Nella speranza che il buon esempio possa diventare contagioso anche in Sicilia.