La crisi economica dovuta all’emergenza Covid, oggi, non appare così catastrofica come potrebbe rivelarsi tra qualche mese. Cioè non appena i siciliani dovessero scoprire l’inconsistenza della manovra finanziaria allestita da governo e parlamento. Nelle prossime ore la spesa verrà sbloccata, in attesa di conoscere il pronunciamento di Roma e le eventuali impugnative che, in un giorno non troppo lontano, potrebbero costringere Armao e soci a un repentino passo indietro. Ma la Regione, in questo momento, è sospesa a metà tra le promesse farlocche (l’impianto della Legge di Stabilità è costituito da fondi extraregionali da riprogrammare) e le trattative disperate col governo nazionale per attingere alle cosiddette risorse aggiuntive. Non vede (né valuta) altra strada, che pure ci sarebbe: ossia il ridimensionamento degli sprechi che, al di là di qualsiasi congiuntura economica sfavorevole, rientrava nei patti sottoscritti con il Consiglio dei Ministri a fine 2019, quando Musumeci ottenne dal governo Conte la possibilità di spalmare in dieci anni il pesante disavanzo da due miliardi.
Lo chiese in ginocchio e gli venne concesso. Ma quel giorno – era l’antivigilia di Natale – lo Stato ottenne dalla Regione una promessa: ridurre la spesa corrente (del 3%) e dare un taglio ai costi della burocrazia e delle partecipate, cioè i carrozzoni regionali che, con i loro bilanci in rosso, gravano fortemente sulle casse di palazzo d’Orleans. In cinque mesi, però, a questa promessa non si è dato seguito. E talvolta s’insinua il dubbio che alle spalle di Roma, impegnata in un durissimo resoconto della crisi, sia andata in scena l’ennesima pantomima che si fa beffe degli impegni: ad esempio, nell’ultima Finanziaria, è stato disposto un intervento da 30 milioni di euro per la ricapitalizzazione delle partecipate regionali, in previsione delle perdite (potenziali) dettate dal Coronavirus. In questo modo Armao ha messo le mani avanti, garantendo un bel tesoretto a chi non s’è mai preso la briga di tagliare le poltrone, rivedere le funzioni, efficientare i servizi. E per rinfrancare la politica della sua stessa negligenza. Tra le numerose partecipate ce n’è una, Riscossione Sicilia, che addirittura potrà beneficiare di 25 milioni extra per pagare i 600 dipendenti messi a serio rischio dal crollo del gettito fiscale (sempre a causa del Covid).
In attesa di poter utilizzare i fondi Poc, e di chiudere i negoziati col Ministero dell’Economia, la Regione non si è fatta carico di gestire questo aspetto della sua “politica interna”. L’unico cenno sulle partecipate era arrivato in chiusura di 2019, con una delibera del 30 dicembre, che imponeva tre criteri sacri: il mantenimento del divieto di assunzione per tutti i carrozzoni regionali; la riduzione delle spese di amministrazione e gestione del 5% annuo per un triennio (a decorrere dal 2018); e la chiusura delle liquidazioni entro il 31 dicembre 2020, con trasferimento degli eventuali contenziosi a una struttura-veicolo. Il capitolo delle liquidazioni è ancora tutto da valutare (non vale per Riscossione Sicilia, che confluirà nell’Ader, l’agenzia nazionale delle entrate e riscossione). Sugli altri due punti, invece, regna il silenzio. Questo “mini taglio” c’è stato oppure no?
Una delibera di qualche giorno fa, riferita alla Seus (il servizio di emergenza unico della sanità) ha differito i termini della spending review di 24 mesi. Possiamo capirlo, giacché gli operatori, che in questa fase sono impegnati a 360°, hanno bisogno di certezze. Ma qual è lo stato dell’arte degli altri carrozzoni? L’Esa, ad esempio, è sempre rimasta “viva” nonostante le intenzioni bellicose di Musumeci, che un paio d’anni fa avrebbe voluto chiuderla. Eppure la sua soppressione non risulta fra gli obiettivi del governo da qui a fine legislatura (in una nota la presidenza ha citato la riforma dei Consorzi di bonifica, la legge urbanistica, dei rifiuti e delle ex Province). La Sis, la società per gli interporti siciliana, con base a Catania, ha ricevuto una “mancetta” da 800 mila euro (spalmati in due anni), soldi pienamente giustificati dall’assessore Falcone. L’Irca, che avrebbe dovuto riunire Ircac e Crias (depositari, fra l’altro, di numerose misure anticrisi a supporto di cooperative e artigiani), esiste solo sulla carta. Nulla si accorpa, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. O forse no.
Dall’ultima Legge di Stabilità sono venute fuori altre indicazioni poco rassicuranti. Ad esempio, è stata compilata una sorta di Tabella H, dal valore di 11 milioni di euro, con contributi a pioggia per enti e associazioni più o meno “prossimi” ai deputati, e per un museo piuttosto che un altro, senza un apparente criterio che li regolasse tutti. L’unica a farne le spese è stata la deputata dell’Udc, Eleonora Lo Curto, che s’è vista sbeffeggiare per la richiesta di inserire un contributo da 100 mila euro per il Baglio Tumbarello-Grignani, un museo multimediale caduto in rovina, nella città che l’ha vista crescere: Marsala. Tutto il resto è passato: dai fondi per l’istituto Vite e Vino a quelli per l’autodromo di Pergusa; dai 100 mila euro per lo Stagnone di Marsala ai 400 mila per l’Inda di Siracusa; dai 200 mila per la Villa del Casale di Piazza Armerina ai 250 mila per l’Università di Enna. In questo pout purri di roba, nessuno che abbia pensato di mettere un freno. Tutti si attaccano alle mammelle della Regione finché ci sarà latte da tirare.
“La Sicilia – ha detto qualche giorno fa Davide Faraone, capogruppo al Senato di Italia Viva – non può stare un minuto in più con il cappello in mano ad aspettare i soldi da Roma o dall’Europa”. Eppure l’andazzo è questo. Anzi, Musumeci e Armao si lanciano come avvoltoi ogni qual volta intravvedono uno spiraglio (giustamente). L’esempio più recente è il “decreto rilancio”, annunciato da Conte in tv qualche sera fa. Non esiste ancora una versione definitiva del testo, ma all’articolo 118 si legge che “al fine di concorrere ad assicurare alle Regioni e Province autonome le risorse necessarie per l’espletamento delle funzioni in materia di sanità, assistenza e istruzione per l’anno 2020, in conseguenza della possibile perdita di entrate connesse all’emergenza Covid-19, è istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un fondo con una dotazione di xxx miliardi di euro (…) da adottare entro il 31 luglio 2020”. Si presume – perché la cifra ufficiale non c’è ancora – che a disposizione delle regioni a statuto speciale ci sia un miliardo e che la Sicilia rientri in quota parte per poco più di 300 milioni. Queste sì, risorse aggiuntive. Che permetteranno di liberare il corrispettivo, già accantonato nella Legge di Stabilità, a favore di altri interventi.
Non è finita: il comma 2 del medesimo articolo (anch’esso una bozza) spiega che “entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge, è istituito un tavolo tecnico presso il Ministero dell’economia e delle finanze”, che esaminerà “le conseguenze connesse all’emergenza Covid-19, con riferimento alla possibile perdita di gettito relativa alle entrate regionali, non compensata da meccanismi automatici, destinate a finanziare le spese essenziali connesse alle funzioni in materia sanità, assistenza e istruzione”. Da questo tavolo, insomma, la Sicilia potrebbe tirar su un altro malloppo, per compensare il minor gettito. Armao ha già chiarito che la Regione, a livello fiscale, quest’anno potrebbe registrare un ammanco di almeno 600 milioni di euro.
L’articolo 119 del “decreto rilancio”, inoltre, include la Sicilia tra le regioni che beneficeranno della sospensione della quota capitale dei mutui contratti con il Ministero dell’Economia: per la Regione vale circa 26 milioni di euro, un terzo delle somme appostate (92 milioni). Nel frattempo resta attivo il quarto canale: il negoziato con i ministri Boccia e Provenzano per la firma di un nuovo accordo di finanza pubblica, che permetta all’Isola di trattenere tutto (o almeno una parte) del contributo annuo da un miliardo e, perché no, di rinviare la scadenza della rata di disavanzo da 421 milioni. Ultima, ma non per ordine di importanza, la questione dei fondi extraregionali: assieme a Roma va capito quali è possibile riprogrammare (per dare attuazione alle misure contenute nella Finanziaria) e quali no. Ballano una montagna di soldi. Ma, come al solito, la Sicilia non è padrona del proprio destino. Si affida al buonsenso e al buon cuore di Roma. Potrebbe non bastare.