Ma la sinistra non è morta

Angelo Capodicasa, oggi componente di Articolo 1-Mdp, è stato presidente della Regione Sicilia dal 1998 al 2000

Angelo Capodicasa, ex presidente della Regione Sicilia – quando l’elezione diretta non esisteva ancora (dal ’98 al 2000) – resta un uomo di sinistra che mette la propria esperienza istituzionale (fu anche viceministro nel governo Prodi) a disposizione di uno dei tanti partitini nati dalla scissione del PD. Quell’Articolo 1-Movimento dei Progressisti che ha eletto Roberto Speranza nuovo leader nazionale. Nel mare magnum della sinistra che si frantuma, Capodicasa resta ancorato a un’idea di progressismo che si misura su alcuni temi caldi come giovani e lavoro. Che non ha voglia di ricercare un leader a tutti i costi (chiaro riferimento a Grasso), ma di proporre temi e riconquistare un elettorato più smarrito che mai, come ad esempio in Sicilia.

“La Sicilia ed il Mezzogiorno – inizia Capodicasa nella sua analisi – soffrono più di altri le conseguenze della crisi e non hanno visto i governi nazionali e regionali di centrosinistra farsi carico della sofferenza dei ceti più deboli e del nostro territorio. Si calcola che negli ultimi anni dalla Sicilia siano partiti e continuino a partire circa ventimila giovani all’anno in cerca di lavoro al Nord o all’estero. C’è una drammatica moria di aziende artigianali ed industriali: una vera desertificazione. Si è abbassato il tenore di vita medio, c’è una cronica carenza di nuove infrastrutture e di manutenzione di quelle esistenti. In queste condizioni non ci si può meravigliare se gli elettori di sinistra, magari attratti dalle mirabolanti promesse dei partiti di opposizione, abbiano deciso di mutare il loro indirizzo di voto. Spetta a noi il compito di recuperare la fiducia di questi elettori. Lo possiamo fare solo se dimostreremo con i fatti, oltre che con le parole, che abbiamo capito la lezione e adesso si cambia politica”.

In questo momento di incertezza, in cui i partiti populisti raccolgono una marea di consenso, come si colloca Articolo 1?

“Proprio venerdì scorso si è tenuta una riunione del coordinamento politico nazionale di Articolo1-Mdp che ha approvato, quasi all’unanimità, con soli 2 voti contrari, un documento che contiene un articolato giudizio sulla situazione politica italiana e vi si traccia un percorso per pervenire entro l’anno alla Costituzione di un nuovo soggetto politico. Dopo alcuni mesi di ritardi ed incertezze si riprende il cammino con una chiara finalità ed una chiara prospettiva: dare vita ad una forza politica riformatrice, autonoma e popolare della sinistra italiana, per dare rappresentanza alle forze del mondo del lavoro, della cultura, dei giovani”.

Il suo ruolo all’interno del partito: più “saggio” o attivista?

“Darò una mano, per quanto sarà nelle mie possibilità, a questo progetto. Faccio parte del coordinamento nazionale di Articolo1-Mdp eletto nel luglio scorso dall’Assemblea nazionale e sono stato chiamato a far parte del coordinamento regionale e di quello provinciale della mia provincia di residenza. É abbastanza per sentirmi pienamente partecipe ed impegnato e dare il mio contributo a questo progetto.

Sono più gli elementi che uniscono o dividono le varie anime della sinistra italiana?

“Dopo la sconfitta del 4 marzo la sinistra italiana (come quella europea, del resto) e le forze di progresso sono chiamate a fare i conti con le ragioni della sconfitta e con i cambiamenti nell’economia e nella società. Sono chiamate a ripensare il loro modo di proporsi ed il loro programma politico, riappropriarsi della loro naturale collocazione nella battaglia per i diritti, il lavoro, le tutele sociali, la lotta alle disuguaglianze. Ci sono in campo punti di vista diversi che si confrontano. Noi siamo convinti che per riconnetterci con il nostro popolo e con il mondo del lavoro e per ricostruire una sinistra riformatrice, popolare e di governo, non bastino piccole mosse di riposizionamento. Come ci sembra stravagante pensare di poter risalire la china lucrando sugli errori degli altri. Altrettanto velleitario sarebbe immaginare la ripresa affidandosi ad un minoritarismo protestatario. Serve una seria e severa riflessione autocritica, serve dare risposte ai bisogni del mondo del lavoro e dei ceti medi frustrati ed impoveriti, ed indicare una prospettiva equa e credibile di uscita dalla crisi per il nostro Paese. Serve un confronto serrato che consenta di avvicinare le posizioni. Noi ci spenderemo per questo”.

I piccoli partiti della sinistra, da Sinistra Italiana ad Articolo 1, passando per Possibile di Civati, riusciranno a trovare la quadra attorno alla leadership di Pietro Grasso e alla formula di Liberi e Uguali? Perché?

“Non mi pare che oggi i problemi prioritari della sinistra italiana siano quelli della individuazione di un leader. Le leadership vengono dopo. Prima occorre chiarirsi sulle altre questioni alle quali ho accennato prima”.

Grasso ha richiamato tutti all’ordine, spiegando che se qualcuno ha voglia di tornare nel Pd è libero di farlo, ma adesso. Pensa che avverràquesta diaspora in vista del congresso dei democratici?

“Per quanto riguarda Articolo 1-Mdp non abbiamo alcuna intenzione di “tornare” nel Pd. Lo abbiamo scritto, nero su bianco, nel documento approvato pochi giorni fa dal coordinamento nazionale. A noi sembra che ad essere messo in discussione dalla crisi sia la stessa idea fondativa del Pd o, almeno, il suo profilo e la sua collocazione politica. Quindi, il tema in discussione non è cosa fare col Pd. I problemi, secondo il nostro punto di vista, sono altri”.

Perché il Pd ha smesso di rappresentarla?

“Proprio perché è cambiata la collocazione di questo partito. Le politiche che ha attuato, oltre a dimostrarsi inefficaci a contrastare gli effetti della crisi che si sono abbattuti sui ceti popolari, sul ceto medio e sul Mezzogiorno, hanno dato al Pd un profilo di partito liberal-democratico che guarda al centro dello schieramento politico. In Parlamento alcuni tra i più importanti provvedimenti proposti dal governo non li avevo votati. Non avevo votato il cosiddetto decreto “sblocca-Italia”, la riforma della scuola (la cosiddetta “buona scuola”), la riforma della Costituzione, la riforma del mercato del lavoro (il cosiddetto “Jobs act”), la riforma della legge elettorale (il cosiddetto “Italicum”). Come non ho condiviso la posizione tenuta dal Pd nella campagna referendaria sulle trivellazioni a mare dove Renzi sembrava avere più a cuore gli interessi della lobby dei petrolieri piuttosto che i valori ambientali e la tutela dell’ecosistema marino; ed al referendum sulla riforma della Costituzione ho fatto campagna per il “no”, mentre il Pd era per il “sì”. Mi pare che fosse arrivato il momento di prendere atto che il Pd non poteva più essere il mio partito”.

Può il progetto “inclusivo” di Zingaretti rappresentare un punto di partenza per la rinascita del centro-sinistra?

“Nel Pd, in vista del congresso, si è aperto un dibattito sulle cause delle sconfitte e sul posizionamento del partito. Tra coloro che finora hanno avanzato la propria candidatura a segretario ed hanno esplicitato il loro progetto, sia Zingaretti che Cesare Damiano hanno proposto riflessioni interessanti, anche se permangono ampi margini di ambiguità ed a volte di doppiezze. Vedremo più avanti, quando si saranno precisate le proposte, l’evoluzione che assumerà nel Pd il dibattito congressuale”.

Una lettura dell’operato del governo centrale: quella di Lega e Movimento 5 Stelle è sterile propaganda o ci sono dei provvedimenti che la convincono?

“Il propagandismo è il tratto dominante di partiti come Lega e 5 Stelle. E’ nella loro natura, nel loro DNA. Stanno più davanti alle telecamere, nei talk show, sui “social” a rilasciare interviste, a fare dirette Facebook, che nei ministeri a leggersi le carte e governare. Dal che nascono poi le figuracce, le gaffe, i contorsionismi che hanno reso questi primi cinque mesi di governo i più spassosi della storia, se proprio non vogliamo definirli come i più tragici. Per quanto attiene il merito dei provvedimenti, a mio avviso, si può dire che, ad esclusione di qualche provvedimento, è l’indirizzo complessivo del governo che spinge il Paese verso una deriva pericolosa. I governi, più che per i singoli provvedimenti adottati, vanno giudicati dalla direzione di marcia complessiva. E la direzione data all’azione di questo governo è confusa, piena di contraddizioni, incapace di generare sviluppo. In alcuni casi, come nel caso dell’immigrazione o nel campo dei diritti civili o della equità fiscale, coltiva umori apertamente reazionari”.

Quali sono i temi forti da cui ripartire per il buon governo della Sicilia?

“Il lavoro prima di tutto. Dare una speranza ed un futuro ai giovani. I nostri paesi si spopolano. Vi sono paesi in cui sono rimasti per lo più anziani. Vanno fatte battaglie per gli investimenti, vanno sostenute le imprese che creano lavoro ed occorrono provvedimenti per un serio contrasto alla povertà. C’è gente che rinuncia a curarsi perché le condizioni economiche non glielo consentono. Entro il mese di novembre Articolo 1-Mdp ha deciso di tenere la propria conferenza programmatica regionale previo confronto con le forze sindacali, le associazioni di categoria, gli ordini professionali, personalità del mondo della cultura e della scuola. Lavoreremo alla predisposizione di una piattaforma programmatica e rivendicativa che confronteremo con le altre forze della sinistra e di progresso. Intendiamo dare il nostro contributo, per quanto modesto, a questo rilancio”.

Cosa manca finora al governo Musumeci?

“A mio giudizio una chiarezza di obiettivi e la necessaria energia e determinazione a perseguirli. Mi sembra che si sia adagiato in un modesto tran-tran quotidiano senza un progetto da perseguire. Del resto gli scarsi risultati dell’attività legislativa, dopo un anno di vita del governo, stanno lì a testimoniarlo”.

Come è cambiata la politica e, in particolare, la gestione del potere dalla sua presidenza a oggi?

“Sono passati venti anni. Di questi tempi venti anni sono come venti secoli. A cavallo di quegli anni la Sicilia ed il Mezzogiorno, per la prima volta dal dopoguerra, avevano un tasso di crescita superiore, anche se di poco, al tasso di crescita medio del Paese. Poi sono arrivati gli anni della crisi ed oggi la Sicilia stenta a tenere il passo di un paese che cresce anche se debolmente. Rispetto al periodo della mia presidenza sono cambiate molte cose. Intanto è cambiato il sistema elettorale. L’elezione diretta del Presidente ha dato più potere a questa carica, assegnandogli un ruolo più forte e determinante rispetto al passato, sottraendola al condizionamento dei partiti anche nella scelta degli assessori che oggi possono essere scelti anche fuori dall’ambito parlamentare. Non è poco”.

Lei è stato anche viceministro dei Trasporti: il problema delle infrastrutture è davvero la piaga siciliana?

“Era nel secondo governo Prodi. Quel governo ha avuto vita breve, appena un anno e mezzo. Gli ultimi investimenti in grandi infrastrutture in Sicilia sono stati fatti allora: il raddoppio della 640, il completamento della Ct-Sr, l’ammodernamento della Palermo-Agrigento ed altri investimenti nel settore ferroviario e della portualità. Furono destinati oltre un miliardo di euro alla manutenzione straordinaria della viabilità secondaria (le strade provinciali) che il nuovo governo di centrodestra si affrettò, già fin dalla prima riunione del Consiglio dei ministri, a definanziare e destinare i fondi ad altre finalità. Da allora la situazione è peggiorata e la crisi ha finito per ingoiare tutto”.

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