Il Festino è terminato, e ognuno conserva la propria opinione sulla serata più attesa, che ha regalato a Palermo la massima rappresentazione del laicismo (cioè il ballo sfrenato delle cubiste) e insieme l’inno stentoreo, esagerato se vogliamo, di Monsignor Carmelo Lorefice. Che forse – anche se non l’ha detto – avrebbe preferito che la Regione avesse impiegato il mezzo milione di euro destinato alle celebrazioni (sotto forma di contributi da parte dell’assessorato al Turismo e alle Attività produttive) in qualcosa di più attinente all’etica dei comportamenti: la lotta contro la droga. Non che le due cose siano sovrapponibili o interscambiabili, ma il grido di Lorefice era chiaro e aveva come unico destinatario la politica. O meglio, i politici. “Si adoperino concretamente e celermente ad approvare il disegno di legge per la prevenzione e il trattamento delle dipendenze patologiche. Proposta che io stesso ho consegnato l’anno scorso a luglio, insieme alle diverse realtà civili, ecclesiali e universitarie, che lo hanno stilato. È passato un anno – ha sottolineato Lorefice – e ancora nulla”.

Un atto d’accusa bell’e buono nei confronti di un parlamento fermo e di un governo infermo. Anche se in questo caso l’iniziativa legislativa spetta all’Ars e lo stesso presidente dell’Assemblea, Gaetano Galvagno, ha provato a coprire le vergogne con la classifica foglia di fico: una intervista al Giornale di Sicilia. Ovviamente discolpandosi: “Pensare che solo una legge dell’Ars risolva il problema è un’illusione – ha detto l’esponente di Fratelli d’Italia – Detto ciò l’Ars sta facendo la sua parte, seguendo i tempi e le procedure legislative che sono garanzia di buon lavoro”. In sostanza il disegno di legge depositato dall’Arcivescovo di Palermo è stato approvato in commissione Salute e attende le schede tecniche da parte degli assessorati per capire l’ammontare della copertura finanziaria. Poi finirà in commissione Bilancio e infine in aula: ci vorranno settimane se non addirittura mesi. Che si sommano all’anno già trascorso. Un calcolo che finisce per dare ragione a Lorefice.

Le celebrazioni di Rosalia, che allontanò la peste da Palermo (ormai quattrocento anni fa), non ha esaurito la nuova peste. Gli untori, spesso travestiti da politici – assai più propensi a collezionare inaugurazioni e sondaggi – proliferano. E nessuno, neppure per un attimo, ha creduto che il Festino potessi “convertirli”. A Palermo – al netto di quello che sia il giudizio sull’operato del sindaco Lagalla – ci sono (e resteranno) i cumuli di spazzatura accatastati lungo le strade, poco fuori dal centro storico. E che dire dalla Regione: un sondaggio di Noto, che dà forza al governatore Schifani (+6% e la nota entusiasta del ventriloquo Caruso), non basterà a cancellare l’inerzia di un’estate trascorsa al guinzaglio delle emergenze – plurale – che hanno finito per annacquare qualsiasi proposta di riforma o di sviluppo. Compresa la legge sulle dipendenze patologiche.

Sarebbe curioso dare una sbirciata all’attività del parlamento nell’ultimo anno e, depurandolo dalle sedute finanziarie (come la prossima, che mette in palio 160 milioni), capire cosa si è fatto e quali risultati sono stati raggiunti. Il quadro è impietoso e il governo, anziché pretendere la discussione delle proprie proposte legislative (non c’era molta carne al fuoco all’inizio, figurarsi adesso), armeggia col poco che ha. Con l’aggravante di tre assessorati chiave praticamente bloccati: l’Economia, con Falcone in uscita e già transitato sui banchi di Strasburgo; l’Agricoltura, con la conferma della sospensione a Luca Sammartino (che pertanto dovrà essere rimpiazzato); e la Salute, con la Volo che appare sempre più l’ombra di se stessa. Un cartonato.

Per non parlare delle emergenze. Ce n’è una ad ogni angolo, e una, più grande delle altre, che rischia di sopraffarci: la siccità. Dopo il lago di Pergusa e dell’Ogliastro, s’è prosciugato anche il lago Fanaco, dalle parti di Caltanissetta. Non piove praticamente più, e anche il fiume Simeto fatica a sboccare nel Mediterraneo. La cosa peggiore è che agricoltori e allevatori sono sull’orlo di una crisi, anche economica; e che il turismo, con il razionamento idrico imposto da molti comuni (come Agrigento), rischia di perdere punti. I visitatori, incentivati dalla pubblicità negativa offerta da alcuni media internazionali, come la CNN, potrebbero dirottare le loro vacanze altrove. Sempre in tema di razionamento, l’AMAP, cioè la società che gestisce l’acquedotto di Palermo, ha annunciato una misura d’emergenza per andare incontro al mancato approvvigionamento idrico, che ha ridotto la portata degli invasi del 60 per cento. “Al fine di spostare in avanti quanto più possibile la data prevista per l’esaurimento dell’acqua accumulata negli invasi, in attesa delle precipitazioni della prossima stagione autunnale, l’azienda ha deciso in via cautelativa di adottare misure di razionamento in tutte le zone e i distretti di Palermo secondo una turnazione prestabilita. Le misure di razionamento – come preannunciato dalla società – saranno individuate e comunicate nei prossimi giorni e saranno effettuate esclusivamente sulla base di motivazioni di immediata fattibilità tecnica, al fine di ridurre al minimo i disagi per le utenze e con l’obiettivo di non coinvolgere utenze pubbliche o sensibili (ospedali, cliniche, case circondariali, edifici a valenza pubblica, eccetera)”. Di per sé è un segnale allarmante.

Come quelli già arrivati dalla Regione, che non riesce a garantire la “copertura” dei venti milioni deliberati da Roma a causa della mancata risposta progettuale da parte dei soggetti attuatori coinvolti: dai Comuni alle assemblee territoriali idriche, passando per i Consorzi di Bonifica. I progetti non sono pronti – tranne il 17 per cento, già completati – e pertanto gli aiuti non possono essere liquidati. Sembra che l’unico mezzo per contrastare la siccità sia la riparazione delle vecchie autobotti e l’acquisto di autobotti di seconda mano (la Protezione civile ha messo sul piatto un milione e mezzo), mentre ci vorranno mesi per veder riattivare i dissalatori (nonostante i 90 milioni d’investimento prospettati dall’Accordo di Coesione con Roma, a valere su risorse comunitarie).

Il drammatico quadro è peggiorato dal caldo, da cui dipendono: l’aumento del numero degli incendi (ai quali non si riesce spesso a fare fronte per le carenze di operai forestali); le difficoltà nella gestione dei rifiuti, poiché alcune discariche sono sature e i comuni non riescono più a conferirvi; il traffico sulle reti stradali e soprattutto autostradali, che a causa dei numerosi cantieri installati dal CAS – specie sulla Catania-Messina, ma anche la Palermo-Messina non scherza – scoraggia anche i visitatori più indomiti.

La vera peste è la riapertura – con foto di rito e note stampa – della galleria di Letojanni nove anni dopo la frana che ha costretto all’interruzione dell’A18 e ai conseguenti disagi. Di fronte a un tale scempio bisognava trovare il modo di inchiodare i colpevoli – il Consorzio autostrade, le ditte esecutrici di lavori, i burosauri, fate voi… – di fronte alle proprie responsabilità, e invece l’assessore Aricò ha scelto la via della celebrazione: “Grazie ai fondi del Patto per lo sviluppo della Regione Siciliana – ha detto il responsabile delle Infrastrutture – siamo stati anche in grado, attraverso il Consorzio per le autostrade siciliane, di avviare sulla A18 una serie di interventi di messa in sicurezza che, in questi ultimi giorni, dopo tanti anni di disagi consentono di riportare il traffico alla normalità”.

Ciò che non è normale è parlare di normalità in questi termini. Se ci sono voluti nove anni per smaltire un pezzo di collina piombato sull’autostrada e riaprire l’arteria con una galleria artificiale, Lorefice non si stupisca che il disegno di legge sia fermo da un anno in commissione. E’ farina dello stesso sacco. E’ la peste che continua a infettare la Sicilia.