Sono nato a Palermo e ci vivo da sempre. Non me ne sono andato quando ho potuto e penso sempre di restarci per tutta la vita perché qui sono felice. Anche quando il folclore dei miei concittadini mi diventa insopportabile, quando la munnizza mi arriva fino alla finestra e mi sembra che tutto vada male, penso sempre all’adagio di Seneca: “Animum debes mutare, non caelum”, e sorrido felice, guardando il bicchiere mezzo pieno e bevendomelo pure.
C’è però un’isola, fredda e lontana, che ha un posto nel mio cuore grande almeno quanto la Sicilia. Niente di più distante per civiltà, ordine, clima e istituzioni eppure così vicina al mio cuore da farmela sentire come casa mia. È l’Inghilterra, la perfida Albione di mussoliniana memoria a cui guardo da sempre come un faro di libertà individuale nella notte buia del caos primigenio siculo e nazionale.
Winston Churchill è il mio politico preferito, Margaret Thatcher la donna che più mi turba, conosco l’inno a memoria e mi sveglio la mattina cantando Rule Britannia. Ho cominciato ad andarci che avevo 14 anni, ci ho trascorso un periodo di lavoro, ho preso un te’ alla Camera dei Lord con uno dei miei idoli di gioventù e sono rimaste veramente poche le città più importanti che non ho visitato.
Un amore folle, irrazionale ed eterno che neanche l’autolesionismo della Brexit è riuscito a spegnere. Ad ogni competizione calcistica internazionale in cui c’è l’Italia tifo per gli azzurri, ma quando vedo i leoni inglesi il mio cuore ha sempre un sussulto e spero di non incontrarli per non soffrire troppo. La coppa del mondo senza l’Italia mi ha così lasciato libero di esprimere tutto il mio amore e ho seguito palpitando la cavalcata trionfale dei miei idoli in maglia rossa. Ho indossato il panciotto di Southgate, comprato una parrucca per assomigliare a Kane, sono entrato in casa scivolando in tackle come Maguire e ho costretto mia figlia a cantare “Football is comin’ home”.
Ho sognato con i tifosi inglesi dopo le prime convincenti uscite, me ne sono fregato della piccola truffa per evitare il Brasile, ho devastato i mobili Ikea che avevo a casa dopo la vittoria con la Svezia e sono arrivato trepidante alla partita con la Croazia. In maglia bianca e scudetto con i leoni d’ordinanza, con un sacco pieno di birre Indian Pale Ale per festeggiare la decadenza dell’impero britannico e una foto di Boris Johnson nel taschino da guardare nei momenti di sconforto.
Lo sapevo che non sarebbe durata! Sembrava tutto troppo facile e alla fine è diventato tutto troppo complicato. Anche questa volta il football non è tornato a casa ma io non mi abbatto. Lo spirito calcistico dell’Inghilterra non sarà mai domo e sebbene so già che nel futuro non mi aspettano che fatica, sangue, lacrime e sudore calcistico io, come i britannici dopo Dunkirk, non mi arrenderò mai! Dio salvi la Regina!